"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 5 gennaio 2014

Cosecosì. 66 Evasione e pioggia a catinelle.



Oggi “non mi cale” di scrivere. “Cale” che è voce del verbo “calere”. Ché, nelle sue forme più contorte, del verbo “calere” intendo dire, fece scrivere in una antica novella “Madonna, siccome poco v'è caluto di costui, che tanto mostravate d'amare, così vi carrebbe vie meno di me”. Magistrali coniugazioni del verbo “calere”. È che oggi “piove a catinelle”. Che è cosa ben diversa da quel “sole a catinelle” di quel guitto che è tanto di moda. E che ha fatto godere platee numerosissime. Beate loro, le platee intendo dire. Anzi “beote”, che non è per nulla un refuso del mio inesperto digitare, ma che intendo dire “beote” per l’appunto, che per il dizionario Sabatini Coletti “beota” sta per “1 Della Beozia, in Grecia 2 Da stupido; imbambolato: faccia b. • s.m. e f. 1 Nativo, abitante della Beozia 2 fig. Persona tarda d'ingegno, idiota SIN scemo: sorriso da b. • sec. XVII”. Risale per l’appunto al secolo diciassettesimo. È che il cielo sembra essersi appesantito nel grigiore di questa giornata di “pioggia a catinelle”. L’aria è ferma. Non un refolo di essa. Ed il cielo plumbeo sembra quasi volersi schiacciare, precipitare, sul mare immoto. È che oggi è il 5 di gennaio appena, ed avremo ancora ben 360 giorni da scorrere e da contare. Con tutto quel che ne segue. Ma il mio “non mi cale” è peraltro legato alla opprimente quotidianità che nelle sue cronache non concede uno spiraglio che sia di cambiamento. Si dirà, è “lo spirito del tempo” – nel senso storico e non atmosferico – quello che i germanici amano definire “zeitgeist”. Ma questo stramaledetto “spirito del tempo” è sì da lungo tempo oramai che ingombra ed affligge i giorni che ci sono dati da vivere. Poiché lo scrivere trova incoraggiamenti e spunti dalla vita che pulsa – quando pulsa – attorno. E se essa, la vita intendo dire, è come questa giornata grigia, immota, il cielo basso e pesante, il mare che sembra d’avere scordato i suoi moti naturali di flusso e di riflusso, eterni, e tutto sembra in uno stato d’attesa che fa pure paura, come in una sospensione che non ha nulla di naturale, ben pochi stimoli ne vengono affinché si possa vergare il foglio bianco – in verità si vergava in un tempo andato – per parlare della vita e dei suoi accidenti. Ed in una giornata di “pioggia a catinelle” nulla rimane se non l’amata lettura. Ché con essa, la lettura intendo dire, non hai da inventarti di storie, non hai da farti venire idee di quelle che gli altri – ma speri invano – possano trovare intelligenti e stimolanti. – Quant’è stato stimolante quel tuo post! – per scoprire che con quel post stramaledetto non eri riuscito a rendere palese quel che ti eri ficcato in mente di dire, di trasmettere l’ideuzza che tanto ti era piaciuta, e scopri invece che con quello stramaledetto post avevi fatto intendere tutto il contrario dell’ideuzza tua. Ma così va il mondo. E se oggi “non mi cale” di scrivere leggo, anzi ri-leggo il ritaglio dell’altro ieri da “il Fatto Quotidiano” – “Evasioni, storie di ladri: dall’idraulico ai politici” - di Bruno Tinti. Del quale, Bruno Tinti intendo dire, per non cadere in ulteriori equivoci, la redazione del quotidiano di cui sopra ha offerto questa breve nota biografica: “Bruno Tinti, l’autore dell’articolo, è stato magistrato dal 1967 al 2008. Tra il 1992 e il 2000 è stato presidente di tre commissioni ministeriali per l’elaborazione di una nuova legge penale tributaria per sostituire la 516/82; il Parlamento italiano approverà la nuova legge con modifiche tali da snaturarne completamente l’impianto, sì da renderla del tutto inefficiente”. E così, pur non avendo oggi voglia di scrivere alcunché, per via della cosiddetta giornata di “pioggia a catinelle”, qualche cosina sono riuscito a scriverla. Ma urge che io mi fermi, altrimenti il cosiddetto “blocco” di un inesperto scrivano andrebbe a farsi benedire. Non mi resta che consigliarvi la lettura del pezzo di Bruno Tinti che di seguito trascrivo in parte. Allora scrive Bruno tinti… A un certo punto ho capito che l’evasione fiscale era un crimine grave: 150 miliardi di euro in media all’anno non li rubano nemmeno tutte le rapine, i furti e le truffe messi insieme; quanto alle corruzioni, senza evasione fiscale non si potrebbero fare perché non ci sarebbero i tesoretti riservati. Però quasi nessuno dei pm miei colleghi aveva una gran voglia di occuparsene. Così ne radunai due o tre che erano interessati e cominciammo a studiare; e poi a lavorare. Eravamo a metà degli anni 80. Nel mondo dei ciechi… sapete come si dice. Finì che, a furia di scrivere articoli e libri sul fatto che la legge penale-tributaria era tutta sbagliata, mi nominarono presidente di una commissione tecnica incaricata di scriverne una nuova. Io non ero più tanto giovane nemmeno allora; ma stupido e ingenuo sì. Così ci credetti e cominciai a lavorare. Ci impiegammo sei o sette anni (i governi cadevano e risorgevano come funghi e ogni volta si doveva ricominciare da capo) ma, alla fine, venne alla luce una legge coi fiocchi. Era anche ovvio: in commissione eravamo magistrati, funzionari delle imposte, Gdf, avvocati, tutti del mestiere; se non lo sapevamo noi quello che si doveva fare per contrastare l’evasione… Come metodo di lavoro adottammo le storie di vita vissuta; ce ne erano a migliaia ma, stringi stringi, appartenevano tutte a tre categorie: il “nero”, le fatture false e l’abuso del diritto (o elusione fiscale). Poi gli avvocati insistettero per considerarne un’altra: la bugia pura e semplice. E da lì cominciarono i guai. (…). Io raccontai la storia dell’idraulico. Allora, c’è un idraulico che viene incaricato di rifare un bagno nella casa di un pensionato. Presenta un preventivo, lo discute con il suo cliente e alla fine si accordano: 3.000 euro. A lavoro fatto arriva il momento di pagare. “Con fattura o senza?”, dice l’idraulico. “Che differenza fa – dice il pensionato – abbiamo stabilito 3.000 euro”. “Sì, ma con fattura c’è l’Iva, 600 euro. Capisci, debbo annotare la fattura in contabilità e a questo punto l’Iva va versata”. “Ma così io debbo pagare 3.600 euro!”. “Eh, che ci posso fare. Certo, se mi dai contanti, io non ti faccio la fattura, non devo versare l’Iva, 3.000 euro avevamo detto e 3.000 sono”. Non gli dice che non pagherà nemmeno l’Irpef, hai visto mai che il pensionato gli chieda uno sconto. “Niente fattura – dice il pensionato – Passa domani per i primi mille euro in contanti”. Rapido calcolo sull’ammontare globale dell’evasione: 600 euro di Iva e 900 di Irpef (ipotizzando un’aliquota del 30%). L’idraulico ha fregato allo Stato 1.500 euro. Come lui, milioni di artigiani, commercianti, professionisti, piccoli e medi imprenditori, ogni giorno evadono con lo stesso elementare sistema; alla fine dell’anno questo popolo dell’Iva sottrae allo Stato (secondo Corte dei Conti, Eurispes, Agenzia delle Entrate) dai 100 ai 120 miliardi di euro. In effetti è un fenomeno preoccupante. (…). Insomma, non basta creare una contabilità falsa omettendo fatture, ricevute, parcelle e dunque omettendo l’annotazione di quanto percepito: occorre qualcosa in più. Cosa, non si sa. Che resta da fare al professionista che, dopo il quinto cliente, comincia a farsi pagare in contanti e non emette fattura? Mah. Da allora gli idraulici evadono in pace. E anche il resto del popolo dell’Iva. Se li beccano, solo “dichiarazione infedele” è. Niente custodia cautelare, niente intercettazioni, pena piccolina (la tariffa è 5 mesi e 10 giorni con la condizionale). Pensate che un ladruncolo che si frega un navigatore da una macchina si prende come minimo un anno. Naturalmente ci restammo tutti un po’ male (ma non gli avvocati). Quello che mi dette da pensare per molti mesi fu che questo bel regalo agli evasori non lo avevano fatto Berlusconi&Co. Il decreto legislativo 74/2000 venne emanato da un governo presieduto da Massimo D’Alema, con ministro delle Finanze Vincenzo Visco e ministro della Giustizia Oliviero Diliberto. Da allora cominciai a essere meno stupido.

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