"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 19 settembre 2014

Sfogliature. 30 “L’invidia sociale trasferita ai piani bassi”.



Nell’altra vita “virtuale” di questo blog una sua sezione aveva per titolo “Samizdat”. Cos’era (cos’è) un “samizdat”? Domanda terribile! Mi soccorre la provvidenziale Wikipedia che alla voce “samizdat” scrive: (самиздат; pron.: səmᵻ’zdat) in russo significa "edito in proprio", e indica un fenomeno spontaneo che esplose in Unione Sovietica e nei paesi sotto la sua influenza (Cecoslovacchia, Polonia, ecc.) tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta. Un altro mondo, un altro tempo! Era una controinformazione. Ciò che si spera possa fare oggigiorno il web. Ed in quella sezione, alla data del 26 di maggio dell’anno 2010, postavo un pezzo che per titolo faceva “E noi pecore li abbiamo seguiti!!!”. È la “sfogliatura” che oggi di seguito propongo con un prologo che mi pare necessario per contestualizzare l’argomento all’oggi. Me ne offre l’occasione – di un prologo che contestualizzi - Alessandro Robecchi che l’11 di settembre ultimo su “il Fatto Quotidiano” ha pubblicato un pregevole e graffiante “pezzo” che ha per titolo “Il capolavoro di Renzi: l’invidia sociale trasferita ai piani bassi”. Scrive Robecchi: (…). …l’ideologia è viva e lotta insieme a noi. Anzi, contro di noi. E un caso di scuola ci viene dalle recenti imprese del governo Renzi, prima tra tutte quella del blocco degli stipendi del pubblico impiego: circa tre milioni di lavoratori per una “manovra” (un pezzettino di quella manovra correttiva che “non ci sarà”, ma invece c’è eccome) da circa tre miliardi. (…). Come si sa, il governo Renzi gode di grande sostegno e popolarità, e come si sa è sostenuto quasi militarmente da alcune falangi di fedelissimi piuttosto acritici, soldatini sempre in piedi dei social network. È bene ascoltarli, perché sono loro a tradurre in parole nette l’ideologia corrente.
Ora però una pausa. Ha scritto tanto tempo fa quel genialone che risponde al nome di Goffredo Fofi, in “La vocazione minoritaria” - Laterza editore (2009), pagg. 165, € 12 –, che… “una delle astuzie della società attuale – almeno in Italia – è di aver convinto i poveri ad amare i ricchi, a idolatrare la ricchezza e la volgarità. In passato i poveri solitamente non amavano i ricchi: li si convinceva, anche con la forza, a sopportare la loro condizione, si tollerava anche che peccassero di invidia, al più li si spaventava con la prospettiva delle pene dell’inferno. Negli anni Ottanta, negli anni di Craxi, è esplosa invece una cosa del tutto nuova: la tendenza a negare le differenze tra i ricchi e i non ricchi, a far sì che i non ricchi si pensino ricchi, che amino i ricchi come maestri di vita, come modelli assoluti di cui seguire ogni esempio”. Stop: termine della citazione. Scrive di seguito Alessandro Robecchi che contestualizza una nuova “lotta di classe” ma all’incontrario: Il più chiaro esempio di vulgata renzista di fronte al blocco degli stipendi pubblici (praticamente un taglio, specie se si pensa che il 2015 sarà il quinto anno consecutivo di blocco) è il seguente: “Gli statali hanno un lavoro”. Di più: “Un lavoro fisso”. Che sia un lavoro pagato poco, sì, lo dicono anche loro (specie quando parlano di docenti, maestri e professori, notevole base elettorale) ma per ora è quel “posto fisso” che disturba, che offende, che indigna. Prima lezione di ideologia: invece di battersi per un “posto fisso”, o almeno dignitoso e minimamente garantito per tutti, si demonizza chi ce l’ha. Insomma, il meccanismo è semplice: si prende un diritto che a molti è ingiustamente precluso e lo si chiama “privilegio”, additandolo al pubblico ludibrio. Ora ci sono due componenti di questa posizione altamente ideologica che si sposano mirabilmente. Il primo è la lenta, ma inesorabile, distruzione dell’immagine del dipendente pubblico. Una cosa che prosegue da anni e anni: è ladro, non lavora, va al bar, eccetera. Il secondo dato ideologico è la vera vittoria del renzismo: aver trasferito l’invidia sociale ai piani bassi della società. Quella che una volta si chiamava lotta di classe (l’operaio con la Panda contro il padrone con la Ferrari) e che la destra si affannava a chiamare “invidia sociale”, ora si è trasferita alle classi più basse (il precario con la bici contro l’avido e privilegiato statale con la Panda). Insomma, mentre le posizioni apicali non le tocca nessuno (né per gli ottanta euro, né per altre riforme economiche è stato preso qualcosa ai più ricchi), si è alimentata una feroce guerra tra poveri. Una costante corsa al ribasso che avrà effetti devastanti. Perché se oggi un precario può dire al dipendente pubblico che è privilegiato, domani uno che muore di fame potrà indicare un precario come “fortunato”, e via così, sempre scavando in fondo al barile. Si tratta esattamente, perfettamente, di un’ideologia. (…). È giusto dire che finalmente in Italia si è “cambiato verso”. Ed ora la “sfogliatura”: Nino P., navigatore della rete ed inaspettato, gradito visitatore del mio blog, ha lasciato il commento che di seguito trascrivo al mio post “Elogio (innocente) del baratto”: “Sono un uomo del popolo,  non possiedo una cultura elevata e non appartengo a nessun gruppo politico, nella mia busta paga, fino a poco tempo fa, nella dicitura qualifica, usciva la scritta: operaio qualificato, adesso sono un tecnico...ma... dentro di me...resto un operaio. Mi sento di appartenere a quella classe che non c'è più, che è nascosta e rintanata nelle parti oscure di questa società. Ci hanno impedito di sentirci una classe, un gruppo. E noi pecore li abbiamo seguiti!!! Ciao Nino P”. A Nino P. non ho risposte da dare. Navigo a vista anch’io. Traballano le mie certezze di un tempo. Riaffiorano acredini e nostalgie mal sopite. Penso d’averne ampiamente parlato a proposito della grande emozione che mi ha suscitato la visione del lavoro cinematografico di Susanna Nicchiarelli “Cosmonauta”. Consiglio a Nino P. la visione del film. A quelle lontane nostalgie resto fortemente aggrappato, per non affondare nella melassa indistinta dell’oggi. Nell’indistinto generalizzato, o meglio globalizzato, forse, come è uso oggi parlarne, quelle nostalgie sono la mia “uscita di sicurezza”. Tanto per parafrasare quel grande che è stato Ignazio Silone. A Nino P. offro in cambio della sua cortesia e della sua attenzione una riflessione di Umberto Galimberti che ha per titolo “Intanto noi balliamo”. “(…). … persino nelle sale da ballo delle case del popolo, (…), si balla molto, ma, come è logico, si parla poco.” Nino P. ha notizie delle “case del popolo?”. Esisteranno ancora come luogo di socializzazione e di partecipazione politica? Che la dotta riflessione dell’illustre Autore, pubblicata il 9 di agosto dell’anno del signore 2008 su di un supplemento del quotidiano “la Repubblica”, possa servire a Nino P. affinché rintracci quelle risposte che egli va cercando e che personalmente non riuscirei a dargli. “Nell'Eclissi della ragione (Einaudi) Horkheimer ha ancora un residuo ottimistico là dove scrive: - L'uomo è ancora migliore del mondo in cui vive -. Con il crollo delle ideologie se ne sono andate anche le idee. E con le idee sono scomparse anche le passioni e i sentimenti che le sostenevano. Lo spaesamento che ne è seguito, a mio parere, non è congiunturale, ma strutturale, perché da quando l'economia da fattore del sociale è divenuta forma del sociale e la sua razionalità si è imposta come modello a tutte le forme di pensiero, non si dà mondo che non sia il mondo-del-denaro, dove impraticabile diventa la via dell'opposizione, della resistenza, della lotta che gli uomini hanno conosciuto quando ancora esisteva una distanza tra mondo reale e mondo ideale. Una volta risolto il mondo nel mondo-del-denaro, l'economia, (…), spoglia la nozione di società e la nozione di individuo di ogni valenza qualitativa e, visualizzando l'una e l'altro da un punto di vista puramente quantitativo, riduce la società a mercato facilmente computabile nelle sue dinamiche, e l'individuo a semplice rappresentante dei suoi interessi materiali. Ma là dove la società è ridotta a mercato, e per giunta globale, nonostante il pensiero dominante non cessa di celebrare il primato dell'individuo (individualismo) e a sollecitare la sua libera iniziativa (liberismo), in realtà ciò a cui si assiste è il declino dell'individuo e la sua progressiva estinzione. Nel mercato, infatti, gli individui entrano in relazione fra loro in forza degli interessi che promuovono le loro azioni. Ma così facendo, essi interagiscono non in quanto soggetti con le loro specificità e peculiarità, ma in quanto titolari di interessi. E allora vien da dire che, al di là delle sue intenzioni, è proprio l'economia liberista, nella sua reiterata celebrazione dell'individuo e dei suoi irrinunciabili valori, a preparare le esequie dell'individuo in quella sua unicità e specificità che sfugge a ogni omologazione. Già Marx constatava che ‘le persone esistono qui l'una per l'altra soltanto come rappresentanti delle merci’, mentre nella società si assiste a ‘rapporti di cose fra persone e rapporti sociali fra cose’. Come insieme di rappresentanti di interessi, la società diventa meglio leggibile e meglio governabile di quanto non lo sia come insieme di individui. E a quel residuo di individualità che ancora permane e resiste a questa riduzione si concede quello spazio, ritagliato nel sociale e soprattutto non incidente nel sociale, che è la sfera privata, la quale però, invasa com'è dai media, sempre più tende a diventare la semplice riproposizione del pubblico, il luogo più intimo della sua interiorizzazione. A questo punto non si dà interiorità se non come accoglimento dell'esteriorità, non si dà dentro se non come riflesso del fuori, non si dà attività se non dopo aver ricevuto passivamente le regole con cui agire e i contenuti su cui agire, non si dà libertà se non nell'ambito circoscritto dell'omologazione. Per questo persino nelle sale da ballo delle case del popolo, (…), si balla molto, ma, come è logico, si parla poco.”

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