"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 20 luglio 2014

Storiedallitalia. 57 “Assolto in appello!!!!! In che mondo viviamo?”.



Scrive la giovane, cara, anzi carissima Manuela Perdichizzi in una Sua pagina su Facebook: “ASSOLTO in appello!!!!! In che mondo viviamo?”. Comprendo il Suo disappunto, ma non comprendo la Sua meraviglia. L’abbondanza degli esclamativi ne evidenzia la misura. Ma con la meraviglia non si fa la Storia. Poiché la sentenza del 17 di luglio trova una spiegazione che non fa una grinza. Tutto era stato preparato. Con accortezza certosina. È che le cose non avvengono per un destino che un tempo solevasi definire “cinico e baro”. La Storia ci insegna che le azioni degli esseri umani traggono la loro forza dalla appartenenza a quegli aggregati che un tempo la passatista sociologia definiva “classi”. E già, le “classi” sociali. Ritenute morte e sepolte. Con buona pace degli ingenui. Poiché anche il legiferare trova significato nell’appartenere ad una o ad un’altra di quelle “classi”. Anzi di più: quelle “classi” d’appartenenza esprimono quegli uomini al governo affinché legiferino in sintonia ed in previsione di un futuro utilizzo della legislazione più conveniente. È da tempo che vado sostenendo della incongruenza di quella epigrafe – intesa come iscrizione su pietra, terracotta o altro supporto diverso dai normali materiali degli scrittori - issata nelle aule dei nostri tribunali per la quale “La giustizia è uguale per tutti”. Una beffa! Tutto era scritto e tutto si è svolto secondo gli auspici. Torniamo al dunque. Ha scritto Marco Travaglio – “Innocente a sua insaputa” – su “il Fatto Quotidiano” del 19 di luglio, all’indomani dello scontato pronunciamento di quella Corte d’Appello:
Perché (…) l’avvocato Coppi confessa, in un lampo di sincerità, che l’assoluzione va al di là delle sue più rosee aspettative? Perché sa bene che il primo dei due capi di imputazione, quello sulle ripetute telefonate di B. dal vertice internazionale di Parigi ai vertici della Questura, è un fatto documentato e pacificamente ammesso da tutti: ed è impossibile negare che, quando un capo di governo chiede insistentemente un favore a un pubblico funzionario, lo mette in stato di soggezione o almeno di timore reverenziale. Che, nel diritto penale, si chiama concussione. Magari non per costrizione (come invece ritenne il Tribunale), ma per induzione come sostennero la Procura e, nel nostro piccolo, anche noi (…). Se il processo si fosse concluso entro il 2012, entrambe le fattispecie di concussione sarebbero rientrate nello stesso reato, con pene graduate. Il 30 dicembre 2012, invece, il governo Monti e la maggioranza di larghe intese Pd-Pdl varò la legge Severino che scorporava l’ipotesi dell’induzione, trasformandola in un reato minore, di cui rispondono anche le ex-vittime trasformate in complici (…). In pratica, nel bel mezzo della partita, si modificò la regola del fuorigioco, alterando il risultato finale. Cambiata la legge, salvato il Caimano. Ora vedremo dalle motivazioni della sentenza in che misura quella scriteriata “riforma”– fatta apposta per salvare Penati e B., nella migliore tradizione dell’“una mano lava l’altra”, anzi le sporca entrambe – ha inciso sul verdetto (…). Ma il sospetto è forte, anche perché – come osserva lo stesso Coppi – “i giudici non potevano derubricare il reato” dalla concussione per costrizione al nuovo reato di induzione: le sezioni unite della Cassazione, infatti, hanno già stabilito che l’induzione deve portare un “indebito vantaggio” a chi la subisce. E i vertici della Questura non ebbero alcun vantaggio indebito, affidando Ruby a Minetti&Conceicao: al massimo evitarono lo svantaggio indebito di essere trasferiti sul Gennargentu. (…). È l’evento tanto atteso dai sodali di Penati e dai sodali del signor B., ovvero di tutti coloro che si vedono protagonisti al tempo delle “larghe intese”: la legge cosiddetta Severino, per rintuzzare gli atti criminali di corruzione. Ché sempre di un crimine si tratta. Provvidenziale, quasi ispirata dall’alto dei cieli ecco definirsi e scendere tra gli umani di una “casta” quella benedetta legge che annacqua e fa scomparire il reato. E tutto è avvenuto nella indifferenza ed ignoranza generale. Anche se le voci ci sono state in quei tempi non sospetti. Continua Marco Travaglio: L’assoluzione in appello non significa che la Procura che ha condotto le indagini e il Tribunale che ha condannato B. abbiano sbagliato per dolo e colpa grave e vadano dunque puniti in base alla tanto strombazzata “responsabilità civile”: sia perché gli errori giudiziari non sono soltanto le condanne degli innocenti, ma anche le assoluzioni dei colpevoli, sia perché tutti i magistrati hanno deciso in base al proprio libero convincimento sulla base di un materiale probatorio che, dal punto di vista fattuale, è indiscutibile (i soli dubbi riguardavano se B. avesse consumato atti sessuali con Ruby e se fosse consapevole dell’età della ragazza, che indubitabilmente si prostituiva lautamente pagata). È questo il punto dirimente. La disattenzione del paese trova la sua origine e natura in quella che definisco da tempo assai l’“impronta antropologica”. È ciò che ci distingue nel novero dei paesi civili ed avanzati. E che ci penalizza in tutto e per tutto. Mi pare di udire il coro dei “famigli” dell’assolto in appello; mi pare di vedere i turiboli agitarsi per l’aere immobile manovrati dagli esperti turiferari. Ne conviene Marco Travaglio laddove scrive che “Ieri (venerdì 17 di luglio n.d.r.) si è deciso in secondo grado sulle telefonate alla Questura e sulla prostituzione minorile di Ruby, non si è condonata una lunga e inquietante carriera criminale. Quale reputazione può mai invocare un pregiudicato per frode fiscale, ora detenuto in affidamento in prova ai servizi sociali, che per giunta si circondava di un complice della mafia come Dell’Utri, attualmente associato al carcere di Parma, e di un corruttore di giudici per comprare sentenze in suo favore come Previti, cacciato dal Parlamento e interdetto in perpetuo dai pubblici uffici?.  “Quale reputazione”, per l’appunto? Quella che ne discende da una disattenzione generalizzata verso la “cosa pubblica”, verso le regole e verso il rispetto di quello che in un tempo antico si definiva “principio di legalità”. Calpestato in forza dell’appartenenza ad una “casta” di intoccabili. Si dirà del collegio giudicante. Ma è quel collegio che è stato chiamato a giudicare dopo la provvidenziale nuova legge Severino! “In che mondo viviamo?”. È questo, cara, carissima Manuela il mondo che la nostra, atavica, diffusissima, sonnacchiosa “cittadinanza” ci ha fatto costruire. Ma al peggio non c’è mai fine. Ed al peggio prossimo a venire potrà porsi rimedio solamente con quell’assunzione di responsabilità civile e “politica” che il mondo complesso in cui siamo chiamati a vivere – a vivere, non a sopravvivere -  ci richiede. Rifuggirne, ci porta poi all’abbondanza degli esclamativi. E di “Una questione politica” ne fa del caso il Direttore del quotidiano la Repubblica Ezio Mauro all’indomani sempre della sentenza di quella Corte d’Appello: Oggi la Corte d’Appello sanziona che non c’è stata concussione nella telefonata in cui il presidente del Consiglio ordinò al capo di gabinetto della questura di Milano di consegnare immediatamente e nottetempo la ragazza Ruby ad una vedette del bunga-bunga spacciata per “consigliere ministeriale”: che appena dopo averla sottratta alla polizia abbandonò la minorenne da una prostituta brasiliana. Il fatto non sussiste, anche perché nella riforma approvata in fretta e furia all’epoca del ministro Severino la fattispecie della concussione si restringe e occorre dimostrare un vantaggio per il funzionario concusso. Così come non c’è, secondo la Corte, il reato di prostituzione minorile, probabilmente perché l’utilizzatore finale (come lo ha chiamato l’avvocato Ghedini) non conosceva l’età della minorenne nelle notti ad Arcore. Resta tuttavia da spiegare — se il Paese e i giornali volessero saperlo — la ragione di tanta fretta e di un così grande affanno, i motivi di quelle bugie enormi, il terrore che Ruby restasse in mano alla questura o nella tutela del tribunale dei minori, la necessità di costruire ad ogni costo non un aiuto alla ragazza (la prostituta brasiliana non può esserlo) ma una scappatoia notturna a interrogatori, domande, possibili risposte. Perché questa impalcatura avventurosa, quest’ansia notturna che spinge un presidente del Consiglio ad interferire nelle procedure abituali della polizia dopo un furto, a far balenare addirittura un incidente diplomatico, a mandare una fidatissima olgettina a “esfiltrare” Ruby dalla questura per poi subito abbandonarla a missione evidentemente compiuta? (…). Scriviamo (…) le esatte parole che abbiamo usato un anno fa, al momento della condanna in primo grado: la questione è politica, non soltanto giudiziaria, nient’affatto moralistica. Ha scritto bene il valente Direttore: “se il Paese e i giornali volessero saperlo”. A nessuno importa. Il caldo incalza ed il “tema” sarà ben presto archiviato dai mass-media così come dalla coscienza dei singoli e della collettività. Ma una lezione “politica”, per il Direttore Ezio Mauro, andrebbe colta a seguito della sentenza, sol che non si ragionasse nel bel paese in forza d’una appartenenza che nel mondo globalizzato ha un sapore tribale: (…). …finisce con questa sentenza la leggenda della persecuzione giudiziaria nei confronti del Cavaliere: sarebbe bene che finisse anche la persecuzione politica della destra berlusconiana nei confronti della giustizia, con intimidazioni preventive come la marcia incredibile dei parlamentari davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, e con rivendicazioni postume, come chi oggi dopo l’Appello vuole brandire la riforma della giustizia come una clava. (…). Ma i turiboli già si agitano nelle mani di turiferari servili.

1 commento:

  1. Caro Ettore, sono vecchia e ho visto nascere la Costituzione. Ora sto assistendo alla sua agonia. Che possiamo fare? Un abbraccio. Franca.

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