"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 21 settembre 2014

Sfogliature. 31 “Anche il capitalismo è morto?”.



Andando di “sfogliatura” in “sfogliatura”, nel tempo che l’attesa per gli eventi che verranno abbia compiuto il suo giro, mi preme offrire alla Vostra riflessione e considerazione il post del 19 di maggio dell’anno 2010 che aveva per titolo “Stato e mercato: una soluzione o la soluzione?”. Ma al contempo mi preme contestualizzare quello scritto, all’oggi che ha imboccato un “verso nuovo”. Falso. Il “verso” è quello che era stato tracciato come solco profondo da difendere, si sarebbe detto un tempo balordo, con la “spada”. Il solco che custodisce imputridendoli i semi da far germinare di quei temi che dovrebbero stare a cuore a chi regge la conduzione della cosa pubblica ed a chi da quella gente ne è guidata. Ho avuto modo di dire, in altre occasioni, come i temi della qualità della vita siano scomparsi dalle agende della politica, ovvero come quei temi vengano agitati prima del voto come specchietto che attragga le allodole, per poi essere abbandonati ottenuto il consenso elettorale. Ricordate? La scuola. La cultura. L’ambiente. La salute. Temi dei quali si è persa la traccia. Per qual motivo? Il Pil! Il Pil che domina e scrive le agende della politica tutta, senza distinzione alcuna. E mi garba di contestualizzare la “sfogliatura” di oggi riprendendo un celeberrimo passo da un discorso che Bob Kennedy pronunciò all’università del Kansas il 18 di marzo dell’anno 1968, tre mesi prima di morire ucciso da un tale Shiran Shiran:
“Per troppo tempo e in misura eccessiva abbiamo sacrificato l’eccellenza personale e i valori comunitari sull’altare di una mera accumulazione di beni materiali. Il nostro Prodotto nazionale lordo oggi è di oltre 800 miliardi di dollari. In quegli 800 miliardi sono addizionati l’inquinamento atmosferico, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze che trasportano le vittime delle stragi sulle autostrade. Aggiungiamo al conteggio il valore dei lucchetti delle porte di casa, e delle prigioni dove rinchiudiamo quelli che li hanno scassinati. Addizioniamo la distruzione delle sequoie, l’urbanizzazione caotica che distrugge le bellezze naturali. Nel Prodotto nazionale lordo ci sono il napalm, le testate nucleari, i blindati della polizia per combattere le rivolte nelle nostre città. Ci sono dentro le pistole e i pugnali, i programmi televisivi che esaltano la violenza per vendere giocattoli ai nostri bambini. Invece il Prodotto nazionale lordo non calcola la salute dei nostri figli, la qualità della loro istruzione, o la serenità dei loro giochi. Non include la bellezza della poesia o la solidità dei nostri matrimoni, l’intelligenza del dibattito pubblico o l’onestà dei funzionari dello Stato. Non misura il coraggio né la saggezza né l’apprendimento, non misura la carità né la dedizione agli interessi del paese. In sintesi: misura tutto, eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta. Ci può dire tutto dell’America, fuorché la ragione per cui siamo orgogliosi di essere americani”. (…). Oggigiorno, a seguito di una direttiva comunitaria, nel nostro Pil addizioneremo le ricchezze prodotte dalle attività illegali, prostituzione, contrabbando, riciclaggio di capitali, droga e quant’altro concorra alle necessità di far bottino. Si passi ora alla “sfogliatura”. L’onda lunga di quello che è stato il liberismo della “ dama di ferro “ nella terra d’Albione, e che è stato pure la stella cometa che indicò la via al pistolero d’America divenuto statista di prima grandezza, quell’onda lunga si manifesta ancora ed è pur sempre sotto gli occhi di tutti nelle verdi contrade del bel paese. I postulatori di quella ideologia sopravvivranno alla sua dipartita? Difficile pensarlo, ancor più difficile crederlo. Ché il capitalismo è proprio come il famoso gatto: ha sempre sette vite. È che il mondo dell’occidente, edonista e materialista e scristianizzato, non potrebbe sicuramente sopravvivere al destino tragico che Giuseppe Tamburrano, in una Sua riflessione pubblicata di recente su “il Fatto Quotidiano” preconizza per il capitalismo, al capitalismo nelle forme nelle quali si manifesta oggigiorno. Il mondo dell’occidente è cresciuto col capitalismo, per il capitalismo: possibile che “Anche il capitalismo è morto”, così come titola l’illustre Autore nella Sua dotta riflessione? Non vedo all’orizzonte una simile eventualità, poiché non vedo nelle masse opulente dell’occidente, una tensione ideale, un superamento dell’egoismo di cui scriveva, con infinita lucidità e lungimiranza, il grande Saul Bellow nel Suo straordinario lavoro che ha per titolo “ Herzog “: (…). La nostra è una civiltà borghese. Non uso questo termine nel senso in cui l’usava Marx. Fifone! Nel moderno lessico dell’arte e della religione, è borghese considerare che l’universo sia stato fatto per il nostro placido uso e consumo e per darci conforto, comodità e sostegno. La luce non viaggia a 300 mila Km al secondo per permetterci di vedere mentre ci pettiniamo o per leggere sul giornale che gli ossi di prosciutto oggi costano meno di ieri. Tocqueville considerava l’impulso verso il benessere come uno degli impulsi più forti di una società democratica. Non gli possiamo rimproverare d’aver sottovalutato i poteri distruttivi generati da tale impulso. (…). E pensare che Saul Bellow, nel Suo tempo, sapeva di un solo mondo, l’Occidente, rapito e confuso da quell’insano “impulso”: vedesse il mondo d’oggi come si è ridotto! Di seguito trascrivo, in parte, l’interessante riflessione di Giuseppe Tamburrano. “C’era una volta l’ideologia, un concetto difficile da definire. Grosso modo è una filosofia di parte: e cioè una concezione del mondo finalizzata a cambiarlo (o a conservarlo). I filosofi puri, gli scienziati la  disprezzano (ma Gramsci diceva philosophus purus purus asinus) perché non è una visione oggettiva. Ma per chi vuole cambiare (o conservare) le cose è, un’ottica necessaria. Marx ne ha dato una definizione fulminante: - Fin ora i filosofi hanno interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo - (tesi su Feuerbach). Il marxismo-leninismo si è sbriciolato come i macigni del Muro di Berlino. È la fine delle ideologie, proclamarono gli anticomunisti. E invece prese vigore una nuova ideologia che fu fatta propria dagli ex comunisti forse perché, vedovi, non poterono farne a meno essendo mitridatizzati e assuefatti. Mi riferisco all’ideologia del mercato senza limiti, unica ricetta per assicurare magnifiche sorti e progressive all’umanità (ruolo che si era assunto anche, dalla parte opposta, il comunismo!): una ideologia che apparve vincente dopo il fallimento dello statalismo comunista e che fu la crociata del capitalismo reaganiano fondato sui postulati di Milton Friedman e della Scuola di Chicago. Portata alle sue estreme conseguenze fu proposta come la fine della storia o il fine raggiunto dalla storia. Non diversamente dal comunismo, del resto, dal lato opposto: se la Storia è storia di lotte di classe, la fine della lotta con la vittoria del proletariato è la fine della Storia. In questi mesi un altro muro è crollato: quello di Washington. È crollata l’ideologia reaganiana del mercato senza limiti. Lo dice papale papale Massimo Gaggi sul Corriere della Sera del 9 maggio: - Affidarsi alla capacità dei mercati di autoregolarsi non è più possibile -. E Gaggi traduce una realtà: quella dello sconquasso che la libertà senza limiti delle forze che si muovono all’interno del mercato sta provocando. Questa constatazione si diffonde. Ne è convinto Obama che è dovuto intervenire con soldi dello Stato per salvare banche e industrie, fornendo liquidità ma anche prescrizioni alle banche (mi sembra con scarsi risultati) e alle industrie: alla General Motors (l'interesse della General Motors coincide con quello dell'America, disse il generale Eisenhower quando era presidente degli Usa). Obama ha fatto un altro discorso: ti do i soldi dello Stato ma tu non sei libero di usarli come ti pare: devi costruire automobili più piccole e che inquinano meno. (…). E in Europa, epicentro delle turbolenze, che cosa insegna la crisi attuale? Che la speculazione, cioè forze del mercato senza freni, hanno rischiato di mettere in ginocchio l’Europa. La quale ha finalmente deciso di intervenire contro i tanto esaltati spiriti animali. Non dà quest’ultimo gravissimo caso ragione agli europeisti secondo i quali l’Europa non può essere solo una unità monetaria ma deve essere un’entità politica con poteri propri? Eppure nel caos si vede la stella polare ma nessuno la segue. Sempre in più pochi sosteniamo che le soluzioni non sono due: il collettivismo statalistico o il mercato deregolato. La soluzione è una: il socialismo che promuove la cooperazione tra la  mano pubblica e la mano nascosta del mercato. Aggiornare questa idea di fondo del socialismo riformista non è facile, ma è il compito esaltante di una sinistra alla ricerca della sua moderna identità. È la rinascita del socialismo, di quel socialismo che non vuole abolire il mercato, ma togliergli la sovranità e restituirla al popolo, il quale attraverso i meccanismi della democrazia discute e sceglie i fini generali della comunità e lascia al mercato – strumento e non fine – il più ampio spazio per realizzarli. Stato e mercato: Stato che orienta, mercato che realizza. (…)”. Al tempo della “sfogliatura” si parlava ancora di “quel socialismo che non vuole abolire il mercato, ma togliergli la sovranità e restituirla al popolo”. Punto.

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