"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 21 giugno 2014

Cosecosì. 83 “L’insopportabile truffa dei talk-show televisivi”.



Non  so di Voi, ma da qualche anno a questa parte vado conducendo una mia personale lotta, come un penultimo dei Mohicani, contro il rischio della collettiva “scarnificazione del pensiero”. È che da lungo tempo ho individuato tra i maggiori, subdoli artefici di quella “scarnificazione” il piccolo mostro domestico. E poi, a discendere per “li rami”, i responsabili massimi li ho individuati nei cosiddetti “talk-show televisivi”. A nessuno di Voi sarà sfuggita l’inutilità di quelle trasmissioni di pseudo-informazione. Da anni sono un disertore puntuale di quelle che definisco le colpevoli scempiaggini del piccolo mostro. Non so per Voi, ma allontanare da me quelle inutili, dannosissime trasmissioni ha comportato la riconquista di quella serenità che gli schiamazzi e le scempiaggini ascoltate per anni e anni avevano di fatto distrutto. A questo proposito ho trovato interessante una riflessione di Bruno Tinti su “il Fatto Quotidiano” del 16 di maggio ultimo che ha per titolo “L’insopportabile truffa dei talk-show televisivi”.
Scrive l’illustre notista: I talk-show: letteralmente, lo spettacolo della conversazione. (…). …lo scopo dei cosiddetti ospiti è far fare una figura barbina agli altri, ognuno cercando di dimostrarsi più bravo, più spiritoso, più autorevole. E siccome, in queste trasmissioni, gli ospiti sono sempre tantissimi, il risultato è una rissa permanente, fatta di persone che si interrompono, si parlano addosso, qualche volta si insultano, sempre si deridono. Se poi si tratta di politici, il pronome io è quasi sempre sostituito dal pronome noi; quasi che una stupidaggine condivisa da molte persone (…) cessi di essere una stupidaggine. Tra questa gente, l’intellettuale, la persona colta, colui che sa e ha informazioni da condividere, è messo nell’impossibilità di intervenire. Non solo perché tutti gli altri lo soverchiano con il loro schiamazzo; ma anche perché lo stesso conduttore mal tollera un’argomentazione che superi i 2, 3 minuti. Sicché quando non sono gli altri a interrompere, è lui stesso a sollecitare un intervento pur che sia.  E poiché, come ho detto, lo scopo dei partecipanti allo show non è quello di dibattere ma quello di apparire o, quantomeno, oscurare gli altri, il risultato è un cicaleccio assordante, privo di significato e molto irritante. (…). Mi chiedo (…) come sia possibile che la cosiddetta audience raggiunga misure tanto elevate; che gli spettatori siano davvero interessati a queste esibizioni di superficialità e aggressività. (…). Nell’organizzazione sociale odierna (…) la cultura è assoggettata all’industria del divertimento: deve intrattenere, distrarre, illudere. Esattamente il contrario di quanto faceva prima che la maggioranza delle persone cominciasse a detestare di pensare. È per questo che parlare alla pancia della gente è molto più produttivo di consenso che parlare alle loro teste. (…). Insomma, i talk-show sono una truffa: promettono un approfondimento che è – in realtà – una mistificazione. E sono anche pericolosi: perché chi li segue ne esce convinto di sapere. Sarebbe il caso di dire che essi, i “talk-show televisivi” per l’appunto, siano i massimi responsabili della “scarnificazione del pensiero” collettivo ed in pari tempo i massimi responsabili della riduzione della prassi democratica ad una mera, vuota rappresentazione. Donde ne deriva che il personale aggiornamento debba avvenire per canali che rifuggano da quelle becere rappresentazioni. Ne va della personale salute mentale. A questo scopo vado percorrendo e scandagliando da anni quelle che vengono definite “scuole di pensiero”. Poiché è certo che per qualsivoglia attività degli esseri umani esistano sempre due o più contrapposte “scuole di pensiero”. Su tutto lo scibile dell’Uomo che sia tale. Come prescritto dal cartesiano “Cogito ergo sum”. E non poteva sfuggire, alle cosiddette “scuole di pensiero”, l’attività umana per eccellenza, ovvero quella legata al danaro ed alle sue mille forme di utilizzo. Ce ne ha fornito prova Federico Rampini sul settimanale “Affari&Finanza” del 16 di giugno con un pezzo, come sempre lucidissimo, che ha per titolo “Krugman-Summers i nuovi profeti della stagnazione secolare”. Ha scritto in proposito: Fa proseliti illustri la teoria secondo cui siamo entrati in una stagnazione secolare. L’ultimo è Paul Krugman, che ha dedicato una serie di commenti sul suo blog a questa tesi. Fa notizia, perché così facendo Krugman si schiera con Larry Summers. (…). Il punto di partenza in comune è l’osservazione che il capitalismo ebbe tre motori di crescita dalla Rivoluzione industriale inglese in poi: crescita economica, crescita demografica, accelerazione del progresso tecnico. La crescita economica non sarebbe stata così diffusa e vigorosa, o forse non ci sarebbe stata affatto, senza il contributo di una popolazione in aumento e del flusso di innovazioni tecnologiche che migliorano la produttività. Ora il mondo intero è di fronte a una “transizione demografica”, come la definisce Krugman riprendendo un termine in voga tra gli specialisti. La caduta della natalità non è più soltanto un fenomeno tipico dei paesi ricchi ad antica industrializzazione. Il rallentamento demografico si estende dal Nord al Sud, dall’Occidente all’Oriente, coinvolgendo un gigante come la Cina. Perfino nelle economie emergenti, o ex-emergenti, non si può dare per scontato che la denatalità si fermi sulla soglia del quoziente di sostituzione, il numero di 2,1 figli in media per ogni donna che garantisce la stabilità della popolazione. (…). Mai nella storia post-Rivoluzione industriale, l’umanità intera aveva dovuto fronteggiare una transizione demografica di questo genere. Affrontare la questione dello spopolamento, è difficile perché suscita reazioni immediate: in un pianeta sottoposto al saccheggio delle risorse naturali, una robusta corrente di pensiero ambientalista vede la decrescita (almeno quella demografica) come una benedizione. (…). Krugman usa una metafora: le nostre economie e i nostri sistemi sociali sono strutturati come delle biciclette, se si fermano perdiamo l’equilibrio e cadiamo. La risposta al declino demografico va cercata sia sul fronte del progresso tecnologico, sia una diversa organizzazione sociale. Ma siamo ancora ben lontani. È che percorrendo e scandagliando quelle vie che portano alle cosiddette “scuole di pensiero” mi ero imbattuto il 4 di novembre dell’anno 2012 in un pezzo molto interessante di Paolo Guerrieri pubblicato sul quotidiano l’Unità che ha per titolo “Il rischio del ristagno globale”, che è l’equivalente della “stagnazione secolare” secondo la vulgata della “scuola di pensiero” targata “Krugman-Summers”.  Come dire, nulla di nuovo sotto questo cielo. Scriveva Paolo Guerrieri che… (…). …a cinque anni dall’inizio della grande crisi lo stato dell’economia globale appare tutt’altro che rassicurante. (…). In assenza di significativi mutamenti si profila il rischio concreto per tutta l’area avanzata, inclusi Stati Uniti e l’area Euro, di un periodo prolungato di ristagno economico, stile giapponese, che si potrebbe estendere di qui al 2020. (…) …la causa di fondo di andamenti così deludenti è largamente condivisa: l’esplosione di una crisi economica e finanziaria, completamente diversa da quelle cicliche del secondo dopoguerra e derivante da un eccesso strutturale di debiti, sia privati che pubblici, finalizzato a sostenere per oltre dieci anni, grazie alla smisurata crescita dell’intermediazione finanziaria, domanda di consumi e bolle immobiliari, coinvolgendo famiglie-consumatori, banche e governi. Da qui ha preso, poi, le mosse un processo prolungato e costoso di forzoso deleveraging (riduzione dell’indebitamento), al fine di aggiustare i dissestati bilanci. È un processo tuttora in corso e che continuerà a lungo, come dimostrano analoghe esperienze del passato. È sempre l’esperienza storica a insegnarci che una crisi da eccesso di debiti ha due maggiori conseguenze. Una di natura politica legata alla distribuzione dei costi del necessario aggiustamento, sia tra Paesi – in Europa coinvolge Paesi creditori e debitori – che all’interno dei Paesi, soprattutto tra comparto finanziario e settori dell’economia reale. La seconda è una conseguenza più di carattere economico, in quanto il deleveraging finisce inevitabilmente per creare un vuoto di domanda effettiva, a livello nazionale e globale, che è il fattore determinante del ristagno prevalente in tutta l’area avanzata. (…). Si può uscire da questa trappola del ristagno? Soluzioni economiche in realtà esistono. Certo non generici sostegni alla domanda di consumo; servono in realtà, unitamente a riforme strutturali nei singoli Paesi, massicci investimenti a medio e lungo termine, pubblici e privati, in una serie di comparti in grado di creare posti di lavoro oggi e accrescere la produttività in futuro (quali in particolare infrastrutture materiali e immateriali, istruzione, mobilità, energie rinnovabili). Solo in questo modo sarà possibile stimolare la domanda e aggirare contemporaneamente le strozzature esistenti dal lato dell’offerta, sia nell’area più sviluppata che in quella emergente. (…). Non Vi sembrano del tutto evidenti la inutilità e la perniciosità, per la democrazia, di tutti quegli strombazzamenti miracolistici che i nostri tromboni, vecchi, meno vecchi e ultimamente giovani, della politica e dintorni si peritano di diffondere attraverso la truffa del secolo, ovvero i “talh-show televisivi”? Disertateli!

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