"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 23 ottobre 2013

Cronachebarbare. 25 Maradona, Fazio, il fisco e il gesto dell’ombrello in tv.



È da tempo che ho abbandonato quell’idea ed ho gagliardamente resistito alla tentazione d’essere spettatore e partecipe - passivo - di quegli indecorosi spettacoli che il piccolo mostro elettronico della casa ci vomita con la regolarità naturale delle stagioni. Conservavo amorevolmente e gelosamente una sola nicchia, piccola, al sabato sera ed alla domenica sera, sino a qualche tempo addietro, rappresentata dalla trasmissione della terza rete della Rai, quel “Che tempo che fa” che sembrava ci restituisse la dignità di cittadini adulti e pensanti, dignità brutalmente azzerata dai tanti, tantissimi palinsesti adusi a considerare gli spettatori televisivi del bel paese dei buoni “dodicenni non tanto svegli”. Al quale mantra ci si era adeguati, colpevolmente dai programmatori delle reti televisive, inconsapevolmente, forse, dai teleutenti-dipendenti. Una mitridatizzazione su larga scala. Un’operazione di distrazione di massa. È da un certo tempo in poi che la mia piccola nicchia non mi è stata più tanto cara. Uno sguardo fuggevole e poco interessato ad essa – a quella che è stata la mia piccola nicchia intendo dire - sul piccolo mostro elettronico nel mentre vomita le sue scempiaggini; un passare ad altra visione per sfuggire ad un imprevisto livellamento di essa su standard neghittosi che non le si addicono. È così che mi sono persa l’ultima nefandezza. Ha scritto Francesco Merlo sul quotidiano la Repubblica del 22 di ottobre – “Maradona, Fazio, il fisco e il gesto dell’ombrello in tv” -: (…). …il pubblico televisivo più colto d’Italia applaudiva il reato di evasione, che offende la disperazione del Paese impoverito, proprio come la corte eversiva del Cavaliere celebra la frode fiscale davanti al tempio di Palazzo Grazioli. (…). Potenza della televisione che trasforma i delinquenti in eroi e viceversa. Di sicuro l’intervista di Fabio Fazio a Maradona diventerà un classico della mancanza di equilibrio, del rovesciamento di senso, dell’Italia migliore che sarebbe in fondo uguale all’Italia peggiore, dei moralisti che fanno la morale a tutti, tranne a se stessi. E ripartiamo dunque da Maradona che ha fatto il gesto dell’ombrello a Equitalia “che mi vuole togliere tutto: tié”. Come Berlusconi, pure lui pretende l’impunità. Il reato è, all’ingrosso, lo stesso. Entrambe le condanne sono definitive. E anche la sfrontatezza è la medesima. Maradona si crede al di sopra della legge perché ha la manina di Dio e il pibe de oro; Berlusconi perché è stato eletto dal popolo ed è l’unto del Signore. E così è stata profanata quella nicchia. Poiché non è pensabile che per un servizio che sia “pubblico” debbano valere gli stessi parametri delle televisioni che si definiscano commerciali. Che senso ha portare sul piccolo schermo un campione dell’ambiguità, l’interprete di una vita sregolata che ha cercato di riempire di senso ricorrendo agli intrugli che donano un benessere artificioso ed irresponsabile? Il senso è che, anche per quella che era una nicchia nel marcescente spettacolo delle televisioni, l’audience a tutti i costi ha bisogno d’essere raggiunto costi quel che costi. Ma con un pessimo ritorno. Continua Francesco Merlo: A un pubblico di sinistra il ‘tipo Maradona’ non dovrebbe piacere: per scelta di vita, abitudini, modelli, letture e passioni. E sarà pure sussiegosa, e anche un po’ finta e verniciata di politicamente corretto, ma certamente quella che si riconosce nel programma di Fazio non è l’Italia devota o prona ad una variante del berlusconismo delinquenziale. A nessuno come a quel pubblico dovrebbe essere chiaro che Maradona non è l’Italia che stringe la cinghia, ma quella che salta le code e parcheggia in seconda fila, quella che eleva a pedagogia il fregare il prossimo, quella che “meglio furbi che virtuosi”, quella della prepotenza e non della solidarietà, quella affascinata dai delinquenti, quella che si gira dall’altra parte, quella che non paga le tasse … (…). È chiaro che dialogare con un genio del pallone che è però sregolato in tutto, sino alla delinquenza fiscale, necessita di una misura, di un senno, di una regola. E ci sono delle cose che non si possono perdonare neppure a Maradona, per rispetto di chi paga le tasse e anche il canone televisivo. A meno che non si sostenga che Maradona, che non le paga, è meglio di Fazio che le paga, come la settimana scorsa aveva egli stesso ribadito a Brunetta che lo insolentiva. Come può lo stesso pubblico averli applauditi entrambi? Esigenza di copione? A meno che non si arrivi al ‘sottosopra’, un po’ in nome del pallone che ci rende tutti tifosi sconclusionati, ma soprattutto in nome dell’audience che ‘stracangia’ Maradona in Renzo Piano e trita alla stessa maniera Cacciari e Celentano: l’indifferenziato televisivo. È questa la vera subalternità, la stessa che trasforma il giornalista-nemico di Berlusconi nel giornalista-compare: Maradona non si può contraddire perché non si può maltrattare l’audience. La verità è che c’è una tecnica televisiva, quella di assecondare a tutti i costi l’ospite, che può fare danni all’etica televisiva. E il pubblico addomesticato non è più né di destra né di sinistra: è un pubblico di manichini. Certo, l’ospite va trattato con educazione, ma non con soggezione, non‘alla Vespa’, che è sempre ben disposto verso il potente, il vip e il divo di turno. Ed a questo punto, tentando arditamente d’accostare il sacro al profano, che mi viene di proporre una paginetta del professor Umberto Galimberti a proposito di quel “finto dialogare” dei talk show. Scrive l’illustre Autore sul settimanale “D” del 19 di ottobre ultimo – “Se ogni scontro tra idee diverse finisce in duello” -: Il dialogo (…) non è una cosa tranquilla, come solitamente si crede, ma come diceva Eraclito, è una guerra (pólemos), condotta però non per averla vinta sull'avversario, ma per cercare, a partire dai diversi pareri, la verità. Al punto che, scrive Platone a più riprese, se l'avversario adduce argomenti troppo deboli o insufficienti a sostenere la propria tesi, invece di approfittarne per metterlo fuori gioco e umiliarlo, occorre andargli in "soccorso (…)". Una delle ragioni, anche se non la principale, per cui Platone riteneva che la politica dovesse essere affidata ai filosofi è nel fatto che i filosofi, (…), hanno in vista la verità, e in politica il bene comune, piuttosto che non la difesa strenua della propria parte (in politica del proprio partito) a prescindere da ciò che è meglio per la città. Ne sono una prova i talk show politici, dove vediamo prevalere (…) l'inimicizia e la voglia di sopraffare l'avversario piuttosto che la ricerca di ciò che sarebbe giusto fare, pur partendo da posizioni distanti. E questo perché in televisione non si "dialoga". Non tanto perché si sovrappongono le voci, quando non le grida, ma perché ciascuno tratta l'altro non come un interlocutore con cui discutere, ma come un pretesto per sopraffarlo onde riscuotere successo presso il pubblico televisivo. Questa è la falsificazione di tutti i talk show televisivi: si finge di parlare con il proprio interlocutore, ma in realtà si parla al pubblico per mostrare la propria superiorità rispetto all'avversario. Ciò che si cerca, infatti, non è la "verità", ma la propria "vittoria" su quanti partecipano alla trasmissione. E siccome in televisione non si può articolare un ragionamento, ma si deve procedere per frasi ad effetto, slogan, dettati ipnotici, per i tempi ristretti imposti dal mezzo televisivo, i talk show sono del tutto inutili perché non chiariscono le idee a nessuno, ma si limitano a confermare nel pubblico le idee che già si possiedono a partire dalla propria appartenenza, qualcosa di simile al tifo sugli spalti di un campo di calcio. Sono stato il profanatore di un pensiero così dotto avendolo accostato – imprudentemente? - alla ignominiosa vicenda di “Che tempo che fa”? A quella che è stata per lungo tempo la mia nicchia, la mia ancora di salvezza, la mia uscita di sicurezza di siloniana memoria? Poiché a “quellichelasinistra” quell’artista delle pedate non ha nulla da trasmettere se non un moto di pietà per una vita condotta e spesa al limite di qualsivoglia accettabile regola. Francesco Merlo conclude: Eppure anche delicatamente si poteva dire a Maradona che le tasse bisogna pagarle e che le sentenze definitive non possono essere ribaltate in una trasmissione tv. Bastava immaginare che al posto di Diego Armando ci fosse ancora Brunetta e ripetergli con fierezza di versare all’erario il 50 per cento dello stipendio e di non avere nessuna condanna per frode fiscale. Ma è da un bel pezzo che il Fabio Fazio sembra abbia smarrito la giusta via, per la qual cosa sono stato costretto ad abbandonare quella nicchia dorata. Da quando ha smesso di porre quelle domande che sollecitino quelle risposte che rendano pienamente umani gli uomini del potere, o dello spettacolo o dello sport.

Nessun commento:

Posta un commento