"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 12 aprile 2014

Sfogliature. 22 “Gli italiani sono koinòfobi”.



Le notizie di questi turbolenti giorni si susseguono e si rincorrono come in un “tourbillon” che non lascia spazio e che fa mancare il respiro. La notizia ultima è la fuga all’estero di un galantuomo condannato in attesa di giudizio finale, che poi sarebbe il pronunciamento atteso a giorni dell’alta Corte di Cassazione. Perché non riparare altrove prima che arrivi il diluvio? E pensare che quel rispettabilissimo ha avuto modo di decidere per le sorti dell’intero popolo dello stivale. Al fianco del suo sodale di già condannato in via definitiva e che spera di sfuggire alle conseguenze dei suoi criminali atti. La seconda notizia ci è offerta da Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” del 10 di aprile in un pezzo che ha per titolo “Sono pazzi questi inglesi”: Ieri (9 di aprile n.d.r.) s’è dimessa la ministra della Cultura del governo britannico, Maria Miller. Non è neppure indagata, ma l’autorità di controllo sulla Pubblica amministrazione l’accusa di aver sottratto alla collettività la bellezza di 5.800 sterline (7 mila euro), infilando nelle sue note spese un pezzettino di mutuo della seconda casa a Wimbledon (che peraltro dal 2005, quando fu eletta, le serve per lavorare a Londra, essendo una “fuori sede” in trasferta). La ministra ha restituito la somma e s’è scusata in Parlamento, ma “non abbastanza” secondo i giornali e il Labour, il partito di opposizione, che le ha chiesto spiegazioni più convincenti.
Il suo partito, quello conservatore, l’ha scaricata. E lei se n’è andata con una lettera al premier Cameron in cui spiega che si assume “la piena responsabilità delle mie azioni” e che “la situazione era diventata una distrazione per il lavoro vitale che il governo sta svolgendo per cambiare il Paese”. Il suo collega dell’Educazione, Michael Gove, ha commentato che le sue dimissioni, subito accolte dal primo ministro, “devono servire da avvertimento per l’intera classe politica”. Se ora, com’è già accaduto a diversi ministri e parlamentari inglesi negli ultimi anni, anche la Miller sarà inquisita e processata, le sue vicende giudiziarie non avranno la benché minima influenza sul governo di Londra e sulla vita politica britannica. Perché, a essere processata, sarà una “ex”. È quanto ci giunge da quel paese. Che sembra lontano a distanze siderali. Il 3 di agosto dell’anno 2006 in una rubrichetta senza pretese davo alla luce il post che segue. La rubrichetta, com’è anche specificato nell’incipit del post, si abbeverava a quel tempo da un volume fresco di stampa di uno dei maggiori studiosi europei di linguistica e filosofia del linguaggio e della cultura, studioso che ai Suoi approfondimenti culturali affiancava una ricchissima attività di saggista politico.

“Io non mi toso” è il titolo del trentesimo capitolo del volume “Il paese del pressappoco” di Raffaele Simone, pregevolissimo lavoro che è ispiratore delle pagine di questa rubrichetta. E nella paginetta che ne è stata tratta rifulge luminoso il carattere “più” degli abitatori delle felici, solatie ed ubertose contrade del bel paese. E come non scorgervi i motivi ispiratori di una recentissima opera, o meglio mala opera, di una esperienza di governo fortunatamente cessata? “(…). … gli italiani sono koinòfobi. Si tratta di un’altra parola inventata nello sforzo di fissare una delle peculiarità che ci affliggono. Per koinofobia intendo ‘ l’odio per le cose comuni, per le cose di tutti, o più in generale odio dell’idea stessa di bene comune. A questo male endemicamente italiano dobbiamo una quantità di conseguenze, tra cui una essenziale: una speciale concezione della libertà. In un paese libero le leggi sono sistemi di restrizioni che sottraggono al singolo piccole porzioni di libertà per evitare che l’uso della libertà individuale leda quella degli altri. Ora, dinanzi alle limitazioni imposte dalle leggi ci possono essere diverse reazioni. Le dispongo secondo una scala. A un estremo c’è la posizione che consiste nel piegare la testa e rispettare le leggi; all’altro c’è quella che consiste nel rifiutarle esplicitamente facendo il proprio comodo. In mezzo si trovano due posizioni più sfumate. Una consiste nel fingere di rispettare le leggi sostanzialmente ignorandole, cioè aggirandole. L’altra, che è ideale e quasi mistica, consiste nell’essere felici nel rispettarle, sapendo che il rispetto delle leggi comporta sì una limitazione dei propri impulsi, ma la compensa ad abbondanza espandendo il benessere di ciascuno e garantendo una riduzione del rischio del conflitto. …aggiungerò una quinta posizione (…). La posizione (…) di chi obbedisce alle leggi non per obbligo o sottomissione ma per educazione e per eleganza, quasi per un’esigenza di gusto, al di là da ogni vantaggio pratico che possa ottenerne (…)”. Il concetto è chiaro: uno dei modi di rispettare le leggi consiste nel farlo per buon gusto e per educazione, anche se in fondo la cosa non dovesse starci a cuore, con lo stesso spirito con cui eviteremmo di comparire in società con una macchia sul vestito o con un abito logoro. A me questa pare una posizione moderna, raffinata com’è, quasi dandy: può valere infatti anche per chi per cinismo non crede affatto alle leggi ma ama rispettarle per finezza, per evitare di sporcarsi con una macchia. Da che parte di questa graduatoria metteremmo gli italiani? Qualcuno può dire che piegano la testa e stanno al gioco. Se fosse così, saremmo sì un paese di mugugnatori ( come in effetti siamo ) ma le leggi le rispetteremmo e le cose andrebbero diversamente. Io ritengo invece che gli italiani ignorano le leggi e cercano di aggirarle, oppure fingono di rispettarle. Si comportano a questo modo perché essendo koinòfobi non sentono che  il rispetto delle leggi  ha direttamente a che fare con la pace collettiva e la qualità del vivere. Il rispettare una legge non produce in loro l’impressione di contribuire al benessere e  alla sicurezza generali, di cui ciascuno poi per proprio conto. Al contrario, li fa sentire spossessati di qualcosa, privati di una loro speciale libertà, mortificati nel loro spirito autoassertivo. (…). In fondo, la mancanza di senso dello stato che viene spesso attribuita ai nostri politici e civil servant (e che è stato dichiarata candidamente dal nostro primo ministro nel settembre 2004: io non ho senso dello stato ma ho il senso dei cittadini) deriva dal seguente ragionamento, (…): Dato che lo stato vuole limitare la mia libertà, la mia mission è quella di rompere le limitazioni e di esser davvero libero (anzi, libbero: molti di questi ideologi sono meridionali)”.

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