"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 26 marzo 2014

Cosecosì. 73 Berlinguer e la politica alta.



La politica “alta”. Che si contrappone alla politica stagnante, intenta sempre e solamente all’occupazione del potere per il potere. E che diviene, quest’ultima, la politica fatta per l’occupazione del potere per il potere, la vera ed unica espressione concreta dell’”antipolitica”. L’”antipolitica”. Che è divenuta fattore determinante affinché la “crisi” mordesse per come morde. Di più ancora laddove la politica “alta” è divenuta da tempo oramai passato un lontano, pallidissimo ricordo. Come nel bel paese. Ha lasciato scritto Stephane Hessel sul quotidiano la Repubblica del 20 di aprile dell’anno 2013 – “Indignarsi non basta” -: Ai miei amici ripeto sempre la stessa cosa: se volete combattere i problemi, se volete che le cose cambino, nelle democrazie istituzionali nelle quali viviamo il lavoro deve essere fatto con l’aiuto dei partiti. Perfino coi loro difetti, le loro imperfezioni, le loro insufficienze. Ognuno di noi deve trovare il partito più vicino alle proprie preoccupazioni, il più disposto ad appoggiare le proprie rivendicazioni, ed entrare a farne parte. Non ci si deve illudere. Non ne troverete mai uno, neppure uno, che coincida al cento per cento con la vostra linea. Ma le cose stanno così, questo fa parte del gioco. Trovate che non abbiano abbastanza vigore? Che non siano abbastanza determinati? Non dimenticate che siete voi che potete infondere loro quel vigore e quella determinazione.
Ecco il punto. Dal quale ricominciare. Poiché un’attesa messianica è contro la natura della democrazia. Un uomo. Un condottiero. L’esperienza ci ha insegnato che meccanismi ben strutturati stanno alla base delle scelte che vengono definite e prese. Sempre all’insegna dei poteri e degli interessi più forti. E la non partecipazione diretta di grandi masse di cittadini-elettori alla vita politica ha comportato una concessione di licenza d’agire ad operatori professionalizzati della politica che l’hanno privata dell’afflato necessario affinché la stessa divenisse centro d’attenzione e di partecipazione attiva nella vita delle democrazie occidentali. Donde ne è derivato il diffuso ricorso al “mugugno” in quanto tale, alla ricerca delle vie per semplificare sempre più la via e la vita della democrazia. La democrazia ha una complessità tutta sua, ché della complessità essa si nutre e per la quale esige consapevolezza e partecipazione affinché la democrazia divenga sempre più larga e partecipata. Il tentativo riduttivo operato negli ultimi decenni con formazioni pre-politiche di tipo padronale e/o personale hanno condotto ad una situazione d’allarme per la tenuta sociale e politica delle società occidentali d’oggi. Ha lasciato scritto oltre Stephane Hessel – scomparso il 27 di febbraio dell’anno 2013 -: (…). …l’indignazione non è sufficiente. Se qualcuno crede che per cambiare le cose basti manifestare per le strade, si sbaglia. È necessario che l’indignazione si trasformi in un vero impegno. Il cambiamento richiede uno sforzo. Va benissimo esprimere il nostro rifiuto dell’oligarchia, ma contemporaneamente bisogna proporre una visione ambiziosa dell’economia e della politica (…). Ma la via della rivoluzione, delle ideologie totalitarie, non porta da nessuna parte. Rivoluzione e totalitarismo sono parole che portano l’una all’altra. Io sono nato con la rivoluzione sovietica e forse per colpa sua ho contratto l’allergia all’idea di rivoluzione... (…). L’uomo basta a se stesso, non ha bisogno di una guida suprema. Per tutti questi motivi io non sono mai stato comunista. E neppure anticomunista. È che non credo che il cambiamento possa venire da azioni rivoluzionarie o violente che distruggano l’ordine costituito. Io credo in un lavoro intelligente, a lungo termine, attraverso l’azione e la concertazione politica, e la partecipazione democratica. La democrazia è il fine, ma deve anche essere il mezzo. (…). Non c’è nessun bisogno di un’organizzazione piramidale, dove alcuni — i capi — danno gli ordini e gli altri li eseguono. Allora, come canalizzare questo impulso? Come farlo fruttare? Uno dei terreni in cui i giovani che vogliono cambiare le cose possono dimostrarsi utili è l’ambito dell’economia sociale e solidale. Quello della difesa dell’ecologia e dell’ambiente è un altro. Sono due facce della stessa medaglia. Ci salveremo soltanto se creeremo un nuovo modello di sviluppo, socialmente giusto e rispettoso del pianeta. Inoltre, bisogna ritrovare il gusto della politica, perché senza politica non può esserci progresso. (…). Lo scrittore Václav Havel, storico dissidente contro la dominazione sovietica e difensore dei diritti umani, che assunse la presidenza dell’antica Repubblica Cecoslovacca dopo la caduta del muro di Berlino, una volta disse: «Ognuno di noi può cambiare il mondo. Anche se non ha alcun potere, anche se non ha la minima importanza, ognuno di noi può cambiare il mondo ». [...] I partiti politici tradizionali si sono chiusi troppo in se stessi. Sono anchilosati e hanno bisogno di una scossa. Nonostante tutto, però, continuano a essere uno strumento essenziale della partecipazione politica. Credo che non si debba neppure dubitare dell’opportunità di entrare in un partito. Io sono del tutto convinto che si debbano utilizzare le forze politiche esistenti. Meglio stare dentro che fuori. Un appello senza sconti affinché ciascuno faccia la sua parte per divenire particella attiva di quella “complessità” propria della democrazia. Oggi è tornato di gran “moda” parlare di un grande protagonista della politica “alta”, Enrico Berlinguer. Una voce largamente inascoltata poiché autorevole. Nel dicembre dell’anno 1983, pochi mesi prima di morire (11 di giugno 1984) rilasciava sul quotidiano l’Unità una delle Sue ultime interviste a Ferdinando Adornato sul legame tra la politica partecipata e l’allora agli albori “rivoluzione elettronica”. Ne propongo le parti che consentono di apprezzarne l’intuito e lo sguardo lungo del grande leader:
(…). …in un mondo nel quale le informazioni, anche le più sofisticate, possono arrivare direttamente nelle case della gente, resisterà il partito di massa? Avrà ancora senso un partito che costruisce un proprio sistema autonomo di informazione con gli iscritti? L’elettronica non spezzerà il circuito della partecipazione? - La questione esiste ed è anche più ampia di quella che tu poni. Non riguarda solo il Pci e i partiti di massa ma riguarda il destino e le possibilità stesse dell’associazione collettiva. Io francamente credo che questa esigenza sia una esigenza irrinunciabile dell’uomo e continuerà a esistere anche se in forme diverse dal passato. La lotta, la pressione di massa saranno sempre necessarie. Certo, si può immaginare un mondo nel quale la politica si riduca solo al voto e ai sondaggi; ma questo sarebbe inaccettabile perché significherebbe stravolgere l’essenza della vita democratica…-.
Ma già si parla di democrazia elettronica: la gente risponde da casa ai quesiti posti dal video dell’amministrazione… - La democrazia elettronica limitata ad alcuni aspetti della vita associata dell’uomo può anche essere presa in considerazione. Ma non si può accettare che sostituisca tutte le forme della vita democratica. Anzi credo che bisogna preoccuparsi di essere pronti ad affrontare questo pericolo anche sul terreno legislativo. Ci vogliono limiti precisi all’uso dei computer come alternativa alle assemblee elettive. Tra l’altro non credo che si potrà mai capire cosa pensa davvero la gente se l’unica forma di espressione democratica diventa quella di spingere un bottone. Ad ogni modo lo ripeto: io credo che nessuno mai riuscirà a reprimere la naturale tendenza dell’uomo a discutere, a riunirsi, ad associarsi. Ogni epoca, certo, avrà i suoi movimenti, e le sue associazioni. (…). Naturalmente compito dei partiti dovrà essere quello di adeguarsi ai tempi e alle epoche. È qui che si misura la loro tenuta; sulla loro capacità di rinnovarsi -.
Quindi tu non credi che anche partiti storici come quelli della vecchia Europa possano diventare solo dei partiti-immagine… - Possono, certo che possono. Ma intanto bisogna attrezzarsi per saper essere anche partiti-immagine e partiti d’opinione. Il rischio è quello di diventare solo questo. Perché sarebbe un impoverimento non solo della vita politica, ma della vita dell’uomo in generale -.
Il rischio segnalato dagli intellettuali che si occupano di queste materie è che l’immagine tende progressivamente a svuotare di significato le parole, i contenuti, la sostanza di una linea per appiattirla al modello pubblicitario. Vince chi ha la reclame più efficace... - Dietro a questa e ad altre paure che vengono segnalate rispetto alla rivoluzione elettronica c’è spesso un tradizionale sentimento delle élites intellettuali che di fronte a tutti i fatti che significano socializzazione della cultura o della politica si ritraggono con l’impressione che questo poi finisca per schiacciare la vita dell’individuo, la creatività, l’arte (...). Io credo che, in linea generale, bisogna avere un atteggiamento critico verso questi sentimenti, che, anche quando non esprimono la volontà di mantenere esclusive certe posizioni di privilegio intellettuale, finiscono per opporsi alla diffusione della cultura -. Affinché torni una voce chiara nell’assordante cacofonia che sovrasta le nostre affaticate vite.

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