"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 5 ottobre 2013

Lamemoriadeigiornipassati. 13 “L´Italia dei veleni”.



Il 5 di ottobre dell’anno 2011 Franco Cordero pubblicava sul quotidiano la Repubblica una riflessione col titolo “L´Italia dei veleni”. È fresca di ieri – 4 di ottobre 2013 - la deliberazione della giunta per le elezioni che ha chiesto al Senato della Repubblica la non validazione della elezione dell’egoarca di Arcore. Tutto sembra volgere ad un epilogo auspicato. Auspicato da chi? Da una buona fetta del popolo italiano che, refrattario alle manovre illusionistiche, ha saputo “resistere resistere e resistere” nel quasi ventennio di dominio dell’uomo di Arcore. Ci sarà l’epilogo auspicato? L’uomo è dei più imprevedibili. E, come un abilissimo prestidigitatore, non è detto che non tiri fuori il “coniglio” per l’occasione. Non ci sorprenderebbe. Ma prima che vi lasci alla lettura di Franco Cordero mi preme sottoporre alla vostra cortese attenzione quanto segue. Chiede l’intervistatore sul quotidiano la Repubblica di oggi - "Questa decisione non rafforza le larghe intese" di Alberto D'Argenio -: In attesa del voto dell'aula si possono riaprire le fibrillazioni sull'esecutivo Letta? - A fronte di questo atto politico violento, grave ed ignobile fa da contraltare la testimonianza umana e politica di Berlusconi che anche in questi giorni ha dimostrato grande sensibilità istituzionale garantendo il governo anche se con decisione travagliata. Però così si espellono milioni di elettori che hanno votato e si riconoscono in Berlusconi, fatto che inevitabilmente susciterà una reazione. Penso che proprio perché la persecuzione è evidente, ci sarà una naturale reazione da parte dell'elettorato che purtroppo per la sinistra non avrà l'effetto di archiviare Berlusconi. Anzi, ci darà la spinta ad andare avanti a combattere per la libertà, per salvare la democrazia e per ottenere la riforma della giustizia-. La domanda è rivolta a quel genio che da ministro della pubblica istruzione dichiarò d’avere il suo ministero finanziato il tunnel che avrebbe collegato la Svizzera con il Gran Sasso, in quel d’Abruzzo, onde consentire alle particelle subatomiche un confortevole, rapido viaggio. Ricordate? Quel genio si riconferma. Intanto negando il principio di realtà. E lamenta che quella giunta priverà di una rappresentanza politica “milioni di elettori che hanno votato e si riconoscono in Berlusconi”. La poveretta tace su di una incontrovertibile realtà giudiziaria per la quale l’uomo ha frodato milioni di cittadini italiani ai quali dovrebbe rendere il maltolto. Ma tutto ciò, per quel geniaccio, non esiste. Poiché il malaffare è stato consumato sulla pelle di tutti gli italiani e se quei “milioni di elettori che hanno votato e si riconoscono in Berlusconi” sono pronti a rinunciare alla restituzione – virtuale – del maltolto per l’amore che essi portano all’uomo di Arcore, come la si mette con il resto del popolo italiano? Ma quell’”atto politico violento, grave ed ignobile” non è stato compiuto da una assemblea prevista dalla Carta e costituzionalmente protetta? Cosa ne pensa di tutto ciò il supremo garante della Costituzione? Che dall’alto dell’irto colle non abbia avuto notizie di simili nefandezze? Ed ancor più, cosa ne pensa quell’inquilino della non tanto sottaciuta minaccia di quel genio – “fatto che inevitabilmente susciterà una reazione”- ? Non si configura un’istigazione a delinquere? Contro chi? Ha scritto Marco Vitale su “il Fatto Quotidiano” di oggi – “Il pessimo finale è solo all’inizio”-: Nel 1994 in una intervista che mi fece un eccellente giornalista di Brescia Oggi (Sbaraini) dissi che l’entrata esplicita in politica di Silvio Berlusconi, che avevo conosciuto con Montanelli al Giornale (dissi esplicita perché lui, coperto, è sempre stato in politica, sin da quando sovvenzionava la mafia) rappresentava un pericolo a lungo termine per la democrazia italiana. (…). Vittima di paure angoscianti, sconvolto da grandi incertezze, egoista sino allo spasimo, privo di ogni senso di responsabilità, privo di rispetto non solo per lo Stato, ma per chiunque, quest’uomo che ha fatto danni incalcolabili al nostro Paese, i cui effetti negativi, come ho sempre detto, dureranno almeno cento anni, è la negazione della leadership. È un capo banda non un leader. (…). Noi di Berlusconi, (…), possiamo dire: sono certo che siamo tutti peggiorati perché l’abbiamo conosciuto e che con il suo esempio ci ha fatto vedere la vita come una cosa meschina e vile. Ci si chiede: cosa c’è da esultare a seguito della rinnovata “fiducia” al governo delle “larghe intese”? Non è un esultare da sprovveduti? Poiché le cose di oggi le si conosceva da lunghissimo tempo. Ed il “caimano” è sempre lì, in agguato. Afferma quel genio come l’uomo di Arcore “in questi giorni ha dimostrato grande sensibilità istituzionale garantendo il governo”. Ho già scritto in un post precedente che saremo costretti a dirgli “grazie”. Dopo essere stati collettivamente derubati. Le fumisterie del politichese – “maggioranza numerica”, “maggioranza politica” – non ci salveranno dal baratro. La “mossa” dell’uomo di Arcore è stata fatta per non perdere l’aggancio per un possibile, insperato salvataggio; i rivoltosi si guardano bene, infatti, di dare un seguito alla nuova “maggioranza politica” che escluda l’imbarazzante – per chi ha resistito in tutti questi anni - “maggioranza numerica”. È tutto un recitare le parti di un prevedibilissimo copione. Come prevedibilissime sono le cose note e meno note che lo scritto di Franco Cordero squadernava il 5 di ottobre dell’anno 2011. Lo si legga.

La XVI legislatura è caso esemplare nel laboratorio politico. Aprile 2008: miserabilmente abortito l´ultimo governo centrosinistro (dove sedeva, inverosimile guardasigilli, un nomade berlusconoide), B. stravince; non s´erano mai viste maggioranze simili; cappello in mano, gli sconfitti rendono ossequio al trionfante. Dal loro campo volano ammissioni contrite: che incarni l´anima italiana; e schieri un ragguardevole establishment, particolarmente sul côté rosa. Donde un´autocritica: al diavolo l´antiberlusconismo, roba maniacale; «non porta da nessuna parte»; «tra vent´anni perderemmo ancora». Rivisitata, quest´analisi masochista suona sbalorditiva. L´asse gira storto nella famiglia politica se i perdenti dissertano così. I fatti erano più grossi d´una casa. L´uomo al potere, presunto reinventore del liberalismo (il veleno sta nell´aggettivo “moderno”), è un pirata in colletto bianco, voracissimo malaffarista, dedito al monopolio parassitario, egemone nel medium televisivo, col quale disintegra gli organi pensanti disseminando un immorale culto del successo aperto a chiunque, purché sia abbastanza furbo e svelto (i poveri diavoli lo godono in forme ipnotiche). Figura, discorsi, gesti, segnalano mente corta e asfissiante volgarità: le sue doti, molto cospicue nel codice malavitoso, appartengono al genere fraudolento, senza escludere atti brutali quando possa permetterseli; organicamente negato alla conduzione della Res publica, non sa da che parte cominci il mestiere; è un maniscalco in lavori d´orafo; e tale appariva nella XIV legislatura, governando talmente male da cadere. Cosa sia l´establishment, poi, lo dicono immagini e cronache, una corte dei miracoli uscita da infallibili selezioni in basso. L´aprile 2008, dunque, presenta un´Italia in pericolosa spirale involutiva: quel regime piratesco infirma le radici morali (vedi etica calvinista e spirito del capitalismo): sotto tale aspetto la fortuna berlusconiana è pessimo affare; regrediamo nello sviluppo economico ma sull´onda d´una congiuntura favorevole, finché duri, pochi se ne accorgono; e se ha mano libera, in cinque anni l´occupante riconfigura lo Stato quale monarchia caraibica, applaudito dai cantori della «moderna democrazia liberale». Quante volte l´ha detto, che trasciniamo strutture obsolete, nel cui labirinto non può decidere: potendo, governerebbe come guida le aziende, a colpi fulminei (sbracato conflitto d´interessi e pudibondo silenzio nel coro); cova riforme radicali; il modello è la Protezione civile, organo d´un management risoluto, tra «uomini del fare». Gli guasta i piani la crisi americana nata dai mutui subprime, poi planetaria. Dapprima nega l´evento, incolpando gufi del malaugurio, ma i fatti hanno logiche testarde, insensibili all´imbonimento: i pazienti percepiscono sulla pelle quanto male vadano le cose; milioni d´italiani impoveriti aprono gli occhi; l´incombente povertà dissipa i fumi della sbornia. Qui emergono irrimediabili difetti. L´incantatore pifferaio zufola refrains monotoni, via via meno credibili. Dove non abbia tornaconti, sta immobile confidando nelle stelle, furiosamente attivo invece sul fronte giudiziario: l´unico che gl´importi; aveva sfondi criminali l´irresistibile ascesa, dissimulati da mani esperte, ma qualcosa affiora; e in otto anni perverte l´arnese legislativo rabberciandosi espedienti d´immunità penale. Lavorio da stregone apprendista, perché norme costituzionali ostano a tali scempi, però iberna i processi, disfarsi dei quali diventa il clou dell´agenda governativa. Il tutto nell´occhio pubblico, acuito dal malessere: aggravano l´effetto nuove accuse; le cercava inscenando serate postribolari penalmente valutabili. (…).

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