"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 16 maggio 2014

Cosecosì. 79 “W la squola”.



Ri-torno a parlarne. Della “squola” ovviamente. Di quella che i buoni maestri sottolineano di rosso. Ché di quella “squola” serbo il ricordo più raccapricciante. Anche se oramai sfumato dal tempo che è passato. Ri-torno a parlarne dopo aver ri-visto lo stucchevole film di Daniele Luchetti “La scuola” (1995), la sceneggiatura del quale si è avvalsa del contributo straordinario di un profondissimo conoscitore della “squola”, quella con la “q”, quale è Domenico Starnone. Questa volta mi sono trovato a rivedere l’opera di Daniele Luchetti in buona e numerosa compagnia. Ne è venuto fuori che il personaggio più “apprezzato” e più preso in considerazione di stima dagli astanti non è stato il professor Vivaldi, magistralmente interpretato dall’ottimo Silvio Orlando, ma quel tale Mortillaro, braccia sottratte all’agricoltura come suol dirsi, insegnante – si fa per dire – nel film della lingua francese. Le mie argomentazioni non sono valse a nulla. E sì che mi sono provato a citare i risultati di una ricerca commissionata alla Hay McBer dal Ministero inglese dell’Istruzione e del Lavoro. Una ricerca che, al tempo, mi premurai di diffondere tra i miei colleghi ma per la quale ottenni scarsissima considerazione. Se non commenti poco benevoli. Donde il ricordo raccapricciante che ancora perdura di quella “squola”. O meglio, di quel tipo di scuola che definirei alla “Mortillaro”. Dalla ricerca inglese ne veniva fuori il tratteggio di quello che potremmo definire “un buon insegnante”. Lontano misure siderali dalla macchietta umana del prof. Mortillaro del film di Daniele Luchetti.
Orbene risultava al tempo che quello che suol dirsi “un buon insegnante” “è gentile, è generoso, ti ascolta, ti incoraggia, ha fede in te, sa mantenere il segreto, ama insegnare ai ragazzi, ama le materie che insegna, impiega tutto il tempo necessario per spiegarti le cose, ti aiuta quando sei in difficoltà, ti dice come vai, ti lascia parlare non ti trascura, tiene conto delle tue opinioni, ti fa sentire bravo, tratta tutti in modo giusto, ti difende, ti dà credito, dice la verità, sa perdonare”.  Ed il professor Mortillaro del film rappresenta la negazione vivente, poiché essa la si ritrova, la negazione intendo dire, in quella che è la cosiddetta “sala dei professori” di tutte le scuole del bel paese, di quel profilo individuato dalla ricerca inglese. Uno stimolo la visione del film di Luchetti e del grande successo del professor Mortillaro tra i convenuti. Uno stimolo a proporre oggi l’interessante intervista di Fabio Gambaro a Daniel Pennac pubblicata sul quotidiano la Repubblica del 23 di marzo dell’anno 2013. Domandava Fabio Gambaro in quell’intervista che ha per titolo “L’ultimo della classe”: (…). …parlerà della necessità della pedagogia? E Daniel Pennac: «Oggi abbiamo bisogno di persone che cerchino di comprendere le paure di un adolescente, prima ancora d´insegnargli qualcosa. È questa la funzione del pedagogo. Quando insegnavo, cercavo sempre di capire i timori dei miei studenti, proprio perché nella mia infanzia scolastica la paura - di sbagliare, di non farcela, di non essere all´altezza - ha svolto un ruolo capitale. (…).». Daniel Pennac non è il Mortillaro di turno. È semmai il professor Vivaldi di quel bel film. Dei professor Vivaldi conservo lieto ricordo. È dei professori alla Mortillaro che mi permane il ricordo raccapricciante. Al pari del Mortillaro della finzione cinematografica mi sono ritrovato a convivere con i Mortillaro della realtà, quelli che alla indagine inglese rispondevano “è solo poesia!”. Volendo dire fuffa. Chiede Fabio Gambaro nell’intervista: A chi si contrappone la figura del pedagogo? «Al demagogo da un lato e al mercante dall´altro. Purtroppo nella scuola non mancano i professori demagoghi, quelli che fanno finta di essere degli adolescenti per conquistarsi la simpatia degli allievi. È un atteggiamento che infantilizza sia i professori che gli studenti. In realtà, i giovani hanno bisogno di confrontarsi con degli adulti veri, la cui presenza li aiuti a costruirsi. Gli adulti devono indicare i limiti, spingere allo sforzo intellettuale ed esigere una certe solitudine riflessiva. Tutto ciò per insegnare ai ragazzi a riflettere da soli. Il pedagogo è colui che riesce a far sentire agli allievi che l´esercizio dell´intelligenza critica può essere una fonte di piacere. I demagoghi invece propongono sempre le soluzioni più facili e soprattutto fanno sempre appello a un´identità collettiva, una sola per tutti, dove si annulla ogni singolarità. A scuola, ma anche al di fuori, nella corsa al consumismo, nella moda, nella politica e perfino nella pratica artistica. Il demagogo è il pifferaio magico che seduce e ci conduce al disastro». Perché i demagoghi oggi hanno tanto successo? «Perché l´autorevolezza che nasce dall´esempio della singolarità si fa sempre più rara. È sempre più raro trovarsi di fronte a un adulto capace di pensare con la propria testa e di avere un comportamento indipendente, un adulto che dia l´impressione d´essere veramente se stesso e non il prodotto di mode e pensieri dominanti». Il successo della demagogia corrisponde a una perdita globale di spirito critico? «Sì, ma la perdita globale di spirito critico è figlia del bombardamento pubblicitario televisivo cui sono sottoposti sempre di più i bambini e i giovani. La pubblicità stuzzica in permanenza il loro desiderio di possedere (che in loro viene immediatamente confuso con un desiderio d´essere), trasformandoli tutti in clienti. Il pedagogo deve provare a decostruire questa situazione, tentando di trasmettere il piacere di comprendere, in modo che un allievo possa anche decidere di riflettere invece di passare il suo tempo a consumare. Il che è già una manifestazione di spirito critico». (…). Ecco il punto: al professor Mortillaro di Daniele Luchetti “la necessità della pedagogia”  nella vita di un professore è solo “poesia”. Non per niente il refrain ricorrente sulle tumide labbra del professor Mortillaro del film e dei Mortillaro da me conosciuti nella scuola reale è sempre stato: - Caro collega io do per quanto lo Stato mi da. Poco mi da, poco sono disposto a dare -.  W la “squola”!

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