"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 22 settembre 2014

Oltrelenews. 1



Da “L’Amaca” di Michele Serra, sul quotidiano la Repubblica del 21 di settembre: Il dibattito sull’articolo 18 ha qualcosa di nobilmente nostalgico (nei suoi difensori) e di inutilmente maramaldesco (nei suoi avversatori). È un po’ come veder qualcuno che litiga sulla scelta delle tende in un palazzo ormai ridotto in macerie. Nel frattempo il lavoro è diventato una poltiglia che gli offerenti vendono sottocosto, e nonostante questo gli acquirenti non possono più permettersi di comperare; sistema pensionistico e sistema sanitario poggiano su basi di prelievo sempre più esigue. Specie ad ascoltare le storie di molti ragazzi, anche laureati, l’impressione è di vivere una specie di lungo “anno zero” del lavoro, che non c’è, se c’è è mal pagato, se è ben pagato è di corto respiro. Bisognerebbe, tra le macerie, ripensare daccapo a diritti, doveri, tutele. Ma per farlo ognuno dovrebbe rinunciare a qualcosa: i sindacati alla memoria gloriosa ma oramai remota del proletariato di fabbrica e di una visione di classe resa impossibile dalla trasformazione delle classi (non solo quella operaia) in un immenso coacervo di individui smarriti e di interessi frantumati; i datori di lavoro al terrore, vecchissimo anche quello, che un lavoro più garantito sia solo un impiccio e una minaccia; la politica all’illusione di limitarsi ad arbitrare, come ai tempi di Agnelli e Lama, un conflitto padroni-operai oramai largamente in secondo piano rispetto al vero conflitto di classe, che è quello tra capitale finanziario da un lato, mondo del lavoro (imprenditori compresi) dall’altro.

Da “Stop ai fondi Ue contro la fame, colpa di Germania e Italia. Così 4 milioni di persone sono senza aiuti" di Federico Fubini, sul quotidiano la Repubblica del 21 di settembre: Dopo una lunga carriera come maestra,  di recente Cristina Danese ha iniziato a notare qualcosa che le ricorda l'infanzia: bambini affamati fra i banchi di scuola, a Milano. Quello che questa insegnante non sa è che la malnutrizione che grava su milioni di persone nell'Italia del 2014 non è solo frutto della crisi più lunga nella storia nazionale. (…). La fame in Italia nel 2014 è un'epidemia non vista, ma non invisibile. È una piaga evitabile, ma non evitata: a Roma, a Bruxelles e a Berlino ha radici e omissioni che vanno aldilà del disastro che sta rendendo l'economia italiana oggi di 230 miliardi di euro più piccola di come sarebbe se tutto fosse continuato al ritmo, lento, tenuto dal Paese fino al 2007. Nella richiesta di aiuti che il governo ha spedito a Bruxelles questo mese si legge: "La quota di individui in famiglie che non possono permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni è cresciuta dal 12,4% del 2011 al 16,8% del 2013". Quest'anno sta salendo ancora, stima il Banco alimentare. Sono i numeri di un collasso consumato nella distrazione del resto del Paese: secondo l'Istat le persone in povertà assoluta in Italia, cioè incapaci di sostenere la spesa minima mensile per alimentazione, casa, vestiti, sono passate da 2,4 milioni del 2007 a sei milioni nel 2013. Praticamente nessuno di loro è stato raggiunto dal bonus fiscale da 80 euro al mese deciso dal governo. Secondo l'Agea, l'agenzia del governo per l'aiuto alimentare, gli assistiti con cibo in Lombardia sono aumentati del 26% in quattro anni a 330 mila del 2013: insieme farebbero la seconda città della regione dopo Milano. Nel Lazio sono 425 mila, più 30% nello stesso quadriennio. E l'anno scorso il Banco alimentare, che copre meno di due terzi degli assistiti in Italia, ha dato da mangiare a duecentomila bambini fra zero e cinque anni: è il doppio rispetto al 2007, in un'età durante la quale la malnutrizione può imprimere danni irreversibili allo sviluppo mentale. (…). Negli Stati Uniti alla Grande depressione degli anni '30 si rispose con i "Food Stamps", i buoni che ancora oggi garantiscono che chiunque abbia almeno da mangiare. L'Italia oltre 80 anni dopo non ha niente del genere, il sostegno agli indigenti può essere zero, e l'Europa ha risposto alla Grande Recessione con una lite sul cibo in Corte di giustizia. (…). È (…) che gli intoppi della politica e della burocrazia in Italia hanno prodotto un passaggio a vuoto in cui, quasi certamente, quest'anno milioni di persone (4 si stima) si sono viste ridurre i pacchi alimentari o le porzioni alle mense di carità. Il vecchio sistema europeo di aiuti in natura infatti è stato chiuso con la fine del 2013, quello nuovo di aiuti finanziari è uscito in Gazzetta Ufficiale della Ue il 12 marzo 2014. Ora spettava al ministero del Lavoro presentare subito un "piano operativo" a Bruxelles sull'impiego di questi fondi, in modo da poterli ricevere al più presto. Il tempo conta. Per evitare un arresto del flusso di cibo agli indigenti, la Francia per esempio ha preparato il proprio programma già da fine 2013, lo ha subito presentato ed è partita con gli anticipi di cassa, senza interruzioni. Anche Paesi con problemi di povertà come la Polonia ha mandato i piani a Bruxelles in tempi stretti. In Italia invece si è costituito un "tavolo" a fine aprile guidato da Giuliano Poletti, il ministro del Lavoro, con sindacati, enti caritativi, Regioni, grandi città, l'associazione dei Comuni e vari altri soggetti. La disponibilità di cassa e non più di pasta, scatolame o biscotti dall'Europa aveva prodotto una novità: le amministrazioni più a corto di soldi per l'assistenza sociale, Comuni come Palermo, Genova o Napoli, per la prima volta si sono messi a competere con gli enti caritativi per ricevere e intermediare i sussidi di Bruxelles. Questa concorrenza per le risorse ha ritardato tutto e il flusso di aiuti dall'Europa, cioè gran parte del cibo per milioni di poveri in Italia, si è interrotto. L'Italia non è il solo caso in Europa, è vero, anche se pochi altri Paesi hanno una simile crescita della povertà. Il blocco dei sussidi era talmente prevedibile che il governo di Enrico Letta aveva persino creato un fondo per garantire gli approvvigionamenti di quest'anno, ma non è servito: la Legge di stabilità lo finanzia con appena 10 milioni, un decimo delle somme necessarie. Ora il piano italiano, dopo una riscrittura in estate, è definitivamente partito per Bruxelles a inizio settembre. Gli anticipi di cassa sono scattati da agosto ma servono ancora i bandi e gli appalti per prodotti come pasta o zucchero. I primi alimenti per chi ne ha urgente bisogno arriveranno non prima di fine novembre, nove mesi in ritardo. (…).

Da “Violante, un uomo per tutte le poltrone” di Ferruccio Sansa, su “il Fatto Quotidiano” del 22 di settembre: Povero Violante. Sì, a volte anche i potenti suscitano tenerezza, non ci azzardiamo a dire pena per non mancare di rispetto. Sembra non essersi accorto che mezzo paese (quasi tutto, al di fuori del fortino delle segreterie di partito) non lo vuole come giudice costituzionale, e lui aspetta imperterrito di essere nominato. Povero Violante, la sua insistente tenacia ti fa quasi pensare a quei signori che bussano alle porte dei giornali, delle case editrici con sottobraccio un manoscritto di migliala di pagine che racconta la loro vita, i loro amori giovanili. A quegli inventori che passano le giornate a proporre lo straordinario brevetto - cui hanno dedicato l'intera esistenza - per pelare le patate senza sporcarsi le dita. Bussa no di porta in porta, impegnati in una battaglia contro il mondo che non gli crede. Più che indignarsi di fronte a tanta insistenza, bisognerebbe provare a prendere da parte Violante, a parlargli. Più che puntare sul senso delle istituzioni, forse servirebbe fare appello al senso di sé che quasi tutti in fondo conservano. Il problema è che, a differenza di tanti geni incompresi, Violante non propone un pelapatate, ma la propria candidatura a una delle cariche più importanti dello Stato. E soprattutto è riuscito a convincere più d'uno: non persone qualunque, ma i vertici del Pd e addirittura del Paese. Chissà, forse anche loro sono mossi da umana comprensione, dal timore che l'uomo scivoli nella malinconia dopo una vita spesa tra tanti impegni e poltrone (poco importa, come sostengono i soliti maligni, che le abbia magari ottenute non solo perché le sue idee erano condivise da tutti, ma perché lui Ha ancora un giorno Violante, per pensarci. Per compiere un gesto che gli farebbe più onore della poltrona: ritirarsi. Ma anche nel Pd qualcuno potrebbe riconsiderare la questione. La carica di giudice costituzionale richiede sopra ogni cosa due caratteristiche: competenza e indipendenza. Soprassediamo sulla prima, anche se verrebbero in mente tanti giuristi degni di quel ruolo. Ma Violante, forse, negli anni spesi a fare politica passava le notti chino sui codici. Possibile. Di certo, e non gli facciamo offesa ricordandolo, l'esponente Pd è uomo di parte. Forse, addirittura di più parti. Un vantaggio per un politico, non per un giudice costituzionale. Chissà, forse anche il suo amico Giorgio Napolitano ha provato a frenarlo. E noi del Fatto abbiamo pensato male: quel monito contro i "settarismi" era proprio rivolto al Pd che ostinatamente cercava di imporre persone non gradite. Forse, addirittura, in un impeto di ironia, il Presidente si rivolgeva perfino a se stesso. Stava sperimentando un nuovo genere di messaggio: l'auto-monito.

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