"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 30 settembre 2014

Sfogliature. 32 “La lotta”.



Ha scritto Eugenio Scalfari sul quotidiano la Repubblica del 28 di settembre – “C'è solo acqua nella pentola che bolle sul fuoco” -: Ho letto con interesse l'articolo di mercoledì scorso del direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli. È un attacco in piena regola non tanto contro la politica di Renzi quanto sul suo carattere e il suo modo di concepire la politica. Debbo dire: mi ha fatto piacere che anche il Corriere abbia capito che il personaggio che ci governa è il frutto dei tempi bui e se i tempi debbono essere cambiati non sarà certo quel frutto a riuscirci. Il frutto dei tempi ha le caratteristiche del seduttore e noi, l'Italia, abbiamo conosciuto e spesso anche sostenuto molti seduttori. Alcuni (pochissimi) avevano conoscenza dei problemi reali e la loro seduzione ne facilitava la soluzione. Altri - la maggior parte - inclinavano verso la demagogia peggiorando in tal modo la situazione. (…). Dico questo pensando al tema dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. (…). La giusta causa per licenziare: prima lo si poteva fare a discrezione del "padrone". Dopo fu la giusta causa una difesa da questa discrezionalità priva di motivazione, che avrebbe dovuto essere provata dall'imprenditore di fronte al giudice del lavoro. Il dipendente non perdeva infatti soltanto il salario ma anche la dignità di lavorare. (…). Penso che bisognerebbe conservarlo l'articolo 18 così inteso e riconoscerlo anche ai lavoratori impiegati in aziende con meno di quindici dipendenti; penso anche che i precari che dopo un certo numero di anni ottengono il contratto a tempo indeterminato, abbiano anch'essi quella tutela. (…). L'abolizione dell'articolo 18 si può fare soltanto se compensa il lavoro con l'equità che deve essere massima se è vero che la nostra Costituzione si basa sul lavoro e questo dovrebbe essere l'intero spirito della nostra Repubblica. I ricchi paghino, gli abbienti paghino, i padroni (…) paghino e le disuguaglianze denunciate da Napolitano diminuiranno. Una politica di questo genere, quella sì ci darebbe la forza di indicare all'Europa il percorso del futuro. (…).
Ho scelto di anteporre la lunga citazione del fondatore del quotidiano la Repubblica giusto per costruire un ponte tra l’oggi deprimente che si vive e le questioni contenute nella “sfogliatura” proposta che risale al 6 di dicembre dell’anno 2011 e che aveva per titolo – opportunamente mantenuto – “La lotta”. Poiché di un “pifferaio” dei nostri giorni ne ha parlato – ravvedendosi per tempo - l’Eugenio Scalfari, così come di un altro “pifferaio”, nella “sfogliatura” proposta, ne parla don Paolo Farinella. Il falso appare in tutta la sua evidenza: il cambiamento di verso è una sesquipedale bugia. “Tutte le società finora esistite si sono fondate sull’antagonismo tra la classe degli oppressori e quella degli oppressi. Ma per opprimere una classe è necessario quanto meno assicurarle condizioni di esistenza che le consentano di vivere da schiava. Al culmine del feudalesimo, il servo della gleba è riuscito a diventare membro del Comune; ed il borghese in nuce del medio-evo ha raggiunto la posizione di borghese, pur stando sotto il giogo dell’assolutismo feudale. Invece, l’operaio moderno, lungi dall’elevarsi col progresso dell’industria, scende sempre più in basso, perfino al di sotto del livello delle condizioni della sua classe. Il lavoratore precipita nel pauperismo ed il pauperismo cresce ancora più rapidamente della popolazione e della ricchezza. È quindi evidente che la borghesia è incapace di ricoprire il ruolo di classe dominante e di imporre alla società, quale legge suprema, quella delle condizioni di esistenza della propria classe. La borghesia non può dominare, perché non è più in grado di assicurare l’esistenza al proprio schiavo, pur nel quadro della sua schiavitù; e perché è costretta a lasciarlo cadere in una situazione tale in cui, invece di farsi mantenere da esso, deve piuttosto mantenerlo. (…).”. Il brano appena trascritto è stato ripreso da “Il Manifesto (1848)” del Moro di Treviri. Don Paolo Farinella, del quale di seguito trascrivo in parte la lettera apparsa sul sito della rivista “MicroMega” col titolo “Il governo vaticano”, si duole, in essa, di chi “non ha mai conosciuto né Marx né la filosofia del comunismo ideale”  o ne abbia travisato il pensiero. È un passo notevole per un membro della chiesa di Roma, a conferma del sentire profondo di un uomo di chiesa costantemente vicino alla gente che abbisogna o soffre e ben lontano dalle gerarchie espresse dalla sua confessione. Scriveva, a proposito del Moro di Treviri, il giornalista John Swinton in una Sua corrispondenza del 6 di settembre dell’anno 1880 sul “New York Sun”– corrispondenza riportata (pag. 338) nella stupenda biografia “Karl Marx. una vita” di Francis Wheen, Isbn edizioni (2010) pagg. 400 € 27,00 -: “Parlammo del mondo e dell’uomo, dei tempi e delle idee, con il rumore del mare che faceva da sottofondo al tintinnio dei nostri bicchieri. Il treno non aspetta nessuno, e la notte è imminente. Levandosi al di sopra del confuso brusio degli anni e delle epoche, oltre i discorsi del giorno e le immagini della serata, affiorò alla mia mente una domanda sulla legge ultima dell’esistenza per la quale avrei voluto una risposta da parte di quel saggio. Durante una pausa di silenzio, mi rivolsi al rivoluzionario e filosofo con queste fatidiche parole, emerse dalle profondità del linguaggio e scandite al culmine dell’enfasi: - Che cos’è? -. Sembrò che la sua mente si distraesse mentre guardava il mare che tumultuava davanti a noi e la moltitudine che si agitava sulla spiaggia. - Che cos’è? – avevo chiesto, e in tono profondo e solenne egli rispose: - La lotta! -. Per un attimo mi parve di aver udito l’eco della disperazione, ma forse era la legge della vita.” La “lotta” quindi, che ciascuno dovrebbe combattere nel suo piccolo, costantemente, giornalmente, affinché l’anelito alla giustizia ed all’equità abbia a trovare il terreno fertile per accrescersi e propagarsi. Inutili saranno, altrimenti, le profezie dell’uomo di Treviri o, al contempo, le visionarie predicazioni dell’uomo di Nazareth. Don Paolo Farinella è di “quelli” che lottano in nome di quell’Uomo. “(…). Ciò che non si vuole capire è che la crisi non è la conseguenza di speculazioni (è anche questo), non è frutto della globalizzazione (è anche questo), non è il risultato dell’incapacità dei governi di fare scelte «sapienti» (è anche questo), non è per l’Italia la condanna per la goffaggine di un governo corrotto figlio di un macigno di conflitti d’interessi (e ci mancherebbe altro che non fosse anche questo), ma è la crisi «interiore» di un sistema, del sistema capitalistico che, a 22 anni esatti dalla caduta del muro di Berlino, si sta schiantando su se stesso perché non può più reggere, essendo immorale nell’anima, se mai ne ha avuta una. Il capitalismo di stampo americano ha potuto reggersi in piedi perché, paradossalmente, dall’altra parte c’era il comunismo becero dell’Unione Sovietica che non ha mai conosciuto né Marx né la filosofia del comunismo ideale, ma si è assestata su un capitalismo di Stato/partito finendo per essere il fondamento dello sviluppo del capitalismo oligarchico dell’Occidente. Solo i superficiali hanno potuto cantare vittoria alla caduta del Muro, emblema del fallimento del comunismo come storicamente si è realizzato nei Soviet. «Simul stabunt, simul cadent!» dice il proverbio latino: «Insieme stanno e insieme cadranno». Così è. Caduto il comunismo di stampo sovietico, in Italia crolla la DC e il sistema dei partiti scomparsi sotto le macerie di Tangentopoli, rimpiazzati da un piazzista magliaro e corrotto che ha ereditato il peggio di prima a cui ha aggiunto il peggio di dopo, mettendo in piedi una colossale schifezza che si presenta con una maschera facciale e trapianti di plastica. Berlusconi è la plastica riciclata del craxismo e della peggiore Dc, non a caso nelle sue stalle sono confluiti tutti gli animali immondi della prima repubblica, compresi i fascisti. Il capitalismo è peggiore del comunismo sovietico, perché questo garantiva la miseria abbastanza uguale per tutti, quello invece crea la miseria delle masse per garantire la ricchezza ad un gruppo ristretto di debosciati oligarchi che fanno quello che vogliono. La conseguenza tragica è il «mercato», parola magica che serve per giustificare tutte le ignobili scelte in qualsiasi campo e settore. Il dio che tutto muove è il «mercato» che è il sistema attraverso cui i ricchi schiacciano i poveri e li costringono a pagare il costo della loro esistenza di rapina. Il mercato dovrebbe essere emulazione, concorrenza, confronto, con condizioni uguali per tutti, ma quando è corrotto da chi lo annuncia e lo esige, quando è manipolato da chi se ne fa scudo, quando è deviato da conflitti di interessi micidiali, allora il capitalismo è una bolgia infernale che uccide i deboli e ingrassa i forti e violenti e degeneri e ladri. Se si vuole uscire dalla crisi che è «crisi di sistema», bisogna porsi su un altro piano: ridistribuzione equa delle ricchezze. In un mondo decente non dovrebbero esserci «stock options», e dislivelli di retribuzione nel rapporto di 1/517 come avviene con il sig. Marchionne che prende una paga pari a 517 volte quelle di un suo operaio. Questa è la chiave della riforma e fuori di essa ci sarà il diluvio, l’apocalisse perché quando scoppierà «la collera dei poveri», tireremo giù il sole e incendieremo la terra inondandola di una luce nuova e di un nuovo orizzonte, dove tutti saranno veramente uguali, come vuole il Vangelo, come lo esige la dignità. don Paolo Farinella”

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