"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 7 novembre 2014

Oltrelenews. 8 “Obama”.



Da “Il dio nero già in declino” di Federico Rampini, sul settimanale “D” del 20 di agosto dell’anno 2011: “(…). …- Ma perché Obama ci ha tradito? Che delusione tremenda -. I progressisti europei lo avevano eletto presidente del mondo, Oslo gli aveva dato il Nobel della pace, e lui ricambia in questo modo? Una volta, questo lo chiamavamo culto della personalità. è una malattia di cui la sinistra ha sofferto fin da bambina: Lenin, Mao, Ho Chi Minh, Che Guevara... Per generazioni la sinistra ha trasformato i suoi leader in semidei, santi laici. Non bastava glorificare le loro idee, bisognava che fossero dei superuomini. Forse la parola giusta è demiurgo. Da Wikipedia: in Platone il demiurgo è una forza ordinatrice, plasmatrice, che trasforma e forma. Dal dizionario Sabatini: Chi, in forza della propria personalità, riesce a modellare gli eventi secondo il proprio volere. Della mia gioventù militante conservo però la memoria di una sinistra che aveva sviluppato degli anticorpi per immunizzarsi dal culto della personalità. Non tutta la sinistra, naturalmente. Ricordo all'università i primi cortei cui partecipai a Milano, negli anni Settanta, col Movimento studentesco che intonava evviva il compagno Stalin, e mi venivano i brividi. Ma nello stesso periodo Enrico Berlinguer e Luciano Lama erano anti-eroi per eccellenza. Anche nella sinistra giovanile, movimentista ed extra-parlamentare, c'era almeno un principio valido: la diffidenza verso la delega. Per cambiare la società non ci si poteva affidare solo ai propri rappresentanti, bisognava agire in proprio. In alcune frange estremiste purtroppo questo degenerava nella sfiducia verso la democrazia parlamentare, l'avversione allo Stato di diritto, la tentazione della forza armata. Ma in tanti di noi, radicali e pacifisti, utopisti e arrabbiati, l'avversione alla delega era un principio sano: l'impegno politico e sociale non si può esaurire mettendo una scheda nell'urna, la qualità del mondo in cui viviamo la si costruisce giorno per giorno, l'ingiustizia va contrastata continuamente. C'era anche l'idea, un po' cattolica e un po' ingenua, che una persona sinceramente progressista si riconosce perfino dal modo in cui vive: nei rapporti umani, nelle scelte di consumo, nel tempo libero, nei mestieri a cui aspiravamo, bisognava distinguersi, riconoscersi. Questo poteva sconfinare nell'integralismo, nel fanatismo, ma non era sbagliata l'idea che le idee politiche e la caratura morale facessero tutt'uno. Obama ha commesso la sua brava dose di errori, ma nella rapidità con cui si è passati dall'adorazione del "Dio nero" alla delusione c'è il segno di una sinistra pigra, volubile, capricciosa, in cerca di scorciatoie, in attesa di miracoli venuti dall'alto.”

Da “La condanna senza appello: è debole” di Furio Colombo, su “il Fatto Quotidiano” del 6 di novembre 2014: (…). Circola la frase “Obama è debole”, e “c’è una mancanza di leadership”. Primo paradosso di una vicenda politica e di un esito elettorale che racconta e certifica ciò che non è. Un lungo e diffuso successo, in quasi tutti gli impegni e le promesse di Obama, viene presentato agli americani (e accettato alle urne) come un fallimento. Ma la voce che annunciava questo insuccesso era quella senza pause e senza soste di una feroce e immensamente finanziata opposizione repubblicana che sostituendo la famosa parola d’ordine anglosassone ( My country, right or wrong, sostengo il mio Paese anche se sbaglia) con un’altra, più antica e selvaggia: il mio partito prima di tutto. (…). Ma perché Obama, che ha governato bene, amministrato bene, rimesso in moto l’economia dopo la grave crisi del 2008, Obama, che ha chiuso o sta chiudendo guerre dal costo umano e dal costo economico immenso, e ha rifiutato di cominciare qualsiasi altra guerra per qualsiasi altra ragione, viene visto come uno che ha fallito e che, per questo, viene abbandonato dagli elettori? Forse bisogna cominciare da questo ultimo punto. Obama ha tentato in tutti i modi di riportare politica, diplomazia e organizzazioni internazionali al posto delle armi. Aveva le sue fortissime ragioni. Però l’immagine di chi rifiuta le guerre non può più essere quella del leader macho, ben radicata nella tradizione. Si presta a essere trattata come debolezza e come mancanza di leadership. Inoltre provoca la vendetta delle grandi produzioni di armi, che si aggiunge alla poderosa vendetta del mondo delle assicurazioni, dunque della finanza. Si installa qui la seconda grande imputazione che i Repubblicani, con grande successo, sono riusciti far trasformare in condanna dalla giuria popolare degli elettori: Obama rifiuta di guidare il mondo, ovvero di giocare da leader della grande potenza. Ha visto meglio di altri che chi guida, comanda, e chi comanda impone, creando ondate di risentimento come quelle che si sono formate nel mondo, contro l’America e che durano ancora. Soprattutto perché ritiene che il mondo sia profondamente cambiato. Obama ha capito che non c’erano strade di gloria lungo cui avviarsi con gli stendardi al vento, ha visto il paesaggio disastrato da un immenso dislivello sociale, dentro ciascun Paese e nel mondo, e ha capito che a quel disastro, la diseguaglianza ormai estrema, bisognava dedicare il principale impegno dei governi. Certo, il mondo ricco che violentemente osteggia Obama e cerca di screditarlo non è maggioritario. Il grosso, in termini di voti, deve per forza essere il popolo di Obama e della lotta alla diseguaglianza. (…). Ora basta cambiare le percezioni, le persuasioni, i sentimenti, le impressioni, le nozioni, e avere forza tecnica e finanziaria per mostrare scenari diversi. Ovvio che il mondo delle assicurazioni e quello delle armi si sono resi conto subito di non avere un popolo. E se lo sono procurato attraverso la religione. Hanno aperto partito e media, microfoni e giornali, scuole medie e università a un mondo molto vasto di persuasioni e pregiudizi religiosi, di superstizioni e parti separate ma forti di fondamentalismo evangelico e cattolico, un mondo che si estende dall’omicidio del medico abortista all’imposizione del creazionismo in tutte le scuole, un popolo, soprattutto di poveri, che è pronto a votare contro Obama perché sostiene il diritto delle donne a decidere. Questo tipo di religiosità, rigida, fanatica ed estranea alla cultura, si è vista irrorare di danaro, di luoghi di comunicazione e di inserimento in prestigiose nomine politiche, specialmente locali, dove si possono cambiare curricula scolastici e sentenze. Poiché molte di queste chiese sono nere, ecco il miracolo della ricchezza: portare parte di un popolo di neri poveri a votare, a causa della propria fede religiosa, contro il primo presidente nero. È ciò che è avvenuto. Quei neri non si sono resi conto di avere lavorato accanto e per conto di un sommerso e quasi invisibile zoccolo duro del razzismo bianco.

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