"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 6 giugno 2014

Storiedallitalia. 54 “La Grande ipocrisia”.



Ha scritto ieri, 5 di giugno, Massimo Giannini sul quotidiano la Repubblica un pezzo che ha per titolo “La Grande Ipocrisia”. È quella categoria dell’essere, “la grande ipocrisia”, che ben si attaglia e contraddistingue gli abitatori del bel paese nella loro stragrande maggioranza. Li catalogherebbe il sommo Poeta tra gli “ignavi”. Indifferenti a tutto ciò che non rientri nel proprio “particulare”. E sì che gli allarmi non sono mancati. Anzi. Appena raggiunta la soglia minima della comunicazione, anticamera della conoscenza, che mal si accompagna quest’ultima alla civica consapevolezza responsabile, quegli impavidi, catalogati quali allarmisti, venivano tacitati ed indicati quali mestieranti mestatori. La tranquillità del vivere e del fare ha sacrificato sul suo rubro altare quanto di meglio la responsabile civile convivenza avrebbe meritato e richiesto. Ha scritto Massimo Giannini: Il 17 maggio è entrata in vigore la legge numero 67, che introduce la possibilità di chiedere l'affidamento in prova ai servizi sociali nei procedimenti per delitti economico-finanziari con pene fino a 4 anni di detenzione. In questi casi, su richiesta del soggetto incriminato, si sospende il processo e si avvia un percorso di servizio e risarcimento, di durata massima 2 anni, al termine del quale il reato si estingue. Nella lista dei delitti per i quali si può ottenere il beneficio ci sono l'omessa dichiarazione dei redditi, la truffa, il falso in bilancio e persino il furto. Questo sì, a tutti gli effetti, ha le fattezze di un "colpo di spugna", studiato proprio per i reati dei "colletti bianchi". Il Parlamento approva unanime la legge, il 2 aprile scorso, nell'indifferenza dei più. (…). Delinquere non è poi così compromettente. Alla fine si può scendere a patti.
Ma lo stato delle cose ha un prima che non va trascurato. E questo prima lo si ritrova in uno scritto di Curzio Maltese sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” – “Milano decide tutto: o la svolta italiana o il peggio del peggio” - del 13 di maggio dell’anno 2011. Allora Milano passava ancora per la “capitale morale”. Scriveva Curzio Maltese da quell’osservatorio: Milano è stata, in questi vent'anni, il laboratorio di una truffa ideologica che si è allargata a tutto il Paese. Attraverso poche e astute mosse. Anzitutto la rimozione del conflitto sociale, per cui le periferie più povere votano a destra e il ricco centro è «rosso», con la complicità di una sinistra da salotti. Quindi l'occupazione militare dei media da parte dei cortigiani del nuovo potere, un vero e proprio collasso culturale, e più d'ogni altra cosa la televendita di un mediocre sviluppo ammantato di scintillante progresso. «Sviluppo senza progresso», non esiste luogo come la Milano di oggi per verificare la profezia di Pier Paolo Pasolini. Che cosa significa? L'area milanese rimane una delle più ricche del mondo, sulla carta. Ma nei fatti, la qualità della vita dei milanesi è precipitata negli ultimi decenni. La città è soffocata dal cemento e dai più alti livelli d'inquinamento d'Europa, la corruzione e le mafie dilagano, le differenze sociali si sono moltiplicate e la disoccupazione giovanile uccide ogni speranza nel futuro. Questo è sviluppo senza progresso. Ipnotizzati dalla propaganda, i milanesi hanno rimosso questo malessere da anni, oppure l'hanno rovesciato in risentimento contro gli immigrati: «Roma ladrona» e altri falsi bersagli. È stato un lungo sonno nel declino. Se domani Milano si sveglia, si sveglierà tutta l'Italia. Altrimenti, davvero, prepariamoci a un peggio che, com'è noto, non ha mai fine. E siamo all’oggi. Laddove si viaggia spensieratamente verso quel “peggio che, com'è noto, non ha mai fine”. A ben vedere ha scritto oltre Massimo Giannini: Di fronte a tanto cinismo consociativo, la Grande Speranza si chiama Matteo Renzi. Solo lui può spazzare via la Grande Ipocrisia chiamata lotta alla corruzione. Ma le prime mosse del premier non sono confortanti. Nel discorso sulla fiducia alle Camere, il 22 febbraio, il nuovo presidente del Consiglio non dice una parola sul tema della legalità e delle strategie di contrasto al malaffare. Un silenzio che assorda, e che spinge Roberto Saviano a scrivere una lettera aperta al premier, su "Repubblica" del 28 febbraio. Renzi raccoglie la sollecitazione, e il giorno dopo annuncia dal salotto di Fabio Fazio, a "Che tempo che fa", la nomina di Raffaele Cantone alla guida dell'Autorità anti-corruzione, nata un anno prima e mai formata. È un primo indizio, che sembra rassicurante. Ma le mosse successive, purtroppo, non sembrano trasformarlo nella prova che tutti aspettiamo. La vicenda del Documento di Economia e Finanza, non aiuta a capire qual è la vera strategia del governo. Il Consiglio dei ministri, riunito a Palazzo Chigi, approva il Def l'8 aprile. Renzi ne illustra le linee guida, con le solite slide. Il giorno dopo, sul suo sito, il ministero dell'Economia pubblica il testo integrale. A pagina 27 del Piano Nazionale delle Riforme, compare un ricco capitolo dedicato alla giustizia: "Asset reale per lo sviluppo del Paese", è il titolo. Pier Carlo Padoan, dai tempi dell'Ocse, ha bastonato duramente l'Italia, proprio per i ritardi sulla corruzione. Per questo, nel Def, il ministro scrive parole chiarissime, non solo sulla giustizia civile e amministrativa, ma proprio sulla lotta alla corruzione: occorre "rivedere la disciplina del processo penale, con particolare riferimento all'istituto della prescrizione, ferma restando l'esigenza di assicurare la certezza e ragionevolezza dei tempi". Più avanti: "Introduzione dei reati di autoriciclaggio e autoimpiego, anche rafforzando il 41 bis". E infine: "È necessario affrontare in modo incisivo il rapporto tra gruppi di interesse e istituzioni e disciplinare i conflitti di interesse e rafforzare la normativa penale del falso in bilancio". (…). Finalmente una dichiarazione programmatica impegnativa. Il segno che "cambiare si può". Ma sei giorni dopo, quando il Def arriva alle Camere per l'avvio dell'iter parlamentare, il testo è sorprendentemente cambiato. Il capitolo Giustizia rimane, alle pagine 29 e 30, e poi a pagina 63, nel capitolo II.10 intitolato "Una giustizia più efficiente". Si parla di tutto, dalla riforma della giustizia civile al sovraffollamento carcerario, dalle leggi già varate sul voto di scambio a quelle contenute nella Severino. Si propone la "mediazione obbligatoria" e la "depenalizzazione dei reati minori", la "difesa dei soggetti più deboli" e la "tutela dei minori". Ma per quanto li si cerchi, i paragrafi sulle modifiche al processo penale, dalla prescrizione all'autoriciclaggio, dall'autoimpiego al falso in bilancio, non ci sono più. Chi e perché le ha cancellate? (…). Il 16 aprile, durante il dibattito in Commissione Giustizia della Camera, i deputati Cinquestelle almeno per una volta fanno bene il loro mestiere. Alfonso Bonafede "ritiene che sia estremamente grave che nella formulazione presentata alle Camere del Def in data 9 aprile 2014 venga fatto espressamente riferimento all'esigenza di affrontare definitivamente entro giugno 2014 il problema dei tempi di prescrizione e che ieri, martedì 15 aprile, dopo che nella serata di lunedì 14 aprile il presidente del Consiglio si sia incontrato con Silvio Berlusconi, sia pervenuta alle Camere una "errata corrige" da parte della presidenza del Consiglio, nella quale è stato cancellato ogni riferimento alla questione della prescrizione". (…). …l'anomalia resta. E se a "sbianchettare" i paragrafi sul programmato giro di vite per la prescrizione, l'autoriciclaggio e il falso in bilancio è stato il ministro Orlando, e non Renzi, che differenza fa? Di nuovo: che segnale si vuol mandare al Paese? (…). È “la grande ipocrisia” che sovrana regna nel bel paese. Sostiene Natalia Aspesi – la Repubblica di oggi, “Quei soldi rubati a noi cittadini” – che (…). …in Italia ci sono due tipi ben diversi di ricchi. Quelli che pagano le tasse e sono quindi molto meno ricchi, e quelli che hanno scoperto i vantaggi della mazzetta: essendo un crimine pretenderla e accettarla, è come se non ci fosse, è ricchezza invisibile, quindi non tassabile. Comodissima. Poi si sa, il tesoro fantasma si concretizza, insomma lo si spende, come dei veri ricchi di famiglia: se non si è ereditato come loro il palazzo sul Canal Grande, un po’ di Tintoretto, i lampadari antichi di cristallo, si può sempre tentare di imitarli. (…). Un tempo c’era quasi la certezza che della destra si poteva dubitare, ma della sinistra mai: ora il piacere, la necessità, l’abitudine, l’improntitudine, il senso di sicurezza che deriva dalla complicità, ha livellato tutti: e bisognerebbe capire se si arriva al posto giusto perché si è già ladri o ladri si diventa quando ci si trova al posto giusto. (…). Queste drammatiche, vergognose storie, ci rivelano ciò che non sapevamo: che siamo un paese ricchissimo, dove lo Stato può finanziare opere da 7 miliardi come il Mose, e disperderne una bella quantità non per risolvere la crisi del Paese, ma per rendere più rosea la vita di qualche signorile mascalzone. Il cittadino qualsiasi, che se mai non volesse pagare il canone tv verrebbe immediatamente beccato e punito, si chiede cose semplici ma teme di non averne risposte certe: se ritenuti colpevoli, questi signori delle tangenti finiranno in galera o la condanna si limiterà a inviarli una volta al mese a leggere fiabe agli orfanelli? E poi, in qualche modo questa montagna di denaro rubata allo Stato, al fisco, a tutti noi, verrà in qualche modo recuperata e restituita allo Stato, al fisco, a tutti noi, oppure quel che è stato è stato e tutto continuerà come sempre? È “la grande ipocrisia” di sempre.

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