"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 7 marzo 2014

Cosecosì. 70 “I vecchi nuovi e i nuovi vecchi”.



C’è un gran parlare in giro di vecchi da rottamare e di giovani che innovano. È un parlare senza senso alcuno. Ché si può essere giovani ed al contempo “vecchi vecchi”, dal di dentro. E se non “vecchi vecchi” per personale inclinazione “vecchi vecchi” per abitudini, per consuetudini, per educazione, per acquiescenza. Ed allora è un vuoto parlare in termini d’anagrafe laddove ad essa si volesse associare la giovinezza delle idee e del fare. Ed è esistito un tempo, che sembra oggigiorno remoto assai, che sul quotidiano l’Unità, con puntualità giornaliera, compariva una rubrichetta – “Manginobrioches”, che si ispirava di certo a quella regnante d’oltralpe che informata che il popolo non avesse pane da mangiare consigliava di mordere le fragranti delizie – nella quale si discettava bonariamente e con semplicità dei massimi sistemi. E così il 21 di novembre dell’anno 2011 compariva nella predetta rubrichetta un “pezzo” col titolo “I vecchi nuovi e i nuovi vecchi”. È tutto un fluire in esso di una saggezza semplice e pratica che al tempo della “scarnificazione” del pensiero sembra essere un miracolo dal ciel piovuto. A pensarci bene al tempo – il 2011 – l’idea di rottamare si affacciava prepotente come la ricetta necessaria e salvifica per la risoluzione di tutti i mali del mondo. Non ci resta che leggere il dialogo illuminante: «Zia, che cos'è il nuovo?». «Il nuovo prima non c'era». «E quindi che cos'è nuovo, adesso?». «Il governo è nuovo». «Ma alcuni dicono che è vecchio». «E che cos'è, il vecchio?». «Il vecchio, zia, beh, è quello che esiste da molto tempo..». «Quindi questo governo non può essere vecchio». «No. Ma è vecchio anche chi... ha molti anni d'età». «E quindi?». «Quindi magari è poco elastico, vede le cose in un modo... vecchio. Non capisce il nuovo e non lo sa realizzare». «Io ti sembro vecchia?». «Tu hai 74 anni». «Oh, ne ho molti di più. Ogni volta che leggo sento o vedo qualcosa, divento più vecchia: mi arricchisco di tutta la vecchiaia del mondo, pensa». «Accidenti, e questo lo possiamo fare anche noi giovani?». «Ogni volta che volete». « Figo». «In effetti, bisogna essere vecchi, per essere giovani come si deve: ma questo l'ho imparato col tempo. Essere nuovi è una cosa molto difficile, e devi essere molto vecchio, per saper essere nuovo. Guarda la sinistra, per dire». «La sinistra è vecchia o nuova, zia?». «Dipende: ci sono giovani che sono vecchissimi, e meno male. Se non se lo ricordassero loro, che sinistra significa condividere e proteggere i più deboli, magari gli altri non se lo ricorderebbero mai. (…). Ma purtroppo ci sono anche quelli vecchi che sono smemorati come se fossero nuovi, e quelli nuovi che sono semplicemente vecchi, anche loro senza memoria e senza uno straccio di nuova idea». «Ma non erano quegli altri, quelli che se ne sono andati, vecchi e senza uno straccio di nuova idea?». «Lo erano. Vecchissimi, decrepiti, anche se si tingevano i capelli e le parole. Di quei vecchi che non sono capaci di essere vecchi, e quindi incapaci di nuovo». «Insomma, è meglio essere vecchi o nuovi?». «Tutti e due, nipote, tutti e due». È proprio così: «bisogna essere vecchi, per essere giovani come si deve». Poiché poi accade che si venga a scoprire, con grande raccapriccio, come i cosiddetti giovani giovani non lo siano affatto. Un gran bel pasticcio. E così avviene di sentire da questi giovani, che forse giovani non lo sono, parole del tipo “Non è intenzione di questo governo chiedere dimissioni di ministri o sottosegretari solo sulla base di un avviso di garanzia, ma solo per problemi di opportunità politica”. E poi ancora “L’avviso di garanzia è un atto dovuto, non un’anticipazione di condanna”. E poi, tanto per apparire giovani, risoluti ed operativi “All’esito del procedimento il governo valuterà se chiedere le dimissioni del sottosegretario”. E sin qui il nuovo non si intravvede. Non esiste proprio ancora. Scrive infatti Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” di oggi – “#inquisitostaisereno” -: Detta così, pare che ogni cittadino abbia diritto a ricevere almeno un avviso di garanzia. Qualcuno dovrebbe spiegare alla ministra delle Riforme che quell’atto è dovuto agli indagati, non a tutti i cittadini: per quanto possa apparirle strano, milioni di italiani non hanno mai visto un avviso di garanzia e vivono benissimo senza. Sono gli indagati che, quando il pm deve compiere atti (interrogatori, perquisizioni, sequestri) alla presenza del loro difensore, “avvisano” l’indagato perché ne nomini uno. E, per essere indagati, occorre essere sospettati di aver commesso un reato: altrimenti niente atto dovuto. Ora, è comprensibile che la giovane Boschi auguri lunga vita al suo governo: ma per quanto lunga sia la durata del Renzi I, sarà sempre inferiore a quella di un processo. Dunque non sarà questo governo a valutare l’esito dei processi ai suoi membri. (…). Elementare! E di seguito: Nessuno vuole abolire la presunzione di non colpevolezza fino a condanna definitiva. Ma qui non si tratta di stabilire se Lupi, Barracciu, Bubbico, De Filippo e Del Basso de Caro siano colpevoli o innocenti: solo se sia opportuno che amministrino il Paese. Nessuno vuol buttarli in galera: ma fuori dal governo sì. Così come in tutte le democrazie, dove basta un sospetto (neppure un’indagine) perché l’interessato si dimetta da qualunque carica pubblica. Salvo rientrare in politica una volta assolti. Lunedì Formigoni sghignazzava in tv (…) che in Italia gli inquisiti non devono dimettersi perché poi alcuni vengono assolti. Come se all’estero tutti gli indagati venissero regolarmente condannati, per legge. (…). …in Italia c’è un libello chiamato Costituzione che all’art. 54 prescrive a chi svolge pubbliche funzioni di esercitarle “con disciplina e onore”. Che onore può vantare chi deve rispondere di un reato?  (…). E qui si viene al nuovo che non c’è. Domanda Marco Travaglio: Ma era politicamente opportuno infilare nel governo 5 indagati? Con quali criteri vengono selezionati i ministri e i loro vice? E da quali elenchi vengono scelti: dai registri degl’indagati delle procure? Davvero Renzi e i partiti che l’appoggiano (soprattutto il suo, con 4 indagati su 5) non conoscono 62 incensurati tutti insieme? Ma che razza di gente frequentano? E soprattutto: dove sarebbe la novità di Renzi rispetto agli altri? Ecco, è che ci abbiamo pure una Costituzione. Per farne cosa? È che questo nuovo che non è nuovo comincia a stupire. Ma non già per il nuovo che non porta con sé, quanto per la decrepitezza degli atteggiamenti che come fuoco sotto la cenere cova nelle menti e negli animi dei “vecchi nuovi” che non sono affatto i “nuovi vecchi”. Sono i “vecchi vecchi” di sempre. Camuffati da giovani. Ha scritto Francesco Merlo sul quotidiano la Repubblica di ieri giovedì 6 di marzo – “Se i bimbi cantano il culto di Matteo” -:  (…). …a Siracusa ho visto di peggio. Un retroscena rivela infatti che nell’esibizione di quella scuola di borgata, vicina alla chiesa di Lucia, santa e sempre più cieca, non c’è stato solo l’accanimento politico — e ridicolo — del sindaco Giancarlo Garozzo. (…). …io, che da quelle parti sono nato, ci ho visto soprattutto la tristezza infinita di un Meridione che è ancora e sempre lo scenario naturale dello zio d’America, e mi sono ricordato che Silvio Berlusconi a Lampedusa fu accolto come un messia, come un conquistador. Perché sempre così è salutato l’uomo potente che viene da fuori, l’uomo del cargo che può essere un capopartito, un cantante, un calciatore, un presidente del consiglio o non importa chi, purché venga appunto da fuori. Renzi si rilegga, per risarcire l’Italia, Carlo Levi che racconta di quel tal Vincent Impellitteri che — cito a memoria — tornato dall’America, entra in paese (era la provincia di Palermo e non di Siracusa) su una lussuosa macchina scoperta, ed è accolto dalla gente in festa che lo tratta come uno sciamano: «‘Tuccamu a machina, così ce ne andiamo in America’ gridavano i ragazzi del luogo». Ebbene, Impellitteri non solo non li abbraccia e non dà loro il cinque, ma si addolora e si rattrista al punto che si mette a piangere. Ecco, ci sarà da piangere ancora!

Nessun commento:

Posta un commento