"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 7 dicembre 2013

Cronachebarbare. 29 “Il Paese dei ricchi, quello dei poveri”.



Afferma l’ineffabile Letta che “i conti” dell’Italia sono a posto. E con ineffabile sicumera si perita di bacchettare l’Europa intera. A posto come? In che senso? Per merito di chi? E con quali sacrifici imposti? Su tutto ciò l’ineffabile non porge parola. Ne ha scritto Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” del 3 di dicembre ultimo col titolo “Larghi brodini”: L’altro giorno il Corriere anticipava il rapporto 2013 sulle attività della Guardia di finanza: oltre 5 mila tra funzionari e impiegati pubblici denunciati per corruzione e truffa (dai falsi poveri ai finti consulenti), che nei primi 10 mesi dell’anno han provocato danni erariali da 2 miliardi e 22 milioni di euro, più truffe per 1 miliardo e 358 milioni. Cioè hanno rubato quasi 3,5 miliardi alla collettività: 350 milioni al mese. E questi sono soltanto quelli scoperti: immaginiamo a quanto ammonta il totale. Qualche mese fa, il ministero dell’Economia comunicò che i mancati incassi di evasione fiscale accertata dal 2000 al 2012, ma mai recuperata da Equitalia, ammonta a 545,5 miliardi di euro, su un totale di “ruoli” da riscuotere già emessi per 807,7 miliardi. Una parte dell’enorme buco (107,2 miliardi) è irrecuperabile perché riguarda soggetti in fallimento. Ma questo non basta per giustificare la bassissima capacità di riscossione di Equitalia, che non arriva al 5 per cento. Viene da chiedersi: quale è il costo sociale di tutto quest’arraffare a tutti i livelli? È qui che l’ineffabile dovrebbe, com’è di moda dire, “metterci la faccia”. Ma come un rodomonte qualsiasi trova più giusto asserire il non asseribile in barba a quegli stessi numeri che all’ineffabile saranno ben noti. È questo il livello della politica nel bel paese. Una politica da bar. Scrive ancora e giustamente Marco Travaglio: In un paese serio (ipotetica del terzo tipo: un paese serio non avrebbe queste cifre di mancati introiti) si parlerebbe di questo, e solo di questo. E un governo e un Parlamento e dei partiti seri eviterebbero di perdere tempo appresso a corbellerie come la riforma costituzionale o l’ennesima legge contro la custodia cautelare e contro i giudici; ma concentrerebbero tutto il tempo e tutti gli sforzi disponibili a trovare il sistema per mettere le mani in questo immenso serbatoio di nero. Che non è numerologia astratta: sono somme accertate, con i nomi e i cognomi dei corrotti, dei truffatori e degli evasori. Basterebbe recuperarne il 5 o il 10 per cento in più, aumentando l’efficienza della macchina dello Stato, per avere a disposizione decine di miliardi per la mitica “ripresa”. Invece si continua a cincischiare dietro i falsi problemi e le false soluzioni. E a bollare chi chiede una seria lotta alla corruzione, all’evasione e al riciclaggio come giustizialista manettaro. Poi uno guarda chi sono i ministri e i politici che dovrebbero occuparsene, e capisce tutto. Viene da chiedersi, nonostante l’ineffabile: ma chi è a tenere i “conti” in ordine? I soliti “fessi”. I tartassati di sempre. Ha scritto a questo proposito sul quotidiano l'Unità del 27 di novembre l’economista Nicola Cacace – “Il Paese dei ricchi, quello dei poveri” -: L’Italia oggi soffre da morire per la crisi perché è divisa in due, quella dei poveri e quella dei ricchi ed i governi lo ignorano. (…). Con poco meno di 9mila miliardi di euro, quasi il 6% del Pil, la ricchezza privata italiana batte un record relativo mondiale. Anche questi dati mostrano un’Italia profondamente divisa, un blocco fortunato formato dal 10% delle famiglie che possiede il 46% di tutta la ricchezza, quasi 2 milioni di euro a famiglia, un blocco mediano, che la crisi sta erodendo, formato dal 40% delle famiglie, che possiede il 10% della ricchezza, 500mila euro a famiglia ed il blocco dei poveri, vecchie e nuovi, formato dall’ultimo 50% delle famiglie, di poveri vecchi e nuovi che possiedono come patrimonio netto meno del 10% (9,8%, dati Bankitalia), 60mila euro a famiglia, di cui 30mila in immobili (molto meno di una casa in proprietà per famiglia) e 30mila in risparmi liquidi. In queste famiglie, se sparisce il reddito, si vive poco più un anno con i risparmi della vita, poi, chi ce l’ha, vende la casa, poi è la fine. L’aumento della povertà dopo anni di crisi ha messo a terra almeno mezza Italia ed i governanti non possono continuare a non tenerne conto. Perché, di fronte ad un Paese diviso in due, l’Italia dei ricchi e quella dei poveri, di fronte ad un debito pubblico crescente che ha superato i 2mila miliardi ed il 30% del Pil, di fronte alla realtà di una norma, il Fiscal Compact che ci imporrà presto di ridurre il debito in modi convincenti - di almeno una ventina di miliardi l’anno come da Bruxelles il commissario Olli Rehn ci ricorda in ogni occasione -, di fronte ad una ricchezza privata non trascurabile, perché nessun governo azzarda qualche proposta in tal senso? (…). Perché, per iniziare a salvare il Paese, non si può chiedere un contributo a quel 10% di famiglie che posseggono 4mila miliardi di patrimonio netto? Monti aveva obiettato che non ci sono dati certi ma non è più vero, c’è il catasto per gli immobili e c’è la banca dati in mano alla Finanza per i beni mobili. Un contributo straordinario dello 0,5% del patrimonio del 10% delle famiglie più ricche, da 2 milioni in su, darebbe 20 miliardi di entrate e costerebbe una media di 8mila euro a ciascuna delle 2,4 milioni di famiglie più brave e fortunate d’Italia. Nessuno fallirebbe, la speranza di uscire dal buco nero della crisi sarebbe più concreta, i valori di solidarietà del popolo italiano sarebbero esaltati, alla luce dell’esempio di civismo che le classi dirigenti darebbero. Possibile che le cose che ha scritto Nicola Cacace siano anch’esse ignote all’ineffabile? È che l’ineffabile, di suo, non ci mette nemmeno la faccia. Ma quelli per i quali i conti non tornano sono sempre gli stessi che mal dovrebbero sopportare le querule comunicazioni dell’ineffabile di turno.

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