"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 5 giugno 2014

Storiedallitalia. 53 “Uli Hoeness, chi?”.



Uli Hoeness, chi? E già. Nel profluvio di comunicazioni che si rovesciano a catinelle ma che non sono informazioni ve ne sarete di già dimenticati. Nell’era della comunicazione a tutto campo ed a tutto spiano è importante comunicare, per l’appunto, e non già informare. Sapevate, pertanto, che Uli Hoeness è dallo scorso lunedì ritenuto in un carcere della supponente Germania per scontare la sua pena di frodatore del fisco? Per ben tre anni da scontare! Sono certo che non lo sapevate. La notizia l’ho scovata in un articoletto breve breve su “il Fatto Quotidiano”. Che Uli Hoeness fosse entrato in carcere per rendere alla collettività della Germania il maltolto non avrebbe interessato nessuno nel bel paese. O avete avuto traccia della notizia? Smentitemi. È che notizie di questo genere nel bel apese non interessano a nessuno. È qui la differenza tra il bel paese ed il resto dell’Europa. E su queste basi non riusciremo mai e poi mai ad avere quella credibilità che pretendiamo dagli altri. E tanto per rinfrescare la memoria vi rendo una brevissima cronaca del misfatto di Uli Hoeness che al tempo ci è stata fornita da Caterina Soffici su “il Fatto Quotidiano” del 15 di marzo ultimo col titolo “Evasione, Mr Bayern piange: all’estero si va in galera”:
Condannato in primo grado a 3 anni e 6 mesi di carcere per evasione fiscale, rinuncia a presentare appello, si dimette dal suo prestigioso incarico e va in carcere. Visto dall’Italia sembra una cronaca da Marte. Invece sono cose che accadono, nei paesi civili. Questa volta è accaduto in Germania. Il protagonista è Uli Hoeness, 62 anni, ex calciatore e poi dirigente, fino a ieri presidente del Bayern Monaco. Si è dimesso e senza cercare sotterfugi né scappatoie ha ammesso le sue colpe: “L’evasione fiscale è stato l’errore della mia vita. Accetto le conseguenze di questo errore”, ha detto in lacrime. Non si parla di noccioline, ma di un’evasione da 27,2 milioni di euro. “Dopo essermi consultato con la mia famiglia, ho deciso di accettare la sentenza della Corte di Monaco. Ho chiesto ai miei avvocati di non presentare appello, in linea con la mia idea di decenza, comportamento e responsabilità personale” ha dichiarato Hoeness all’agenzia tedesca Dpa.“Decenza, comportamento e responsabilità personale”: queste tre parole andrebbero stampate a lettere cubitali e appese nelle aule di tutte le scuole di ogni ordine e grado d’Italia. (…). Da noi la sequenza è: negare sempre, dimettersi mai, appellarsi sempre. E cercare di posticipare al massimo il momento del giudizio definitivo, possibilmente per agguantare una prescrizione. Sarà un caso se in Germania i detenuti per reati fiscali sono 8.601 (dati del 2013) e da noi sono solo 156? È una prassi di illegalità che si lega anche al concetto di condono. Che sia edilizio o fiscale, alla base c’è sempre la stessa idea: si premia il furbo e si punisce l’onesto. Il furbo la passa liscia. È la cronaca di quel misfatto. Di un identico misfatto si è sproloquiato a lungo anche nel bel paese. Ma per mandare quel tale che se ne era reso responsabile – non mi sento di dire colpevole, in linea con la lezione dataci da  Uli Hoeness di “decenza, comportamento e responsabilità personale” – a quella messa in scena che ben sappiamo. La triade del decoro civico non può albergare nelle ubertose contrade de’ noantri. È quel che bisognerebbe possedere e praticare, a tutti i livelli della vita associata, per non essere derisi dalla e nell’Europa della responsabilità. Ma è un dire del tutto inutile nel bel paese. Ha sostenuto Gustavo Zagrebelsky nel corso della manifestazione “Per un’Italia libera e onesta” svoltasi a Modena nella giornata della festa della Repubblica ed organizzata dall’associazione “Libertà e Giustizia” – intervento pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 4 di giugno col titolo “La corruzione che ci circonda” -: Tacito diceva che una delle abitudini degli italiani è di ruere in servitium: pensate che immagine potente, correre ad asservirsi al carro del vincitore. Noi tutti conosciamo persone appartenenti al partito che ha vinto le elezioni che hanno opinioni diverse rispetto ai vertici di questo partito. Ora non si tratta affatto di prendere posizioni che distruggono l’unità del partito, ma di manifestare liberamente le proprie opinioni senza incorrere nell’anatema dei vertici di questo partito (…). Queste persone, dopo il risultato elettorale, hanno tirato i remi in barca e le idee che avevano prima, oggi non le professano più. Danno prova di conformismo. (…). La nostra rappresentanza politica è quella che è (…). La diffusione della corruzione è diventata il vero humus della nostra vita politica, è diventata una sorta di costituzione materiale. Qualcuno, (…), ha detto che nel nostro Paese si fa carriera in politica, nel mondo della finanza e dell’impresa, solo se si è ricattabili (…). Questo meccanismo della costituzione materiale, basato sulla corruzione, si fonda su uno scambio, un sistema in cui i deboli, cioè quelli che hanno bisogno di lavoro e protezione, gli umili della società, promettono fedeltà ai potenti in cambio di protezione. (…). Se vivessimo in un Paese in cui i diritti venissero garantiti come diritti e non come favori, saremmo un paese di uomini e donne liberi. Ecco libertà e onestà. Ecco perché dobbiamo chiedere che i diritti siano garantiti dal diritto, e non serva prostituirsi per ottenere un diritto, ottenendolo come favore. (…). Viviamo in un Paese che non affronta il problema della disonestà e onestà in termini morali. (…). Se non ci risolleviamo da questo, avremo un Paese sempre più clientela-rizzato, dove i talenti non emergeranno perché emergeranno i raccomandati, e questo disgusterà sempre di più i nostri figli e nipoti che vogliono fare ma trovano le porte sbarrate da chi ha gli appoggi migliori. È una questione di sopravvivenza e di rinascita civile del nostro Paese. (…). È per queste ultime affermazioni di Gustavo Zagrebelsky che avremmo dovuto interessarci degli sviluppi del caso Uli Hoeness. Dov’è finito Uli Hoeness? È fuggito all’estero? È ai servizi sociali? Sarà stato candidato alle europee – Scopelliti del Ncd nel bel paese insegna - per costruirsi una gabbia di protezione con una immunità che griderebbe alla vergogna? Ma cosa importa della fine umana e sociale di Uli Hoeness agli abitatori di questo disastrato paese! È a questo punto che mi viene da rendervi un’altra cronaca dal bel paese del 22 di agosto dell’anno 2013, cronaca che ha la firma di Franco Cordero e che al tempo venne pubblicata sul quotidiano la Repubblica col titolo “Il diritto del reo”. Riconoscerete il reo? La cronaca: Scoppia il finimondo quando la Cassazione fissa il dibattimento nel periodo feriale, dovendo evitare che i reati s'estinguano. L'attesa è febbrile: la condanna irrevocabile significa espulsione dal Senato; no, gridano i fedeli. Sinora lamentavano «l'uso politico della giustizia», postulando un diritto del reo strapotente a non essere molestato: dopo due condanne conformi, irrefutabili, esigono dalla Corte un intervento politico, non essendo justiciable chi vanta milioni d'elettori, virtuoso o delinquente; sarebbe «attentato alla democrazia». In casa Pdl vigono un diritto e procedura penali con lunghe orecchie d'asino: la stessa insegna inalberano chierici scampanellanti d'uno pseudo moderatismo; nel lessico d'Angelus Panisalbus propheta, la giustizia diseguale a beneficio d'affaristi e politicanti diventa «sapere empirico» iniettabile in dosi da cavallo ("Corriere della Sera", 6 agosto). Il dibattimento riempie due mezze giornate, 30-31 luglio. Infine gli ermellini entrano in camera di consiglio. Passano le ore. A che punto sia inquinata l'aria italiana, lo dicono commenti sul campo: il pubblico ministero aveva concluso contro il ricorrente, definendo futili i 47 motivi; no, la via indolore è annullare in qualche modo la condanna, affinché anche questo delitto cada nelle fauci dell'impassibile Kronos. Così pronosticano sedicenti intenditori. Li gela un dispositivo lapidario, 1° agosto, h. 19.38: frodava il fisco; la pena da espiare è un anno (3 erano coperti da indulto). I fautori della giustizia politica schiumano e l'apocalisse diventa farsa: atto «irresponsabile», farfuglia l'Unico, impastato nel cerone, alternando furie al piagnisteo, del quale è artista; i parlamentari, ministri inclusi, eseguono versi da animale ammaestrato; i falchi vogliono azioni, non è chiaro quali; sulle colombe grava l'accusa d'anima molle e poca fede; «guerra civile», salmodia l'ex comunista poeta. Domenica sera 3 agosto scenari mussoliniani in via del Plebiscito chiudono i riti funebri confermando provvisorio sostegno al governo. L'indomani i due capibastone Pdl scalano il Colle, latori d'una richiesta impudente: restituirgli «l'agibilità politica» ossia riqualificarlo come niente fosse accaduto; sfolgora la cultura giuridica forzaitaliota. L'interpellato chiede tempo: ogni tanto gli sfuggono parole fuori luogo; a verdetto caldo chiedeva riforme garantistiche, nemmeno fossimo in preda a Torquemada. Ecco un motivo tra i tanti per il quale il paese disastrato si pone ai margini del consesso dei paesi avanzati. Uli Hoeness chi? Chi se ne frega, diranno in tanti!

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