"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 2 maggio 2014

Capitalismoedemocrazia. 47 “Bread & Roses”.



Ieri è stato il primo di maggio. Una data che, nello spirito del tempo che mira all’omologazione al ribasso ed alla scomparsa di qualsivoglia idealità e memoria, sarà passata per i più nell’indifferenza più assoluta. Avranno fatto rumore, ma solamente un po’, gli annunciati concerti; per il resto il nulla più assoluto. E così anche di questa data andrà perduta la forte carica simbolica e la memoria che essa ha sempre rappresentato per generazioni e generazioni di “quellichelasinistra”. È l’apoteosi dello spirito del tempo che trova nell’obnubilamento delle coscienze e della memoria la più grande delle vittorie. È su questa impietosa direttiva dello spirito del tempo che i numerosi e grandi mass-media si sono sintonizzati nella ricorrenza. Nelle loro programmazioni non un pur che timido accenno alla giornata del 1° di maggio. Tranne la piccola “Laeffe” della casa editrice Feltrinelli che in prima serata ha mandato in onda quel film straordinario di Ken Loach che ha per titolo “Bread & Roses”. La stupenda opera cinematografica è dell’anno 2000, ben prima che scoppiassero tutte le bolle finanziarie di questo mondo globalizzato. Ma essa, quell’opera intendo dire, mette a nudo l’eterna contrapposizione tra sfruttati e sfruttatori.
Scriveva Alessandra De Luca sull’”Avvenire” del 12 di maggio di quell’anno: "Loach continua a dirigere come sempre in maniera straordinaria gli attori ai quali si crede dalla prima all'ultima scena. Non che questo film aggiunga granché alla carriera di un regista che come Woody Allen può permettersi ogni tanto anche film meno incisivi, eppure alcune sequenze, come quella in cui Rosa confessa a Maya di essersi prostituita per sfamare l'intera famiglia, sono di una tragicità che lascia il segno". Ma non di un mondo di “escort” – oggigiorno di gran moda - di alto bordo narra la storia di Ken Loach. Narra di una giovane messicana Maya -  interpretata da una straordinaria Pilar  Padilla – che riesce ad entrare clandestinamente negli Stati Uniti. Raggiunge così finalmente la sorella maggiore Rosa -  interpretata da Elpidia  Carrillo -, donna delle pulizie in un grattacielo dove sono gli uffici delle più importanti compagnie d'affari di Los Angeles. Rosa vive la sua vita di donna sposata e sfruttata, con figli a carico e con un coniuge inabile al lavoro che necessita di cure sempre più costose che la miserevole condizione della donna non consente di affrontare. E così Rosa si trova nella condizione di dover provvedere alla sistemazione della sorella Maya facendola incontrare con il capo dei servizi della ditta, un uomo senza scrupoli che impone il pugno di ferro, orari senza limite, taglieggiamenti  e salari miserevoli. Nessuno ha la forza di ribellarsi stante la perenne minaccia del licenziamento. Ma la giovane Maya non riesce ad accettare l’evidente iniquità della sua condizione e così quando negli uffici compare il sindacalista Sam Shapiro – interpretato da Adrien  Brody, l’attore de’ “Il pianista” (2002) di Roman Polański, tratto dal romanzo autobiografico di Władysław Szpilman e premiato con la Palma d'oro al Festival di Cannes di quell’anno -, ritiene di doversi associare alla lotta contro l’iniqua situazione. Come sempre accade nelle mobilitazioni delle coscienze le reazioni sono contrastanti: alcuni sono solidali con le lotte intraprese, ma molti soggiacciono al ricatto di perdere il posto. E tra questi c'è anche Rose. Ed avviene così che tra le due donne e sorelle la situazione si fa molto tesa. Allorquando sei lavoratrici perdono il lavoro la giovane Maya scopre che è stata proprio Rose a denunciarle ed allora la rabbia esplode con forza dei disperati di tutti i tempi. Nella storia tormentata di Maya avviene che la giovane donna organizzi un furto in un negozio per aiutare negli studi un giovane universitario del gruppo di lavoro. È nel corteo dei lavoratori che sfila compatto per protesta davanti agli uffici chiedendo le garanzie negate e la giustizia sociale che arriva in forze la polizia. Molti dei manifestanti vengono arrestati e quando viene il turno di Maya nella sede della polizia si scopre che su di lei è stata formulata l'accusa di furto. Un film notevole, magnificamente, magicamente al femminile, nel quale la magistrale regia e le straordinarie interpretazioni lasciano il senso ed il segno di una levità inattesa in quelle drammatiche situazioni sociali d’inizio del nuovo millennio.  Scriveva in proposito Piera Detassis sul settimanale “Panorama” del 24 di agosto dell’anno 2000: "Ken Loach, grande autore inglese e ultimo dei trotzkisti, ritorna sul tema prediletto (e negletto) dello scontro di classe, dando fuoco all'odiata America. La sua regia pende più dalla parte nell'ideologico 'Terra e Libertà' che verso capolavori come 'Piovono pietre'. (...) Per chi non si arrende ed ha nostalgia del caro vecchio cinema d'impegno. Con il tocco originale di un autore come Loach". E così su “Carnet” del settembre 2000 si ritrovano queste considerazioni: "Il regista, per il suo primo film girato negli Stati Uniti, mette sullo stesso set attori professionisti e non: alterna un punto di vista orizzontale, da documentario televisivo di qualità, a una drammaturgia più strutturata e didattica: mette in scena dialoghi emotivamente densi. Loach è convinto che inquadrare un corteo sia ancora bello e importante, che ripetere un vecchio slogan degli anni '10 'Vogliamo il pane e anche le rose', da cui anche il titolo del film, sia ancora di grande attualità, e che il cinema possa essere solo di lotta e mai di governo". Nella giornata del 1° di maggio dobbiamo alla emittente “Laeffe” questo cameo della cinematografia. Tutt’intorno il deserto. E sì che la proclamata morte del conflitto di classe non trova concordi i pensatori più accorti. Da non pensatore quale mi ritengo penso che quella morte annunciata sia servita esclusivamente a nascondere sotto il tappeto della ipocrisia sociale la nuova stagione dello sfruttamento e dell’impoverimento delle masse nel frattempo divenute il “ceto medio”, impoverimento e sfruttamento che fanno oggigiorno da tragiche notizie che riempiono le cronache di questi tormentati giorni. Ha scritto Michael Walzer – che è filosofo americano che si occupa di “filosofia politica, sociale e morale” - sul quotidiano la Repubblica nella giornata del 1° di maggio – “L’Occidente salvato dalla lotta di classe” -:  Ogni società umana produce gerarchie di ricchezze e potere e oggi questa produzione si attua non all’interno delle società, ma in modo trasversale a esse, nella società globale, dove le banche internazionali e le multinazionali operano con modalità tali da assicurare grandi ricchezze a pochi e determinare periodiche crisi per molti. Ai vecchi tempi, nello stato di cittadini attivi o potenzialmente attivi, questa tendenza persistente verso un ordinamento gerarchico era talvolta interrotta dalle ribellioni delle classi subordinate — agitazioni di cittadini precedentemente passivi che confluivano in movimenti sociali potenti e che davano vita a regimi socialdemocratici, welfare state, e disordini o perturbazioni nelle vecchie gerarchie. L’idea dell’uno per cento e del novantanove per cento, lo slogan del movimento Occupy, non è un esempio di analisi di classe. È un appello populista, e potrebbe essere politicamente utile. Ma dovremmo usare prudenza nei confronti del populismo (proprio come dovremmo essere cauti nei confronti dell’anarchismo), perché non è una politica sostenibile, non cambia il mondo, ed è accessibile tanto alla destra quanto alla sinistra. (…). Se deve esserci un movimento di classe di persone colpite o minacciate dal capitalismo neo-liberale, deve essere un movimento con obiettivi concreti e un programma specifico. Non so come dar vita a un movimento concentrato di questo tipo, ma è possibile prepararsi per la sua comparsa a livello intellettuale e di organizzazione. Dobbiamo anche essere pronti a far fronte al pericolo che si nasconde lungo il nostro cammino, il pericolo che nelle nostre società diverse ed eterogenee il movimento che auspichiamo sia preceduto da una politica nazionalista e xenofoba nei confronti delle minoranze, degli immigrati, dei rifugiati. Questo è un altro motivo per il quale la gente di sinistra non dovrebbe mai prendere alla leggera il populismo. Ci occorre una democrazia sociale rinvigorita e militante, che parli la lingua di classe, i cui leader siano preparati, quando verrà il momento della ribellione, a unirsi, a organizzare, a esercitare pressioni sui ribelli verso una politica di solidarietà, di aiuto reciproco e di cooperazione transfrontaliera. (…). Tutto ciò è stato nella giornata del 1° di maggio.  

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