"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 21 gennaio 2014

Capitalismoedemocrazia. 44 “Nel mondo ci sono 85 uomini d’oro”.



Il cosiddetto “blocco” dello scrivano non si allenta. È come essere stretti in una morsa che impedisca la formulazione di pensieri compiuti. E senza pensieri compiuti resta ben poco da scrivere. Mi sorprendo d’essere sempre di più incline ai discorsi convenzionali, banali, tipo del “che tempo che fa”. È la menomazione propria dovuta al cosiddetto “blocco”. Dello scrivano per l’appunto. È per sfuggire alla menomazione propria del cosiddetto “blocco” che mi premuro di scrivere della diseguaglianza. Ancora della diseguaglianza, direte! Ebbene, è un tema che anche nel recente passato mi ha portato a scribacchiare per lungo e per largo. Ma è un tentativo, questo, per sfuggire alla menomazione del “blocco”. Anche perché, della diseguaglianza tra gli esseri umani come corruttrice e distruttrice della democrazia, ne sono stato sempre convinto. Ho sempre sostenuto che la “crisi” dovrà in qualche modo farci uscire “diversi” dal lungo ed oscuro tunnel nel quale ci ha sprofondati. “Diversi” ed anche un tantino più eguali, nel senso che vengano ad essere restituite le possibilità di ascesa che sono state sottratte a larghissime fasce sociali. La “nuova povertà”, che imprigiona masse sempre più numerose, è la conseguenza diretta della diseguaglianza imposta da quello che è il capitalismo finanziario dominante e disumanizzante. Non mi riesce di attribuire – a causa  di uno sciopero delle firme indetto dal Cdr – a quale giornalista del quotidiano la Repubblica spetti la paternità del dossier che ha per titolo “Nel mondo ci sono 85 uomini d’oro in tasca la ricchezza di metà popolazione”. In esso sta scritto: «Le pari opportunità stanno diventando un miraggio a livello globale», afferma l’Oxfam (che è un’agenzia internazionale per lo sviluppo, l’emergenza e le campagne di opinione contro l’ingiustizia della povertà nel mondo n.d.r.), accusando le élite economiche mondiali di agire sulle classi dirigenti politiche per truccare le regole del gioco economico, erodendo il funzionamento delle istituzioni democratiche. È a tutto ciò che bisogna reagire; ché anche per le diseguaglianze planetarie il discorso non diventi del tipo del “che tempo che fa”. Poiché il rischio grosso è l’assuefazione. È che a questo punto mi va di proporre un pensiero compiuto che ho letto in quello stupendo libro che è “Bartleby, lo scrivano”  di Herman Melville: È così vero, e così terribile, che, sino a un certo punto, il pensiero e lo spettacolo della miseria suscitano le nostre più nobili emozioni, ma in certi casi, oltre un certo punto, non più. Errano coloro che asseriscono che, invariabilmente, questo mutamento è dovuto all’inerente egoismo del cuore umano. Deriva piuttosto da un certo senso di impotenza di fronte a un male eccessivo e radicale. Per un essere sensibile la pietà non di rado è sofferenza. Quando si scopre infine che questa pietà non può risolversi in aiuto efficace, il buon senso impone all’anima di liberarsene. Continua l’anonimo giornalista del quotidiano la Repubblica di oggi, riportando una riflessione di Winnie Byanyima che è la direttrice di Oxfam International: «Viviamo in un mondo in cui chi detiene il potere economico ha ampie opportunità di influenzare i processi politici, rinforzando così un sistema nel quale la ricchezza e il potere sono sempre più concentrati nelle mani di pochi, mentre il resto dei cittadini del mondo si spartisce le briciole», (…). «Un sistema che si perpetua, perché gli individui più ricchi hanno accesso a migliori opportunità educative, sanitarie e lavorative, regole fiscali più vantaggiose, e possono influenzare le decisioni politiche in modo che questi vantaggi siano trasmessi ai loro figli. Se non combattiamo la disuguaglianza, non solo non potremo sperare di vincere la lotta contro la povertà estrema, ma neanche di costruire società basate sul concetto di pari opportunità, in favore di un mondo dove vige la regola dell’asso pigliatutto». (…). Una denuncia spaventosa che non mi era ancora capitato di leggere con tanta chiarezza e che avvalora la mia convinzione che la “crisi” non sarà mai superata se non saranno rimosse le storture introdotte da un capitalismo senza sensibilità e “doveri sociali”. A questo punto ritengo necessario che leggiate il resto del dossier dell’anonimo giornalista: Immaginate una bilancia: su un piatto ci sono ottantacinque persone, sull’altro ce ne sono tre miliardi e mezzo, ma l’ago è in perfetto equilibrio. È la metafora con cui l’Oxfam, una della più importanti associazioni di beneficenza internazionali, misura il gap ricchi-poveri sul nostro pianeta: 85 miliardari possiedono 1.200 miliardi di euro, l’equivalente di quanto detenuto da metà della popolazione terrestre. (…). Non è la prima volta che circolano cifre simili: la ragione fondatrice del cosiddetto movimento 99 per cento, quello di “Occupy Wall Street”, era appunto l’idea che l’1 per cento della popolazione mondiale fosse più ricco di tutti gli altri. “Plutocrats”, un libro- inchiesta della giornalista Cinthya Freeland uscito lo scorso anno, andava oltre, sostenendo che il vero oltraggio non è la ricchezza dell’1 per cento contro il 99 per cento, bensì quella dello 0,1 per cento, la crema della crema, il club dei miliardari. Proprio su questi si concentra lo studio di Oxfam: gente come il messicano Carlos Slim, il fondatore della Microsoft Bill Gates, Larry Page di Google e Warren Buffett. O come Michele Ferrero, Leonardo Del Vecchio e Miuccia Prada, i tre italiani presenti tra gli 85. In Africa, nota il rapporto, le grandi multinazionali sfruttano la propria influenza per ridurre la pressione fiscale, riducendo le risorse che i governi locali potrebbero usare per combattere la povertà. Lo stesso viene fatto dai giganti della rivoluzione digitale, che sfruttano scappatoie e sotterfugi per pagare zero o quasi tasse sui loro immensi profitti. In 29 su 30 paesi sviluppati o in via di sviluppo esaminati dall’indagine la tassazione per i ricchi non fa che diminuire. E l’1 per cento dei più ricchi delle terra detiene complessivamente un patrimonio di 180 trilioni di dollari. (…).

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