"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 29 gennaio 2014

Cosecosì. 67 “La lotta di classe asimmetrica”.



Cosa è andato scrivendo mai Alessandro Robecchi su “il Fatto Quotidiano” di oggi col titolo “Correre dietro ai polacchi non ci rende meno italiani”? Anche a costo – e corro coscientemente il rischio - d’essere accusato della pratica alquanto odiosa del “citarsi addosso” – formuletta inventata da quel grande spiritosone che è Woody Allen – e di essere additato del narcisismo più sfrenato, anche a costo di tutto ciò ho il dovere di segnalarvi il mio post del 20 di dicembre dell’anno appena trapassato che ha per titolo “Nell’epoca della nuova povertà”. E cosa ho scritto in quel post che pochi, pochissimi, sparuti avventurieri della rete avranno letto? Scrivevo, per l’appunto, che… Oggigiorno nuovi scenari ha aperto la globalizzazione, ché solamente la cecità della politica non ha consentito di vedere al tempo dovuto. Essa, la globalizzazione, ha agito ed agisce così come aveva intuito quel grande che è stato il Liebig. Poiché le cose intuite dall’illustre scienziato per i fenomeni della Natura valgono per l’appunto anche nelle vicende degli umani. Come non vedere al giusto tempo che la globalizzazione avrebbe introdotto nelle società dell’Occidente quel “fattore limitante” per il quale, come in un mastello la doga più corta determina il livello al quale il liquido può in esso essere raccolto, così il “fattore limitante” – conseguenza di una sfrenata, incontrollata globalizzazione - dei bassi o bassissimi salari dei paesi poveri divenuti emergenti, l’assenza di ogni forma di tutela sociale e del lavoro, avrebbe, quel “fattore limitante”, investito e colpito anche le cosiddette società del capitalismo avanzato? Con la sua logica sfrenata, con il falso assunto che i mercati sarebbero stati capaci di autoregolamentarsi, la globalizzazione e la finanziarizzazione del capitalismo ha provveduto a spolpare le ricchezze e le risorse delle società occidentali per le quali si aprono scenari chiari di un ritorno ad un’epoca nuova di povertà. Ma se c’è stata una cecità della politica come non vedere di pari passo anche una cecità nel mondo della finanza e dell’economia? Avere impoverito grandi masse nel mondo dell’Occidente capitalistico, avere di fatto spinto all’indietro una spessa fetta di quello che è stato il “ceto medio” delle società avanzate ha di conseguenza tolto dalla scena quei nevrotici “consumatori” che oggigiorno si invocano inutilmente affinché riprendano a sostenere i consumi per consentire il riavvio della cosiddetta “ripresa”. Questo venivo scrivendo nel mio inutile scribacchiare. E questo prima del “blocco” dello scrivano. E così oggi mi sono trovato a leggere il bello scrivere di Alessandro Robecchi ed a ritrovare in esso quelle elementari intuizioni che forse maldestramente avevo messo nero su bianco, tanto per dir, come si diceva al tempo del calamaio, della penna e della carta. Ha scritto dunque Alesasndro Robecchi che… È vero che se corri dietro al tram risparmi un euro e mezzo, ma se corri dietro a un taxi riesci a risparmiare molto di più. Che questa scemenza sia applicabile all’economia, e quindi alla vita delle persone, non fa ridere per niente. Eppure è quello che ci sentiremmo di suggerire alla Electrolux, la multinazionale degli elettrodomestici che ha proposto ai suoi lavoratori un accordo che suona più o meno così: noi vi molliamo qui e andiamo a fare le nostre lavatrici in Polonia, a meno che voi non accettiate di prendere salari polacchi. In pratica si tratta di una riduzione di stipendio di quasi il cinquanta per cento: quello che prima facevi per 1.400 euro, domani potresti farlo per 700. Se no a casa. Prendere o lasciare che si direbbe, dall’economia, alla politica, alle riforme, pare la moda del momento. Vedete anche voi che la formuletta del tram e del taxi è una metafora perfetta: perché diavolo inseguire stipendi polacchi quando si potrebbero rincorrere addirittura quelli cinesi? E perché limitarsi agli stipendi cinesi quando si potrebbero pagare stipendi cambogiani? Il fatto è che c’è sempre qualcuno che è il polacco di qualcun altro (o il cinese, o il cambogiano…) e quindi non si finisce più: la corsa al ribasso è una specie di toboga insaponato dove si prende velocità e non si riesce a frenare. Ma certo, certo, non c’è dubbio che la faccenda non sia così semplice. (…). E in più, della proposta Electrolux non si calcola un piccolo dettaglio. Che i lavoratori prenderebbero stipendi polacchi, ma non abiterebbero in Polonia. Continuerebbero a pagare affitti o mutui italiani, a comprare cibo nel supermercati italiani e a far benzina in Italia, che Varsavia gli viene un po’ scomoda. Dunque, non per tirare in ballo il vecchio maestro Keynes (…), se ne deduce che oggi, con il suo stipendio, un lavoratore dell’Elecrolux potrebbe forse permettersi di comprare una lavatrice Electrolux, ma domani, con il suo stipendio polacco, non potrà più. Meno soldi in tasca a chi lavora, quindi meno consumi interni, quindi nuovi lavoratori in esubero, quindi nuove riduzioni di salario. È la famosa manina magica del mercato che sistema tutto, a favore del mercato, naturalmente. (…). Nel frattempo, sarebbe bello non diventare troppo polacchi, troppo cinesi o troppo cambogiani, continuando a fare la spesa qui. (…). E così pure il mio narcisistico “io” – che sembra sia essere, il “narcisismo” intendo dire, sempre secondo i maligni, una caratteristica propria di tutti quelli che trovano necessario lo scrivere - si è ancor di più gonfiato, sino a scoppiarne come fu per la rana di Fedro, alla lettura del magistrale pezzo di Gad Lerner sul quotidiano la Repubblica di oggi che ha per titolo “La lotta di classe asimmetrica”. È da tempo assai che vado parlando di “lotta di classe”. Per quei pochi, pochissimi, sparuti navigatori della rete incagliatisi su questo blog sarà parso essere questa mia una fissazione fuori dal tempo e dalla Storia. Solo che da un bel po’ di tempo vado parlando di una “lotta di classe all’incontrario”. Non più i meno abbienti ed i bisognosi ad essere protagonisti di essa, la “lotta di classe” intendo dire, ma essa è condotta “all’incontrario” ovvero dalle categorie sociali più ricche e fortunate. Gad Lerner da più erudito parla di “lotta di classe asimmetrica”. Ma per il resto non cambia nulla. Scrive Gad Lerner che… Nella lotta di classe asimmetrica (…) i lavoratori sono ridotti a variabile marginale. Stoccolma ha il potere di giocarsi gli operai polacchi contro gli operai italiani, e inoltre può mettere ogni stabilimento a rischio chiusura in competizione con l’altro; azionando così una corsa al ribasso no limits del costo della manodopera. Il sacro principio della libera concorrenza, dispiegato senza regole su un orizzonte mondiale, anela a svincolarsi dai contratti localmente stipulati con la parte più debole. In materia di retribuzioni prevalgono le tariffe di volta in volta indicate come riferimento là dove conviene; e pazienza se ciò comporta una vera e propria retrocessione di civiltà. Prendere o lasciare. Il governo, i sindacati e la politica sono chiamati solo a una presa d’atto subalterna. A disarmarli è la nuova centralità finanziaria del rapporto creditore/debitore che prosciuga le risorse pubbliche necessarie all’esercizio della mediazione nel più antico conflitto capitale/lavoro. È così che la lotta di classe diviene asimmetrica e il lavoro, reso precario, tende a precipitare sempre più spesso nella povertà (…). Le statistiche sulla ricchezza nazionale divulgate dalla Banca d’Italia ci confermano che stiamo vivendo una metamorfosi sociale, con l’acuirsi delle disuguaglianze e la diffusione della povertà. Ma ancora non fotografano a sufficienza il dato nuovo rappresentato dall’estendersi dell’area che i sociologi definiscono labouring poors: ovvero i titolari di un posto di lavoro fisso la cui busta paga però non li sottrae all’indigenza. Tale condizione verrebbe generalizzata da eventuali accordi consensuali di taglio dei salari. Essi giungerebbero a suggellare una gigantesca opera di espropriazione di ricchezza ai danni del lavoro dipendente già in atto da anni in tutto l’occidente. Ne sono talmente consapevoli il presidente Obama negli Usa e i partner della “grosse koalition” in Germania, da avere scelto di innalzare per legge il salario minimo orario nei loro paesi. Un parziale antidoto alla diffusione della povertà fra i lavoratori dipendenti. (…). Come è stato possibile dimenticare il “fattore limitante” del grande Liebig? Cecità della politica! Oggi il Leporello del “Don Giovanni” potrebbe ben cantare “Madamina! il catalogo è questo”

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