"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 15 luglio 2014

Sfogliature. 28 “E se Marx avesse sbagliato solo per difetto?”



Ha scritto oggi Michele Serra sul quotidiano la Repubblica: L’aumento della “povertà assoluta”, che ormai affligge un italiano ogni dieci, conferma che la società di mercato questa volta non sembra più in grado di rigenerare ciò che ha perduto, come fa la lucertola con la sua coda. Chiunque rifletta sulle nuove penurie, sui buchi lasciati nel tessuto sociale dal salto d’epoca delle tecnologie (…), si domanda quando, e quanto, gli esclusi si metteranno in moto per presentare il conto, e reclamare la fine della propria sfortuna; se lo faranno a gruppi sparsi, secondo i modi della “società liquida”, o riusciranno a quagliare in qualche maniera fino a farsi “classe”; se prevarranno forme di resilienza, un intelligente adattarsi e risocializzare i costi; o di rabbia e di antagonismo, tipo “riprendiamoci quello che ci serve”; se la storia prevede ancora rivoluzioni strutturali, nel senso detto da Marx, o solamente redistribuzioni anche traumatiche, anche cruente, ma non tali da rovesciare l’assetto della convivenza. Una sola cosa, secondo logica, ci sembra impossibile: che niente accada, e ognuno accetti il proprio destino senza fiatare. E a ben pensarci, più di una rivoluzione o di rivolte sparse e assortite, fa paura l’idea di una muta, infinita depressione che assecondi un infinito declino. Straordinari pensieri anche se un tantino in ritardo. Scrivevo il 7 di ottobre dell’anno 2011 un post nel quale, nel suo incipit, giustappunto ritrovo il Michele Serra di oggi che mi piace tanto.
Trascrivo di seguito quel post che ha per titolo “E se Marx avesse sbagliato solo per difetto?”, nel quale ritrovo le sempre geniali intuizioni del professor Umberto Galimberti. Scrivevo allora… Ha scritto Michele Serra nella Sua “Amaca” dell’otto di settembre: La sola cosa che abbiamo capito con certezza è  che la totale perdita di nesso tra la vita materiale (il lavoro, il cibo, i manufatti, persino il denaro che pure è già un’astrazione) e l’economia mondiale è un segno di malattia. E la malattia fa sentire insicuri perfino più della povertà”. Ho datato anch’io, ad un tempo divenuto remoto, l’insorgere della “malattia”, per come l’ha definita Michele Serra in quel “pezzo” Suo prezioso. L’affannarsi della mente attorno al problema della “crisi” mi ha portato a rinvenire un ritaglio che definirei “storico”. È un ritaglio che risale all’anno 2006 quando, sul supplemento “D” del quotidiano “la Repubblica”, Umberto Galimberti pubblicava “E se Marx avesse sbagliato solo per difetto?”. Si sta in rete e si scava nei suoi infiniti cunicoli e meandri come il paziente archeologo, un raccoglitore di cocci, che con lavoro di buzzo buono ricerca le tessere di un mosaico che concorrano a definirne l’immagine completa. Nel caso, l’immagine di un tempo. E la “tessera” rinvenuta, che di seguito propongo, risale al 25 di aprile dell’anno 2006. I “bubboni” della “malattia” non erano ancora divenuti evidenti. Non c’era stata ancora la “crisi americana” con il fallimento delle banche e l’impoverimento conseguente di milioni di cittadini. Però essi, i “bubboni” di un malsano, incontrollato capitalismo “finanziario” senza regole, scavavano e scavavano all’interno del ventre molle delle democrazie. Scriveva in quell’occasione il professor Galimberti: “se nel mondo antico i debitori insolventi finivano schiavi, nel mondo del capitalismo globale interi Stati vengono costretti a lavorare per conto delle grandi finanziarie e delle grandi imprese”. Si era, all’epoca del prezioso scritto, lontani ancora dalle cronache terrificanti dell’oggi. Mi garba trascrivere un altro passo, breve, dell’autorevole riflessione del professor Giorgio Ruffolo “Sono dolori se la ricchezza è un fantasma” pubblicata tempo addietro sul quotidiano l’Unità: “(…). …la liberazione dei movimenti di capitale provocava un cambiamento dei rapporti tra capitale e lavoro a tutto vantaggio del primo. Di qui un enorme aumento delle diseguaglianze tra redditi di capitale e di lavoro. Questo squilibrio avrebbe generato fatalmente conseguenze recessive sulla domanda. Ma proprio qui è intervenuta la funzione di sostegno dell’indebitamento. L’aumento di domanda necessario a sostenere l’economia è stato fornito non dall’aumento dei redditi di lavoro ma dall’aumento della massa dei debiti: come dire, dai redditi del futuro. Ciò avveniva attraverso la procrastinazione sistematica dei debiti-crediti promossa dalle banche tradizionali e sempre più dai nuovi intermediari finanziari; e incoraggiata da una politica monetaria espansiva. (…). La fiducia nel futuro per qualche ragione viene a mancare. Allora, come dice Galbraith, gli sciocchi sono separati dal loro denaro ma anche gli incolpevoli dal loro lavoro. (…)”. È la regola del capitalismo a-sociale. In questi giorni le borse “tengono” con grande soddisfazione degli irresponsabili nostri amministratori della cosa pubblica, lo “spread” si mantiene dei limiti; perché? È che c’è in giro aria di nuovi soldi in arrivo. È la prospettiva di dover “ricapitalizzare” un gran numero di banche del vecchio continente. Perché? Con quali soldi? “Ricapitalizzare” quelle stesse banche resesi colpevoli d’aver sostenuto ed incoraggiato “la procrastinazione sistematica dei debiti-crediti”, per come ha scritto l’Autore. Le banche sono state di già salvate, con tanti soldi pubblici, all’insorgere della “crisi americana”; non ne hanno tratto lezione, continuando nello sperpero sistematico a tutto vantaggio dei loro manager ed amministratori. Quale sana prospettiva! “Marx appartiene alla tradizione giudaico-cristiana che ha del tempo una condizione escatologica dove alla fine (éschaton) si realizza quello che all'inizio era stato annunciato. La triade religiosa - colpa, redenzione, salvezza - ritrova la sua formulazione nell'omologa prospettiva dove il passato appare come male, la rivoluzione (al pari della redenzione) come riscatto, il futuro come progresso che è poi la forma laicizzata della redenzione. Come la redenzione, anche la rivoluzione prevede il rovesciamento del dominio del male in quello del bene, da questo tempo a un altro tempo. Al pari del popolo d'Israele, la classe operaia, scrive Marx, ha fame e sete di giustizia. E come Isaia attende nuovi cieli e nuove terre, così la rivoluzione attende un futuro di giustizia. Forse per questo, come con le religioni, anche dopo le rivoluzioni si è sentito il bisogno di dare il via a nuovi calendari, a una nuova misurazione del tempo. Se ora vogliamo toccare alcuni punti nodali del Capitale vediamo che Marx era contro la democrazia borghese perché, a suo giudizio, non poteva andare oltre le scelte degli esecutori tecnicamente più capaci nell'applicare i comandi del capitale finanziario che si muove a livello transnazionale, per cui, quando Marx diceva che i governi erano comitati d'affari della grande borghesia aveva torto, ma forse solo per difetto. Quello che allora era un cattivo costume, oggi infatti è un sistema, anzi è il sistema. Per cui se nel mondo antico i debitori insolventi finivano schiavi, nel mondo del capitalismo globale interi Stati vengono costretti a lavorare per conto delle grandi finanziarie e delle grandi imprese. Se questo accade a livello degli Stati-nazione, a livello individuale, i rapporti reciproci, come già aveva previsto Marx, avvengono principalmente, anche se non esclusivamente, in termini di merce che, a livello di circolazione mondiale, conosce una libertà di movimento ancora sconosciuta a miliardi di uomini. In questo processo di totale mercificazione del lavoro, la specializzazione accelerata imposta dal mercato porta alla frammentazione dei processi lavorativi, alla loro parcellizzazione e quindi al loro inserimento nel sistema di divisione del lavoro con un obnubilamento delle finalità ultime della produzione, e l'esonero di responsabilità dei singoli lavoratori a cui non può che risultare del tutto indifferente prestare la loro opera in una produzione di armi o in una produzione di generi alimentari. Dopo aver vinto la guerra dei settant'anni contro il comunismo, il capitalismo comincia così a mostrare il suo vero volto, che non è proprio quello del progresso che aveva scritto sulle sue bandiere. Infatti, se queste considerazioni hanno un loro senso e una loro plausibilità, non sembra remoto lo spettro di un'ingloriosa soluzione finale dell'esperimento umano, sia per quanti non hanno più di che vivere, sia per i ben pasciuti a cui non si riconosce altra dignità se non quella di funzionari a diversi livelli del capitale. I cataclismi umani che il Novecento ha metabolizzato nelle guerre mondiali tra le potenze, e nelle guerre coloniali contro le potenze, all'inizio del terzo millennio ribollono nelle falde sommerse di una terra regolata dai soli criteri dell'accumulazione infinita, della competizione sfrenata, il cui limite è solo artificio e tregua di guerra, nella più totale assenza di rispetto per uomini e natura. La rivoluzione, possibile ai tempi di Marx, oggi non è più possibile, perché, se è vero come ci insegna Hegel che la rivoluzione è il conflitto tra due volontà, quella del Servo e quella del Signore, oggi sia il servo sia il signore si trovano non più su fronti contrapposti, ma dalla stessa parte contro l'ineluttabilità di quella forma astratta, anonima e regolatrice di tutti gli scambi che si chiama mercato. Un Nessuno che regola la vita di tutti, anche se Omero ci ha avvertito che Nessuno è pur sempre il nome di qualcuno. Ma questo qualcuno non è di immediata evidenza.”

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