"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 30 maggio 2014

Cosecosì. 82 “Il carisma e quelli che… ho ragione io e basta”.



È che il post-elezioni è sempre difficile da metabolizzare. Finite sono le suggestioni. Di quelli che hanno, a dir loro, vinto. Di quelli che non ammetteranno mai di aver perso. È che nel post-elezioni si perde di vista quello che un tempo veniva definito il “bene comune”. Che nelle democrazie rappresenta il massimo dei traguardi. Poiché il risultato elettorale non è mai, in verità, il misuratore della buona salute delle democrazie. La Storia grande sta lì a darcene prove inconfutabili. Anzi è all’indomani delle elezioni che vengono allo scoperto i malanni che affliggono le società democratiche. Soprattutto in quelle nella quali la “pialla” del potere ha ben levigato il pensiero critico. Per la qual ragione montano in cattedra “Quelli che… ho ragione io e basta”. Che poi è il titolo del pezzo che Bruno Tinti ha pubblicato su “il Fatto quotidiano” di oggi.
Scrive l’illustre opinionista: Il pensiero piano e il pensiero sferico (…) sono i due sistemi con cui le persone affrontano il mondo. Naturalmente, la prima contrapposizione che viene in mente è quella tra l’egocentrico e il disinteressato. Ma ve ne sono altre non così caratterizzate eticamente. Il credente e il laico, per esempio. In ogni modo, al di là delle classificazioni, sta di fatto che il pensiero piano spinge le persone a privilegiare ciò in cui credono; e il pensiero sferico le induce al dubbio. Ovviamente il pensiero piano ha una forza intrinseca che quello sferico non ha: è aggressivo, semplificatore, divide le persone in alleati e avversari. Ha bisogno di un nemico. Il pensiero sferico gli è ontologicamente incompatibile: non è necessario che l’oggetto del pensiero piano non sia condiviso; è sufficiente che sia analizzato senza un’entusiastica approvazione preventiva. Al momento, il pensiero piano domina il mondo della politica e dell’informazione. Bisognava impedire che i comunisti si impadronissero dell’Italia: per questo è nata Forza Italia; chiedersi se i comunisti esistevano veramente e – se sì – quanto fosse un male che partecipassero alla vita politica è evidente dimostrazione di comunismo. (…). Fin qui il nostro, che dà quella compiutezza che mancava a quella mia percezione di una “scarnificazione” del pensiero collettivo.  È d’uopo che nel post-elezioni si affrontino le questioni spinose e salienti. Quelle che dovrebbero innalzare il livello della qualità del pubblico pensare. Tanto le suggestioni pre-elettorali sono svanite e quelle post-elettorali hanno da fare il corso loro. Ecco allora che in “quelli che… ho ragione io e basta”, magistralmente tratteggiati dall’illustre Autore, spunta fuori la necessità di capire gli stessi eventi elettorali. Per come si sono dipanati e conclusi. Parlavo di suggestioni. E come non riandare alla suggestione indotta dal “carisma”, che nella politica sprigiona il massimo della sua azione. Mi soccorre nell’occasione un “pezzo” straordinario a firma di Massimo Recalcati pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 26 di novembre dell’anno 2013. Massimo Recalcati è uno psicoterapeuta della scuola lacaniana. Il Suo “pezzo” ha per titolo “Il carisma orizzontale”. E mi pare proprio che abbia i requisiti per aiutare a trovare le prime risposte post-elettorali. Scrive: Non è forse il carisma quella forma di potere che rende ciechi, che muove le masse suggestivamente, ipnoticamente? Non è il fascino carismatico del leader a spegnere il giudizio critico celebrando religiosamente l’Imago del leader come una sorta di idolo pagano? (…). Uno dei contributi decisivi che la psicoanalisi ha introdotto nel campo della politica consiste, (…), nel pensare che le scelte degli individui — anche quelle elettorali — siano sempre mobilitate non solo dal giudizio ma anche da spinte pulsionali acefale, da desideri più forti, da esigenze “illogiche” che la ragione non è mai in grado di governare del tutto. Queste esigenze non sono solo quelle avidamente pulsionali del guadagno immediato, della difesa accanita ed egoistica dei propri interessi, dell’accrescere la propria potenza, ma anche quelle — altrettanto pulsionali — dell’aspirazione al cambiamento, alla trasformazione dell’esistente, alla giustizia, all’apertura di mondi nuovi, all’affermazione coraggiosa di una visione differente del nostro futuro. Questo significa che la politica implica sempre la pulsione e il desiderio e non solo la ragione. È un dato di fatto. Gli enunciati senza la forza singolare dell’enunciazione (desiderio) risultano vuoti. (…). Il problema, (…), non è demonizzare il carisma nel nome di una visione razionalistica della politica che esclude dal suo orizzonte la dimensione della forza e dell’eccesso — pulsione e desiderio — , ma costruire una clinica differenziale del carisma. Cosa osserviamo a questo proposito? Semplice: l’esistenza di carismi differenti. Il carisma berlusconiano non è assimilabile a quello renziano o a quello grillino. Si tratta di carismi che hanno supporti diversi: il carisma berlusconiano poggia sul fantasma della libertà, o, meglio, sulla riduzione della libertà al principio di fare quel che si vuole, sull’inno dell’individualismo — la riduzione della Legge a Legge ad personam — come valore antropologico assoluto che finisce per rendere impossibile la vita insieme. Gli altri suoi attributi — non secondari — sono quelli del potere, del sesso e del denaro che radunano il consenso a partire da un meccanismo elementare di identificazione proiettiva: essendo il nostro tempo il tempo della morte degli Ideali, ciò che conta è godere il più possibile senza vincoli di sorta e Berlusconi incarna con forza carismatica questo godimento libero dalla Legge e per questa ragione ha saputo generare un consenso ventennale attorno alla sua persona. Non nonostante infrangesse la Legge, ma proprio perché sottoponeva la Legge a una volontà — la sua — più forte. (…). In Grillo il vento dell’antipolitica è suscitato non da un fantasma di libertà, ma da quello di purezza e di incontaminazione sostenuto da un confine immunitario rigido e fondamentalmente paranoico che rende impossibile qualunque trattativa con chi non appartiene alla casta identitaria dei puri. Qui non è il potere, né il sesso, né il denaro, né una visione iperindividualista della libertà, a fondare il carisma. Le ragioni da cui scaturisce il carisma di Grillo sono le stesse ragioni della sinistra, ma in esso si miscelano in modo singolare e inquietante estremismo (verso l’esterno) e autoritarismo (verso l’interno) secondo la più tipica fenomenologia di tutti i leader integralisti. (…). …il carisma di Renzi. Mi pare che questo carisma faccia perno essenzialmente su un’idea positiva della giovinezza. Non certo quella estetica perseguita pateticamente da Berlusconi, ma quella che coincide con l’esigenza del sogno e della trasformazione, del progetto e del coraggio, della necessaria assunzione di responsabilità che attende le nuove generazioni. Per questo, probabilmente, esso sa radunare attorno a sé quei giovani che abbandonano le sedi più tradizionali dei partiti, Pd compreso, e che rischiano di essere assorbiti dall’antipolitica dell’iperindividualismo berlusconiano o del fondamentalismo grillino. Si tratta chiaramente di un carisma che non si sostiene più — come accadeva per i grandi leader storici della sinistra democratica — sull’autorevolezza della figura paterna. Da questo punto di vista i funerali di Enrico Berlinguer non hanno solo chiuso una stagione politica, ma hanno anche segnato il tramonto definitivo del carisma patriarcale di cui il leader era la personificazione. (…). Dalle cronache che ne hanno fatto oggi i quotidiani sembra che nella riunione della Direzione del PD di ieri non sia volata una sola mosca. La vivacità di dibattito in quella sede sembra si sia spenta all’improvviso come d’incanto. Sarà stato per quel “carisma” così ben rappresentato da Massimo Recalcati? Ha tentato di dare una prima risposta all’esito elettorale Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” del 27 di maggio. Titolo dell’editoriale: “Democrazia Renziana”. Ha scritto: Matteo Renzi non è il nuovo Berlusconi (…). Ma la pancia di una certa Italia lo vede e lo sente come il nuovo Berlusconi, cioè come il nuovo messia, il salvatore della patria, il populista ridens con il sole in tasca e 80 euro in mano, l’uomo solo al comando nelle cui braccia gettarsi e del cui verbo ubriacarsi, un po’ per speranza un po’ per disperazione. Un Berluschino un po’ allergico ai controlli, alle critiche e ai sindacati, con qualche conflitto d’interessi fra gli amici, ma molto più giovane e meno ideologicamente connotato, più sbiadito e gelatinoso, dunque più trasversale. In una parola: democristiano. In senso tecnico, non deteriore. Bisogna infatti risalire agli anni 50, cioè all’apogeo del centrismo, per trovare un partito – la Dc – sopra il 40%. Anche allora pochi dichiaravano di votarla, ma la votavano in tanti. Un partito-contenitore, un grande sughero galleggiante che ospitava a bordo tutto e il contrario di tutto, e lasciava fare a ciascuno i suoi comodi. Prospettiva molto più comoda e accattivante della quaresimale austerità berlingueriana, incautamente evocata da Grillo e Casaleggio nel paese del Carnevale perpetuo, anche quando non c’è nulla da ridere. La Dc durò 40 anni, Berlusconi 20. (…). Al momento vale il detto di Kierkegaard: “La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma che cosa mangeremo domani”. (…). È iniziata la metabolizzazione post-elettorale. Prosit!

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