"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 31 ottobre 2013

Cronachebarbare. 26 Povertà d’Italy.



All’articolo 3 della nostra magna Carta sta scritto: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Nella costituzione materiale del bel paese questo articolo non esiste più. E da un bel pezzo. Poiché quel suo perentorio “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” al tempo del liberismo più selvaggio ha partorito la “social card”, ovvero la negazione palese del dettato costituzionale. Una sostanziale vergogna. Poiché aver pensato alla “social card” ha voluto significare che quel “compito” affidato alla politica non ha da essere. Poiché aver pensato alla “social card” è stata l’ammissione finalmente confessata che la povertà è di questo mondo, è di questo paese che cancella così quell’imperativo “compito” che pur si era dato. È stato un abbassar la guardia, è stato uno stare con quell’1% che detiene tanto provvedendo ad elargire le briciole a tutto il resto del paese. Come si vive con la “social card”? Meglio che senza? Quanto è bastevole affinché si possa perseguire – secondo la Carta – “il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”? Perché non si danno le risposte giuste alle domande ineludibili? Istruiti quanto basta con la cosiddetta ultima “legge della stabilità” si è voluto stabilizzare la “povertà made in Italy”, come da costituzione materiale vigente. Come si vivrà con 14 euro in più al mese? E non per tutti. Ha scritto Carlo Verdelli sul quotidiano la Repubblica del 30 di ottobre, nel già citato  Suo scritto “L’ultimo miglio della povertà”: Povera Italia che improvvisamente si scopre povera. Ai 4,8 milioni di persone che secondo l’Istat non ce la fanno più (8 per cento della popolazione, il doppio rispetto a 5 anni fa), vanno aggiunti altri 9 milioni e mezzo che tirano a campare con meno di 506 euro al mese. Il totale fa spavento, 14 milioni e rotti. E lo spavento cresce con i 6 milioni di analfabeti e un tasso di abbandono scolastico tra i più alti dell’Unione europea. Ha scritto Francesco Cundari sul quotidiano l’Unità del 21 di agosto dell’anno 2011 col titolo “La crisi è figlia di precise scelte politiche”, Autore citato nel post di ieri, ha scritto che, secondo la vulgata del liberismo più selvaggio e dell’inarrestabile finanziarizzazione della economia, i mercati sarebbero capaci di autoregolarsi e che non esisterebbe più alcuna differenza significativa tra destra e sinistra. Non per nulla, a ben vedere, questa seconda affermazione è una diretta conseguenza della prima: se i mercati possono regolarsi da soli, scompare necessariamente ogni differenza tra destra e sinistra, per la semplice ragione che scompare la politica, che è innanzi tutto confronto tra i rappresentanti di diversi interessi - tutti ugualmente legittimi, s'intende - per la distribuzione delle risorse. È avvenuta quella che da tempo vado definendo come la “lotta di classe” all’incontrario. Un colpo da maestri. Sostiene lo scrittore ed opinionista Goffredo Fofi – in “La vocazione minoritaria”, Laterza editore (2009), pagg. 165, € 12 -: “Una delle astuzie della società attuale – almeno in Italia – è di aver convinto i poveri ad amare i ricchi, a idolatrare la ricchezza e la volgarità. In passato i poveri solitamente non amavano i ricchi: li si convinceva, anche con la forza, a sopportare la loro condizione, si tollerava anche che peccassero di invidia, al più li si spaventava con la prospettiva delle pene dell’inferno. Negli anni Ottanta, negli anni di Craxi, è esplosa invece una cosa del tutto nuova: la tendenza a negare le differenze tra i ricchi e i non ricchi, a far sì che i non ricchi si pensino ricchi, che amino i ricchi come maestri di vita, come modelli assoluti di cui seguire ogni esempio”. Un colpo magico. Definitivo. Dall’obnubilamento delle coscienze  e dalla “scarnificazione” del pensiero  - come mi piace sostenere - il quadro a tinte fosche che ne risulta è quello che la cronaca impietosamente offre alla nostra atterrita visione quotidiana. Storie crudeli di uomini e di donne, che hanno lavorato e creato ricchezza e sicurezza sociale. Uomini e donne che sono da annoverare  oggigiorno in quei “14 milioni e rotti” buttati fuori dalle loro esistenze, dai loro sogni, dalle loro speranze. Storie che Carlo Verdelli ha trascritto nel Suo reportage. Storie di sconfitte e di esclusione, storie d’inumana, misera realtà. (…). …a Carau Antonio, camionista fino al fatidico 2011, sta diventando insopportabile. «Ho la patente C, 40 anni di esperienza, l’ultima nel trasporto di carta igienica ai supermercati. Licenziato, sbam, e nessuno che mi riprende perché a 60 anni, dicono, sono vecchio. Durante il giorno giro,come tutti noi fregati dal Duemila, spesso vado alla libreria Sormani dove danno dei film, faccio le code alle mense, mi ammazzo di colloqui per un lavoro. Ma il vero tormento è la notte. Dormo tra due marocchini. Ruttano, scoreggiano, non hanno rispetto, si lavano i piedi dove io devo lavarmi la faccia. Fortuna che ho un amico imbianchino. Gli ho chiesto di lasciarmi la sua macchina per la notte. Farà più freddo ma almeno non sentirò la puzza dei cameroni». E così pure (…). …Dario Colucci è un inquilino di Mambretti (ove è ubicato a Milano un nuovo dormitorio pubblico n.d.r.), anche lui ha conosciuto il salto in basso repentino, da rompersi le ossa. Odontotecnico diplomato, 30 anni da artigiano di dentiere e ponti fino alla specializzazione in modellazioni tridimensionali, ha perso tutto in un colpo, come al casinò: lavoro, casa, famiglia, tre figli. «I clienti non pagavano, il laboratorio è soffocato, ci hanno uccisi di tasse. Avevo il mutuo della casa da pagare, ho consegnato le chiavi alla banca e mi sono trasferito nella mia Ford Fiesta». (…). E dopo la Fiesta, signor Dario? «Non resistevo più, ghiacciava anche dentro. Mi sono trovato un localino segreto all’ospedale di Niguarda, vicino alla sala prelievi. In cambio di non venir denunciato, aiutavo gratis quello che caricava le macchinette di bibite e merende alle 5 di mattina. Anche quando sono venuto in Mambretti, ho dato una mano. Pitturare i muri, pulizie. Adesso quelli dell’Arca mi hanno affidato l’incarico di operatore notturno. Lo dico sottovoce ma sto ritrovando fiducia». Storie dei cosiddetti “colletti bianchi”: Caterina Disi ha 48 anni, dei lunghi capelli neri senza neanche uno bianco e non cerca compassione. Nata in Sardegna, diploma di educatrice professionale alla Sapienza di Roma, un curriculum di dieci pagine, ultimo lavoro riconosciuto alla Asl di Ravenna che però la licenzia, da due anni e mezzo è in giro con le sue valigie. Single, dorme in un convento di suore, aspetta gli esiti della causa che ha intentato alla Asl («Mi daranno dei soldi ma non mi ridaranno il posto»), non va alle mense per la vergogna («Mangio biscotti, piuttosto »), entra ed esce dagli uffici di collocamento come dalle librerie, senza mai niente in mano. «Ma la fede non mi fa perdere la speranza. Avrei potuto schiantarmi nella depressione, invece non ho mai preso un farmaco. Il mio unico sonnifero è il rosario. Ma non accetto tutto, non accetto più. Ho studiato tanto, lavorato tanto, non ho commesso reati e mi ritrovo nella povertà assoluta. Pretendo rispetto dal mio Paese. Pretendo autonomia e ruolo sociale. Voglio giustizia, perché la merito». Dice Caterina Disi “non ho commesso reati”. In questi giorni, in queste ore, un cittadino della Repubblica d’Italia – e la corte dei suoi sudditi - si dimenano sbavando affinché non venga applicata una legge dello Stato. Se fosse incappata Caterina Disi in quello stesso reato al momento successivo della sentenza della Cassazione avrebbe viste applicate, da subito, le pene irrogate. Per Caterina Disi non ci sarebbe stato un “quarto grado” di giudizio, ché tale è divenuta la manfrina recitata in questi giorni nei palazzi del potere da quell’”antipolitica” che il potere lo detiene costi quel che costi. Ed intanto il Paese affonda poiché è certo oramai che i cittadini del bel paese non “sono eguali davanti alla legge”. Quel “quarto grado” andrebbe cancellato, è da nomenclatura sovietica signor B.!


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