"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 2 gennaio 2014

Storiedallitalia. 35 Severi moniti.



“Anch’io ho commesso un errore” avrebbe detto l’indimenticato Cesare Polacco in uno dei tanti spot del “Carosello” d’un tempo. In un’Italia forse un tantino più ingenua ma mai e poi mai innocente del tutto. Rubo a quel mitico “ispettore Rock” la battuta. È che lui avrebbe poi aggiunto: “Non ho mai usato la brillantina Linetti”, mostrando, con una lieve flessione del capo, il suo cranio glabro, nel senso che più liscio e levigato non si può. Il mio errore è stato di ben altra natura, però. È stato compiuto, l’errore intendo dire, nel post del 13 di dicembre che ha per titolo “Quelli che non se ne può più”, della serie “Storiedallitalia”. È che avevo chiuso quel post con un “Presto che arriva il natale!” all’indirizzo del movimento pseudo-rivoluzionario dei cosiddetti “forconi” che di lì a poco si sarebbe spento in vista della rinnovata santa natalità. Mi sbagliavo. E di grosso. È che ho sperato sino in fondo che il carattere proprio degli abitatori del bel paese, di non avere memoria alcuna, non mi costringesse ad ammettere pur anco io di avere “commesso un errore”. È che, trapassato senza rimpianti il vecchio anno ed accolto con ingiustificati entusiasmi il novello virgulto, mi è giunta la eco di una cronaca a firma del noto Michele Serra – “Arrivano i Cobas dei tatuatori” – pubblicata sull’ultimo numero del settimanale l’Espresso. La cronaca che ne fa l’illustre opinionista mi ha colto di sorpresa avendo considerato, erroneamente, quel moto pseudo-rivoluzionario come estinto, o meglio, ancora alle prese con i festeggiamenti inneggianti al “sole invitto” che torna prepotente a risplendere nel cielo terso dopo l’ansioso superamento del recente “solstizio d’inverno”. Donde “anch’io ho commesso un errore”. I fatti narrati nella cronaca sembrano come provenire da enormi distanze astrali. Scrive il nostro: Giorgio Napolitano, con un gesto irrituale, riceve al Quirinale una delegazione del movimento dei Forconi, formata da un camionista con sei figli rimasto senza lavoro e dal padroncino che lo ha appena licenziato. I due, nel corso dell’animata discussione nel Salottino Beige,  vengono alle mani e si rotolano avvinghiati sul pavimento, tra insulti atroci e urla di dolore. In attesa che i corazzieri riescano a separarli, Napolitano rivolge alla delegazione «il più sentito ma anche vigile sollecito affinché le ragioni del dialogo prevalgano, mettendo da parte le inaccettabili inimicizie che tanto danno arrecano al corretto dipanarsi della dialettica tra le parti sociali». E sì che l’inclinazione del buon, arzillo vegliardo dall’alto dell’irto colle ad ammannire moniti ad ogni pie’ sospinto penso non sorprenda più nessuno nell’intera galassia e pur oltre, ma da che mondo è mondo ci vuole sempre un po’ di misura. Niente. E così vengo ad apprendere da quella cronaca quasi marziana che Un ramo oltranzista dei Forconi genera le Roncole, che in una manifestazione di protesta disboscano Villa Borghese e con la legna ricavata formano una gigantesca pira attorno alle mura del Quirinale appiccando il fuoco. In un comunicato ufficiale, ancora leggibile nonostante sia parzialmente annerito dalle fiamme, Napolitano «con pacatezza ma anche con fermezza invita le parti sociali a non cedere a facili scorciatoie e a perseguire con determinazione quella ricerca del dialogo che, unita alla necessaria analisi delle concrete possibilità di intervento economico e legislativo da parte del governo e delle sue diverse componenti, è in grado di individuare quelle soluzioni che possono avviare un processo di distensione». Avevo a bella posta rinunziato all’ultimo messaggio di capodanno del vegliardo dell’irto colle. È che, nell’occasione ultima, mi era tornato alla mente l’alto monito suo al momento del trapasso del precedente vegliardo anno – il 2012, in attesa del pargolo “tredicino” -, monito che, con inusitata veemenza e convinzione, rivelava al popolo trepidante l’esistenza di “una crisi sociale” insospettata e della quale sino ad allora sembrava non fosse giunta notizia sull’irto colle. Donde, nell’ultima occasione, dicevo, mi è sembrato sensato, per la mia personale salute mentale, sfuggire al monito al momento del trapasso del 2013. E così, sempre dalla cronaca che ne ha fatto Michele Serra della permanente esistenza di quel movimento pseudo-rivoluzionario detto dei “forconi” apprendo: Il movimento compie il suo definitivo salto di qualità. Tra le sue componenti prendono il sopravvento i costumisti, i coristi e le comparse degli enti lirici (circa 300 mila, tutti in attesa del rinnovo del contratto) che saccheggiano i magazzini dei loro teatri e allestiscono un’imponente armata in costume. Una moltitudine impressionante di armigeri egizi (Aida), guardie pontificie (Tosca), sentinelle cinesi (Turandot), banditi messicani (Fanciulla del West) e lombardi alla prima crociata marciano su Roma e stringono d’assedio il Quirinale. Incurante del nugolo di frecce che tempesta i suoi appartamenti e dei tremendi colpi d’ariete che scuotono le mura, il Capo dello Stato si affaccia alla finestra e rivolge agli assedianti «un severo monito affinché la legislatura possa seguire il suo percorso naturale, senza quelle deplorevoli forzature che impedirebbero ai diversi attori politici e alle parti sociali di stabilire i provvedimenti necessari e le tempistiche opportune, per affrontare con la dovuta serenità le difficili prove che attendono la nostra comunità nazionale». Stremati dal discorso, i manifestanti tolgono l‘assedio e fanno ritorno alle loro case. È la fine del movimento. E “stremato” e basito resto anch’io che pur ho disertato d’ascoltare il messaggio di fine anno tenendo molto alla mia incolumità mentale. Mi domando: quando ritorneranno “quelli che non se ne può più”? Buon Anno ancora.

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