"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 8 luglio 2014

Cosecosì. 86 “Il pubblico dell’impostore”.



E poi, nel breve saggio della psicoterapeuta Clotilde Buraggi, c’è l’altra parte della medaglia come suol dirsi. Nello specifico, quel comprimario che nella commedia dell’arte non manca mai e che, facendo da spalla alla figura principale, viene da essa redarguito con un sonoro “vieni avanti cretino”. Ché nella rappresentazione delle vicende del bel paese un ruolo non secondario svolge quella figura che l’illustre studiosa definisce “il pubblico dell’impostore”, per l’appunto. Ché senza questo pubblico particolarissimo anche la figura principale ne uscirebbe ridotta assai. Anzi è da dire che la figura dell’”impostore” trae la sua forza maggiore dalla perfetta simbiosi con quel che si definisce “pubblico”. Scrive l’illustre studiosa:
Prendiamo ora in considerazione il rapporto tra l’impostore e il suo pubblico. Come abbiamo visto, l’impostore, per esercitare la sua impostura, ha bisogno di qualcuno che si faccia sedurre da lui, come il sadico non può esercitare il suo sadismo senza il masochista. Chi sono le persone che vengono ingannate dall’impostore? Sono persone semplici e ingenue che si lasciano abbindolare o sono invece persone che fanno il suo stesso gioco, che gli assomigliano caratterialmente, che come lui aspirano a cambiare la loro posizione senza tenere conto dell’onestà del metodo e dei limiti imposti dalla realtà ? Su questo argomento le opinioni sono divergenti. Secondo Leopardi, la responsabilità è tutta dell’impostore e non del suo pubblico: “Gli uomini impostori - ha scritto - hanno insegnato agli uomini bonari delle menzogne per ispogliarli di roba e di libertà” (1-1370). Il Grande Dizionario Utet della lingua italiana nel definire la parola “impostore” aggiunge al concetto della buona fede del pubblico anche quello della credulità. Impostore è “chi approfitta, per lo più abitualmente, della buona fede o della credulità altrui, raccontando menzogne, falsificando la verità, facendosi passare per altra persona o millantando qualità o conoscenze che in realtà non possiede”. Che cosa significa “credulità”? Il credulone è in buona fede o in mala fede? Secondo la Greenacre (1958), i creduloni non sarebbero dei sempliciotti che l’impostore inganna con le sue menzogne ma sarebbero addirittura dei “cospiratori”, dei complici dell’impostore, di cui l’impostore ha bisogno proprio come il prestigiatore ha bisogno di una “spalla” per rendere più credibili i suoi trucchi. Anche gli individui che sono avidi di fare da audience all’impostore (Finkelstein 1974), soffrirebbero come lui per problemi di bassa autostima. A ragione delle proprie ferite narcisistiche (Olden 194I), avrebbero bisogno di sentirsi in contatto con un oggetto potente da idealizzare, sperando di ricevere magicamente salvezza e valore attraverso il contatto con una persona sentita onnipotente. Il rapporto tra il pubblico e l’impostore è il rapporto descritto da Freud (1921) tra un gruppo e il suo leader, che assume la funzione di ideale dell’Io del gruppo. Se però il leader è un impostore, il pubblico può servirsi della negazione, o addirittura del diniego per non vedere questa sua realtà. Se il pubblico si sente rassicurato dall’impostore, anche l’impostore ha bisogno del suo pubblico per confermare la propria grandiosità illusoria; è infatti il pubblico con la sua conferma che lo aiuta a tramutare la sua menzogna in una struttura relativamente stabile. Come i genitori che lo hanno allevato (Finkelstein 1974), permettendogli di essere disonesto e condonandogli l’uso di meccanismi di difesa patologici, così le persone del pubblico diventano coloro che confermano le sue falsificazioni e diventano suoi complici. È per l’appunto questo il terribile meccanismo che come una coazione a ripetere si perpetua nella vita pubblica del bel paese. Poiché il bel paese è stato, forse da sempre, incline ad accogliere ed ammirare qualsivoglia personaggio dal quale “ricevere magicamente salvezza” per come scrive Clotilde Buraggi. È quell’impronta antropologica che fa da velo ad una realtà la pericolosità della quale non giunge in tempo, su quel “pubblico dell’impostore”, a manifestarsi sul piano della consapevolezza.  Donde ne deriva il susseguirsi di figure attese ed invocate come salvatrici ed apportatrici di benessere e felicità. È su questo aspetto peculiare e fortemente collaborativo del “pubblico dell’impostore” che ieri, 7 di luglio, si è espresso il collettivo conosciuto come Wu Ming, espressione che deriva dal cinese e vuole dire “senza nome”. Il collettivo ha rilasciato un’intervista pubblicata su “il Fatto Quotidiano” a firma di Salvatore Cannavò che ha per titolo «I pifferai ci incantano ancora». Di seguito la trascrivo in parte.
Chi sono i sonnambuli? – (…). …in generale, nei sonnambulizzati ognuno può vedere tante cose del nostro presente. Le masse irretite, l’opinione pubblica addomesticata, il controllo delle menti… -.
Vi riferite anche ai “grillini”? Voi avete condotto una battaglia netta contro il grillismo. -  Sonnambuli sono quelli che vanno dietro al pifferaio di turno, lasciandosi suggestionare dal “carisma”. C’è gente che segue Grillo qualunque musica esca dal suo piffero. Ma di pifferai in giro ce ne sono tanti, e quindi anche di sonnambuli -.
C’entra anche Renzi? - Renzi è senz’altro un pifferaio. Occupa una precisa casella nell’ordine simbolico, la casella del «Ci vuole quello lì». Prima per molti era occupata da Berlusconi, poi da Grillo, adesso spopola Renzi. “Quello lì” è il capo senza il quale il Paese sembra incapace di parlare di sé stesso. C’era anche nel “popolo comunista” un culto del capo, una visione acritica e fideistica di figure come Togliatti e Berlinguer. Se uno guarda a come si è ridotta la base residua del vecchio Pci, a quello che ne è rimasto, e guarda indietro, si accorge che c’era già molto sonnambulismo, ad esempio nel pensare che «il segretario ha sempre ragione». Oggi il segretario è Renzi, che eredita anche quel sonnambulismo -.
Renzi però non è l’espressione di quel vecchio Pci. - Renzi è un cocktail, un miscuglio eterogeneo di molte cose, c’è molta “gioventù democristiana” ma anche molto divismo, molta della celebrity culture che permea le generazioni più recenti. Ma si afferma, almeno per ora, in un Paese che ha sempre avuto il culto del capo, un culto trasversale per capi diversissimi tra loro (Mussolini, Togliatti, Berlusconi), comunque sempre per “quello lì”, mister “ci vuole lui”, il personaggio senza il quale il discorso pubblico sembrava non potesse articolarsi -.
Il capo sarebbe oggi il leader. - Sì, ma il triste ritornello del «ci vuole un leader», «manca un leader», «Tizio non è un vero leader» ha fatto breccia a sinistra proprio perché il vecchio “popolo comunista” aveva già quell’impostazione. Non è solo un portato della “politica-spettacolo televisiva”, della “americanizzazione delle campagne elettorali” e quant’altro. La questione è più complessa, e andrebbe storicizzata -.
Qual è l’antidoto al sonnambulismo? - La partecipazione che si realizza delegando il meno possibile. Responsabilizzazione, autogoverno. (…). -.

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