"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 4 febbraio 2015

Oltrelenews. 21 “Quantitativeasing”.



Da “Crisi, la spesa pubblica non produce miracoli” di Fabio Scacciavillani, su “il Fatto Quotidiano” del 30 di luglio dell’anno 2014: (…). …in Italia l’ingegno miracolistico in politica economica alimenta una variante dell’avanspettacolo con malcelate aspirazioni colte. Anzi, dal mito del salario come variabile indipendente (la versione sindacale della biblica manna dal cielo), all’evergreen della politica industriale (in virtù della quale statisti del calibro di Tremonti, Galan, Formigoni, Gasparri, Penati&Bersani, Clini o Vendola indirizzerebbero le risorse pubbliche e private), oggi le salumerie che dispensano prosciutto da bulbo oculare, si piccano di impartire approfondimenti televisivi. In questo campo il San Daniele sagacemente stagionato è rappresentato dalla mistica della spesa pubblica e il relativo Sacro Graal del cosiddetto moltiplicatore keynesiano (appellativo atto a evocare i pani e i pesci evangelici). Basterebbe citare l’incalcolabile numero di crisi economiche e finanziarie (dall’Argentina alla Grecia, dall’Indonesia all’Ecuador) provocate dalla spesa pubblica fuori controllo, per capire che l’unico moltiplicatore è quello delle clientele elettorali e dei debiti che zavorrano il futuro delle nuove generazioni. Per sincerarsene basta un banale conto della serva.
Se il moltiplicatore della spesa pubblica fosse quella panacea tramandata dai rituali sciamani spacciati per modelli macroeconomici, all’aumentare del deficit pubblico si assisterebbe a una crescita esplosiva del Pil e di conseguenza al rapido riassorbimento del debito dello Stato. In particolare, sarebbe quasi impossibile un debito pubblico in costante ascesa in rapporto al Pil. Immaginate un governo senza debiti, che dal pareggio di bilancio passasse, da un anno all’altro, a un deficit del 10% del Pil (finanziato con cambiali chiamate pudicamente titoli di stato). Immaginate che il moltiplicatore dispiegasse i suoi mirabolanti effetti nel corso di due anni e i beneficiati dalla munificenza pubblica (destinati allo scavo di buche inutili) ne spendessero il 70% (risparmiando il resto). Il Pil in due anni aumenterebbe cumulativamente del 30% (in termini reali). Ipotizzando un interesse reale del 5% sul debito pubblico e una tassazione media (viva l’ottimismo) del 33% del Pil (Irpef, Iva e gabelle varie) in due anni il debito (compresi gli interessi) verrebbe azzerato, anzi si produrrebbe un piccolo avanzo di bilancio. Per inciso, se i beneficiati ne spendessero l’80% il Pil aumenterebbe del 50% eclissando persino la performance evangelica. Per esempio gli 80 euro renziani (ancora senza copertura strutturale) secondo questi calcoli dovrebbero produrre un effetto sul Pil come minimo di 240 euro. Fenomeni di tale portata non si sono mai riscontrati nella storia dell’umanità. Non si hanno notizie di debito pubblico velocemente riassorbito grazie allo stimolo messo in moto dalla spesa pubblica. Né si conoscono casi di debito pubblico che sale e in seguito scende in modo ordinato, senza misure fiscali correttive. Al contrario, in Italia, come nel resto del globo, all’aumentare del deficit pubblico, il debito pubblico rispetto al Pil ricorda Nibali sui Pirenei rispetto al gruppo. (…). La versione più allucinata del moltiplicatore prevede che il deficit non venga finanziato con cambiali, ma con la stampa di moneta ad libitum. Qui entriamo nel tragicomico mondo della Modern Monetary Theory (MMT) che costituisce la variante estrema delle corbellerie no euro, secondo le quali la svalutazione permanente sarebbe la chiave di volta di un’economia fiorente. (…). Lo sviluppo, secondo questo metodo Stamina della politica economica sarebbe faccenda oltremodo banale. Invece di infrastrutture, fabbriche, servizi legali, istruzione, trasporti, ricerca, sanità e via dicendo, l’economia si manderebbe avanti con lenzuolate di carta moneta distribuite come grandine. Ogni deficit pubblico si ripianerebbe con foglietti colorati e quindi non esisterebbe motivo alcuno per lavorare, tranne che per gli impiegati della Zecca. Ma per non oberare questi malcapitati, basterebbe dare a ogni italiano (e anche a ogni immigrato) una stampante e una congrua dotazione di carta filigranata, in modo che quando occorrono soldi li si possa produrre comodamente in tinello magari mentre si guarda beati La Gabbia su La7. Alternativamente il governo potrebbe distribuire una carta di credito senza limite di spesa e senza obbligo di rimborso. Se ne occuperebbero in automatico da via XX settembre senza fiatare. Insomma la MMT è la versione più strampalata del Paese dei Balocchi, che si incastra con una congerie di teorie complottistiche volte a spiegare come poteri occulti blocchino questo favoloso portento. Ma se la MMT funzionasse come mai i governanti di tutto il mondo sarebbero così masochisti da non adottarla? (…).

Da “Deflazione per batterla non basta la moneta” di Marcello De Cecco, sul settimanale “Affari&Finanza” del 13 di ottobre dell’anno 2014: (…). …nel discorso alla Brookings Institution di Washington il 9 ottobre il presidente Draghi notava che la Bce si trova in una transizione da un quadro di politica monetaria fondato prevalentemente sulla fornitura passiva di credito della banca centrale, ad una gestione più attiva e controllata del proprio bilancio, nel tentativo di sollevare l’inflazione dal suo basso livello. ’Abbiamo verso il popolo europeo la responsabilità di assicurare la stabilità dei prezzi, il che oggi significa sollevare l’inflazione dal suo livello eccessivamente basso. E faremo esattamente questo’. Draghi interpreta correttamente e certo non pedissequamente il suo mandato, che è quello di assicurare la stabilità dei prezzi al 2%. Lo statuto della Bce si fonda sul concetto di simmetria della politica monetaria nel suo effetto sull’inflazione. Dato che per la Bce l’inflazione è un fenomeno monetario, se essa è eccessiva alla Bce tocca adottare una politica monetaria restrittiva, se essa è inferiore al 2% annuo alla Bce si impone una politica monetaria espansiva. Quest’affermazione di fede monetarista, quale espressa nello statuto della Bce, ha il problema che la politica monetaria non è simmetrica nella sua azione deflattiva e in quella inflattiva. Per fare uscire un’area dalla deflazione non si usa il contrario della politica monetaria che si adopera per ridurre il tasso di inflazione perché il fenomeno inflazione è qualitativamente diverso dalla deflazione. Supponiamo che per ridurre il tasso di inflazione si riduca la quantità di moneta. Se lo si vuol far salire basta incrementare in quantità equivalente la massa monetaria? Purtroppo no, perché quando si è determinato uno stato di deflazione per far sì che l’economia ne esca bisogna convincere imprenditori e consumatori a investire e consumare di più, mentre quando si vogliono spezzare le reni all’inflazione basta chiudere il rubinetto del credito e investitori e consumatori saranno obbligati a ridurre investimenti e consumi. Convincere è diverso da obbligare. Quando si è spento un incendio versandovi una montagna d’acqua, se si vuol ridar fuoco a quello che si è spento non basta avvicinare ai materiali inondati d’acqua una fonte di fuoco. Prima i materiali devono asciugarsi e poi prenderanno di nuovo fuoco. Per accelerare il processo non si può moltiplicare la forza della fonte di fuoco. Altrimenti, i materiali all’inizio non si accendono e poi - ma in economia non lo si sa con la stessa certezza che danno le analisi fisiche e chimiche - la forza eccessiva della nuova fiamma determina un nuovo rovinoso incendio e non una utile fonte di calore. Si aggiunga che i materiali coi quali si ha a che fare non sono sempre gli stessi, in uno stesso Paese o in Paesi diversi. Confrontando Europa e Stati Uniti si nota che l’indebitamento privato delle due aree e la sua composizione strutturale sono assai diversi. Se basta togliere credito ai consumi e ai mutui negli Usa dove tutti sono ultra indebitati per ottenere una riduzione di domanda, in un’Europa nella quale Italia, Germania e Francia conoscono un forte risparmio individuale, occorre una azione monetaria ben diversa per ottenere una riduzione di domanda equivalente a quella ottenuta diminuendo il credito negli Stati Uniti. Se è vero che persino nel credito automobilistico le differenze sono forti tra Europa e Usa perché gli europei comprano le auto in contanti, per non parlare di case, elettrodomestici, elettronica, è facile dedurre che l’effetto reflazionistico di una politica monetaria espansiva sarà più pronto e profondo negli Stati Uniti che in Europa. Si aggiunga che una cospicua parte della popolazione europea sente l’influenza del suo passato agricolo (con gli imperativi di risparmio che i contadini hanno avuto per qualche migliaio di anni) e che la classe dirigente europea incoraggia quest’atteggiamento perché le banche, che in Europa espletano gran parte dell’intermediazione, operano raccogliendo risparmi delle famiglie e prestandoli alle imprese piccole e medie che in Europa prevalgono. Tradizionalmente in Europa il debito pubblico è stato in buona misura detenuto, fino a pochi anni fa, dalle famiglie. Non è solo una differenza soggettiva, ma un’oggettiva necessità delle economie europee, dove buona parte del risparmio delle famiglie prende la forma dei depositi bancari, a far pendere la bilancia dalla parte della deflazione. Se si aggiunge che le banche, in vista della asset quality review, hanno aumentato il capitale di 200 miliardi di euro, togliendo munizioni a una reflazione creditizia, si conclude che inflazione e deflazione non sono solo fenomeni asimmetrici, ma hanno caratteristiche diverse in Europa e Usa. (…). In Europa il risparmiatore è un uomo virtuoso che si comporta secondo i precetti sia della tradizione romana che di quella cristiana (ma anche di quella coranica). La formica è la virtù, la cicala è il vizio, in Europa è diventata da due anni perfino una regola costituzionale. Malgrado il monetarismo di Chicago, gli Stati Uniti sono invece un paese post-keynesiano dove le formiche distruggono l’economia e le cicale la salvano. Sarebbe vero anche in Europa, ma bisognerebbe che le riforme delle quali parla Draghi portassero a comportamenti bancari di incentivazione del debito, alla riduzione dei controlli sullo shadow banking, in breve alla liberalizzazione in senso americano dell’economia europea. Ma è questo che vogliono veramente la signora Merkel e i suoi caudatari finlandesi o olandesi? Si direbbe il contrario, a giudicare dalle prediche ai paesi mediterranei. È bene che questi signori si chiariscano le idee prima di prendersela coi debitori e persino, come ha fatto il governatore della Bundesbank qualche giorno fa, con lo stesso Draghi.

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