"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 28 novembre 2013

Capitalismoedemocrazia. 42 “Capitalismo finanziario globale e democrazia: la stretta finale”.



Scrive Alfonso Gianni in “Capitalismo finanziario globale e democrazia: la stretta finale” – pubblicato sul  numero 29 della rivista “Alternative per il Socialismo” -: La incompatibilità dell’attuale capitalismo con la democrazia è (…) conclamata e spudoratamente dichiarata. Da qui non consegue affatto un’assenza di politica, o il semplice primato dell’economia e della tecnica sulla politica, come da qualche parte viene sostenuto, ma al contrario una ben precisa politica fondata sì sul primato dell’economia, o meglio della finanza da un lato e dall’impresa dall’altro, ma nei confronti del lavoro. Il neoliberismo non avrebbe retto al crollo verticale di credibilità che si è manifestato in particolare in quel lasso di tempo che va dall’autunno del 2008 a larga parte del 2009, quando la crisi mondiale è esplosa in tutta la sua drammaticità evidente, se, in particolare in Europa, non avesse preso corpo una teoria e una pratica compiute dell’austerity, proiettata nei tempi lunghi – si pensi solo ai venti anni che servirebbero all’Italia per rientrare sotto il 60% del rapporto deficit/Pil secondo il Fiscal Compact – e connessa con controriforme strutturali, quali la liquidazione degli istituti del welfare state e la totale liberalizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro. Questo era necessario e vitale per il sistema capitalistico per contrastare la diminuzione del tasso di crescita e dei profitti e quindi aprire una nuova fase di accumulazione, che non poteva che derivare dalla cancellazione degli spazi economici pubblici – e con essi dei diritti al soddisfacimento gratuito dei bisogni dei cittadini – per aprirli all’intervento del capitale finanziario. (…).Fine della lunga, lunghissima citazione. Che ha il pregio di mettere a fuoco quegli aspetti della “crisi” che artatamente, scientemente  vengono sottaciuti se non nascosti alla pubblica opinione. Almeno la più avvertita. Ché il resto di quella pubblica opinione disdegna addentrarsi nei pensieri più complessi avendo pesantemente subito quella “scarnificazione” del pensiero che è stato il miracolo primo, il capolavoro, dell’attuale fase del capitalismo finanziario. Scrive infatti Alfonso Gianni che (…). …la vittoria più significativa della classe padronale, (…), sta nell’avere annichilito il suo avversario – (…) -, nell’avergli tolto la coscienza di sé, nell’avere rimesso in discussione la stessa natura di classe in sé, attraverso il fenomeno della precarizzazione, della cattura delle forme di partecipazione anche inconsapevoli al ciclo della formazione del valore, della tendenziale utilizzazione di ogni attività umana nella realizzazione del profitto, della totale mercificazione, come ad esempio l’intrattenimento che non ha più solo la funzione di legittimazione e di consenso del e al sistema, ma una direttamente economica e profittevole. E per rimanere sul terreno delle cose che avvengono nel bel paese l’Autore sostiene: Non è un caso che l’attacco al cuore della nostra Costituzione sia quello rivolto ai suoi Principi Fondamentali e alla Parte I, in particolare laddove si regolano i Rapporti Economici. Infatti la democrazia nella modernità esiste in quanto si riconosce non solo la distinzione ma la contrapposizione di diversi interessi e di almeno due soggetti – il capitale e il lavoro – e la necessità che la loro lotta non porti alla comune rovina della società civile. Se si nega in assunto questa dualità si erode il principio e la necessità della democrazia stessa. Per questa ragione la sua difesa non può prescindere dalla conoscenza e dalla critica a ciò che avviene nell’organizzazione materiale e produttiva. (…). Conoscenza e critica che non appartengono, più in misura diffusa, alla stragrande maggioranza della opinione pubblica che, seppur nuovamente e pesantemente proletarizzata, continua a comportarsi come quella categoria sociale individuata dall’uomo di Treviri e che egli definì “lumpenproletariat”, categoria e non più “classe” ridotta a vivere senza “la coscienza di sé”. Ho letto sul numero del settimanale “D” del 23 di novembre l’ultima corrispondenza di Federico Rampini che ha per titolo “La grande mela divisa tra ricchi e poveri”. Scrive  l’illustre opinionista: Proprio a fianco del prestigioso Stern Building, sempre sulla 109esima, ci sono le case popolari gestite dalla Hope Community, una ong non-profit che cerca di aiutare i più poveri. A pochi metri da chi abita in appartamenti del valore di molti milioni, ogni mercoledì, giovedì, venerdì e sabato la Common Pantry distribuisce frutta e verdura ai senzatetto e ai tanti "denutriti o malnutriti" di East Harlem. Creata nel 1980, la Common Pantry è arrivata a servire pasti gratuiti fino a 25mila persone. Le file alla Common Pantry (…), si stanno facendo di giorno in giorno più lunghe. Dal primo novembre, infatti, per una scelta dei repubblicani al Congresso, sono stati tagliati drasticamente i "food stamps" o buoni-pasto dell'assistenza pubblica federale. Molte famiglie che dipendevano da quei buoni-pasto per arrivare a fine mese, ora si accalcano alla distribuzione gratuita della Common Pantry. La domanda di alimenti alle code dei poveri è cresciuta del 20%. La scena della distribuzione di cibo, a pochi metri dai palazzi di lusso con piscine e fitness, è una sintesi di ciò che ha preparato la vittoria elettorale del nostro nuovo sindaco. (…). Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, New York sotto l'influenza di politici riformatori, volle costruire dei settlements, o insediamenti, che portassero a vivere gli studenti di buona famiglia e la nuova borghesia nelle vicinanze dei ghetti per immigrati. I settlements dovevano mescolare i ceti sociali, favorire la reciproca comprensione e integrazione. Oggi certe diseguaglianze estreme di New York ci riportano al primo Novecento, se non proprio ai tempi di Dickens. Uno dei programmi della Common Pantry oltre a sfamare i poveri di East Harlem vuole offrire igiene, alloggio, assistenza medica. Si chiama Project Dignity. È singolare che la dignità di una parte dei newyorchesi debba dipendere dalla carità di quell'altra città. La corrispondenza di Federico Rampini, come sempre ripulita dai “fronzoli” e pertanto diretta ed intellegibile per chiunque, come è avvenuto per altri momenti del Suo lavoro di acuto ed attento osservatore, apre su quegli scenari che, seppur anticipati in quella società multietnica, saranno a breve gli scenari che milioni e milioni di altri esseri umani vivranno direttamente sulla loro pelle.

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