"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 30 dicembre 2013

Cosecosì. 64 “La letterina”.



La bambina (…) (a)ttende il suo turno in fila con la letterina in mano. La mamma la guarda orgogliosa. Ha certamente lasciato il Suv nel più vicino posteggio riservato ai disabili. Al cospetto del ciccione in rosso, gli altri bambini si emozionano. Lei, no. Lo scruta dal basso con due occhi di brace: "Tutto 'sto tempo in coda al freddo per 'sta lettera del cavolo!". Babbo la fissa senza capire. La piccola attacca: "Con tutti i soldi che fai, perché non ti sei comprato un telefonino?". "Perché, scusa?". "Perché ti mandavo un sms. È da scemi aspettare qui al freddo". "Va be', ma almeno ci siamo conosciuti". "Ma tu sei vecchio e se ti ammali poi schiatti e non mi porti più niente". Bambini e genitori in fila scoppiano a ridere, la mamma del mostro batte la mani. Babbo Natale arrossisce e china la testa. Anch'io chiudo gli occhi. Vorrei tanto che quest'anno la notte della vigilia quell'uomo si togliesse il suo ridicolo costume per infilarsi una tuta da fatica gialla. Vorrei che lasciasse in Lapponia la slitta insensata e le sue stupide renne a brucare i loro licheni immangiabili, per volare nel cielo su un grande camion giallo dei traslochi con la scritta Gondrand sulla fiancata. Vorrei che entrasse in casa della bambina (…) e della sua mamma cattiva mentre dormono e caricasse sul camion tutto ciò che possiedono. La mattina dopo si sveglierebbero in stanze svuotate, spogliate di arredi, giochi, gioielli. E con raccapriccio mi sorprendo a invidiarle. (…). Così scriveva Giacomo Papi sul settimanale “D” del quotidiano la Repubblica del 21 di dicembre dell’anno 2011. Titolo di quel “pezzo”: “La letterina”. Ho atteso che il Natale passasse per proporla a chi non l’avesse a suo tempo letta. L’ho fatto per non essere colto in fallo ed essere indicato come un vecchio brontolone per il quale nulla più gira per il verso giusto. Alla fine non ho resistito ed ho ripreso quel ritaglio gelosamente custodito. Il Natale 2011 è trascorso già da un pezzo. L’ultimo, quello del 2013, è già caduto nel dimenticatoio. Come tutte le cose di questa società fondata sull’illusionismo. Poiché è facile ed a buon prezzo illudersi d’essere buoni e migliori a feste comandate. Ma quella “letterina” di Giacomo Papi contiene in verità qualcosa che sarebbe da considerare “straordinario” solo che potesse accadere: l’auspicio che quel “ciccione in rosso” portasse via dalle nostre vite tutta quella paccottiglia d’inutilità che siamo andati negli anni raccogliendo per il perverso gusto di avere e poi di avere e di possedere. È il motivo per il quale ho atteso che il Natale passasse per proporre la “letterina” di Giacomo Papi. Per non essere indicato come il “bastian contrario”, l’inutile brontolone di turno. Ché, seppur questo Natale sia stato in tono minore - se non deficitario - in quanto a regali e spese voluttuarie, grazie o per colpa della “crisi” secondo i punti di vista, questo Natale ha conservato gli schemi mentali e le consuetudini che si sono oramai radicate nelle un tempo opulenti società dell’Occidente. È che ad esso, al Natale, la più grande fetta della società non è capace di dare una impronta diversa che sia per la qual cosa, seppur deprivato dello sfarzo dei consumi all’ingrosso delle annate precedenti, permane una ricorrenza che per i più ha un significato “scipito” e senza spiritualità. È che, in fondo, riesce difficile oggigiorno dare un senso ad una ricorrenza che proviene dalla notte dei tempi. E che difficilmente riesce a gettare una “luce” che sia veramente viva agli uomini del secondo millennio. Ha scritto Marco Vannini sul quotidiano la Repubblica del 24 di dicembre col titolo “Natale mistico”: Si capisce (…) come la chiesa cerchi di (…) ravvivare quella fede che una volta si riteneva fondata su reali eventi storici, ovvero sulla “storia della salvezza” che da Adamo procede verso Cristo. Oggi, (…), dal momento che quella storia appare per ciò che è, una mera costruzione mitico-teologica, la fede si è ridotta a una combinazione di sentimento più fantasia: una cosa da bambini, dunque. Non a caso ai nostri giorni il Natale è festa non solo per un Bambino, ma soprattutto per bambini. La fede è (…) una credenza, che si difende con una sorta di infantile testardaggine, ignorando la realtà, tanto storica quanto psicologica. Se invece la fede è volontà di verità, essa guarda in faccia la realtà , scoprendo che quella credenza è desiderio di consolazione e rassicurazione, frutto del desiderio di permanenza di un ego che si sente debole e incerto e che perciò cerca “salvezza” nel rimando ad altro fuori di sé, restando così sempre nell'attesa, nell'anelito. La fede allora non produce affatto credenze ma, al contrario, le toglie via tutte, smascherando come menzogna anche l'immaginazione teologica. La fede - scrive san Giovanni della Croce - “non solo non produce nozione e scienza, ma anzi accieca e priva l'anima di qualunque altra notizia e conoscenza: la fede è notte oscura per l'anima e, quanto più la ottenebra, tanto maggiore è la luce che le comunica”. Fede come notte, dunque, ma una notte che mentre libera da ogni presunto sapere di verità esteriori, fa risplendere una luce interiore, sapere non di altro ma di se stessa, sapere che è un essere: questa, possiamo dire, è la vera stille nacht, heilige nacht, notte silenziosa, notte santa. (…). Una “coscienza” della fede che non c’è. Ché solo una fede che sappia far “risplendere una luce interiore” porterebbe a considerare la condizione propria non come uno stato di “grazia” precluso a chi la fede non possiede ma come un irrisolto bisogno “di consolazione e rassicurazione” al pari della famosa coperta di Linus. E solamente così potrebbe conciliarsi con una “fede” rinnovata un Natale che non avesse ad improprio, blasfemo supporto i “consumi” che, con somma disperazione dei più, stentano a riavviarsi. Ha chiuso Giacomo Papi la Sua “letterina” dell’oramai lontanissimo Natale dell’anno 2011: Rispose a un giornalista, la notte del 24 dicembre 1989, il vecchio poeta Junichiro Kawasaki: "Sono animista. Non mi serve il Natale". Già, un Natale così non serve poi mica tanto!

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