"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 30 ottobre 2013

Capitalismoedemocrazia. 39 “L’ultimo miglio della povertà”.



Osservate bene il box che ho riportato dal quotidiano la Repubblica di oggi e che è parte di un reportage di Carlo Verdelli che ha per titolo “L’ultimo miglio della povertà”. Vivono in uno stato di “povertà assoluta” 4 milioni 814.000 italiani; nella cosiddetta “povertà relativa” 9 milioni 563.000. Dati che si commentano da soli. Dati crudeli. Dati allarmanti. Allarmanti per chi? Sullo stesso quotidiano Massimo Giannini si è prodotto nella presentazione dell’ultimo lavoro del sociologo Luciano Gallino – “Il colpo di stato di banche e governi” (2013), pagg. 352, € 19, Einaudi Editore – con un pezzo che ha per titolo “Terminator il banchiere”. Scrive Massimo Giannini che la “GCG”, o Grande Crisi Globale, non è un accidente della storia, improvviso e imprevedibile, né un incidente del sistema, previsto e riparabile. È invece l’effetto di una scelta consapevole e tragicamente sbagliata, che i governi hanno condiviso con le istituzioni finanziarie e i think tank economici del pianeta. Il collasso dei mercati non è effetto né della recessione mondiale (creata da costi del lavoro strumentalmente giudicati insopportabili) né dell’esplosione dei debiti pubblici (gonfiati da una spesa sociale falsamente ritenuta insostenibile). Semmai è la causa dell’una e degli altri. L’accumulazione finanziaria è stata “la risposta” che le classi dirigenti hanno dato “alla stagnazione economica” e alla disoccupazione endemica. È lo scenario che i volenterosi ragazzi di “Zuccotti Park” – sembrano ricordi di un’altra era, provenienti da chissà quale pianeta - hanno cercato di trasmettere e rendere universale affinché una risposta forte venisse da ogni dove, ovvero quella loro drammatica denuncia dell’1% che determina il destino del rimanente 99% degli esseri umani. Sostiene nel Suo pezzo Massimo Giannini: La crisi origina dalle disuguaglianze, e nello stesso tempo le moltiplica. Lo 0,6% della popolazione mondiale adulta detiene una ricchezza personale netta di 87,5 trilioni di dollari (pari al 39% della ricchezza totale del mondo), mentre il 69,7% ne possiede per 7,3 trilioni (pari al 3,3% del totale). Fermare la “macchina”, finora, non è stato possibile. Scenari realizzatisi non per un destino avverso ma per evidenti scelte e che si sarebbero potuti evitare o correggere sul nascere sol che la politica fosse stata più accorta facendo scelte ben diverse nella difesa di quel che un tempo veniva definito il “bene comune”. Per uscire dal sempiterno gioco del “detto e del non detto” sono andato a rileggere quanto Francesco Cundari scriveva sul quotidiano l’Unità del 21 di agosto dell’anno 2011 col titolo, inequivocabile, “La crisi è figlia di precise scelte politiche”: (…). A quattro anni dal crollo dei subprime e a tre anni dal fallimento di Lehman Brothers, il dibattito politico italiano e internazionale non potrebbe essere più istruttivo. La crisi presenta il conto agli Stati, che si sono indebitati proprio per salvare quella finanza che doveva fare da sé, autoregolarsi e risolvere autonomamente tutti i problemi del mondo. E a Washington lo scontro tra destra e sinistra è tra chi vuole tagliare lo stato sociale, a cominciare dalla moderatissima riforma sanitaria di Obama, e chi vuole togliere i benefici fiscali ai più ricchi. Esattamente come in Italia. Un quadro che dimostra la falsità di due affermazioni a lungo circolate in questi anni: che i mercati sarebbero capaci di autoregolarsi e che non esisterebbe più alcuna differenza significativa tra destra e sinistra. Non per nulla, a ben vedere, questa seconda affermazione è una diretta conseguenza della prima: se i mercati possono regolarsi da soli, scompare necessariamente ogni differenza tra destra e sinistra, per la semplice ragione che scompare la politica, che è innanzi tutto confronto tra i rappresentanti di diversi interessi - tutti ugualmente legittimi, s'intende - per la distribuzione delle risorse. Ora però si tratta innanzi tutto di distribuire i sacrifici, purtroppo. Non per niente, dagli stessi ambienti da cui fino a ieri proveniva l'elogio dei mercati e della finanza che è all'origine della crisi, viene ora una violenta campagna di delegittimazione della politica, che si accompagna alla ripetizione delle stesse formule e delle stesse ricette che ci hanno portati fin qui. (…). Per concludere con lo sguardo puntato sulla specificità della situazione italiana: Quello che il mondo si appresta a pagare è il costo del liberismo, che in Italia si è accompagnato a una particolare forma di conflittualità politica, tanto esasperata nella forma quanto vaga nei contenuti, che ha favorito naturalmente tutte le reazioni antipolitiche e antistatuali, dal leghismo al liberismo. Lo stesso Silvio Berlusconi si è presentato come il campione dell'antipolitica, l'imprenditore che alla politica era solo «prestato». In fondo, (…), la sua intera parabola rappresenta la forma più estrema di privatizzazione del politico. In Italia, purtroppo, paghiamo il conto anche di tutto questo. L'uomo solo al comando, che con la sua sola persona doveva surrogare gli odiosi partiti e gli inutili riti parlamentari, lascia un Paese allo sbando, lanciato contro un muro. L'idea che si possa risolvere il problema procedendo nella stessa direzione, e magari con una bella accelerata, non pare delle più brillanti. E dopo – novembre 2011 - venne la cacciata ad opera dei “mercati”. Ma non dalla politica buona e del “bene comune”. E lo scenario che ne è conseguito è ben interpretato e reso evidente nella sua drammaticità dai dati riportati nel box proposto in alto. Poiché ne diviene che, nell’assoluta indifferenza dei più della politica, quel banchiere “Terminator”, per come lo definisce Massimo Giannini, ha ben rodato il suo congegno di dominio assoluto. Scrive l’illustre opinionista: La “macchina”, messa a punto nei laboratori dei pensiero neo-liberista trans-nazionale, è ormai capace di auto-rigenerarsi. La finanza produce finanza. La carta genera carta. La manifattura scompare. I posti di lavoro spariscono. E in questa dissipazione programmata sviliscono vite e svaniscono diritti. (…). Nella classifica delle top 20 mondiali, le 14 europee detengono attivi per 28,2 trilioni di dollari, mentre le 3 americane ne hanno per 5,5 trilioni. Così diventa possibile la «creazione di denaro dal nulla. In meno di dieci anni, la “macchina” immette sul mercato Ue titoli cartolarizzati per 7 trilioni di euro (quasi la metà del Pil dell’Unione), 30,5 trilioni di dollari di derivati scambiati su piazze organizzate, e 597 trilioni di dollari di derivati “Over the Counter” (di cui 58,2 trilioni di Cds, i certificati assicurazione dei crediti). A questo si aggiunge lo “shadow banking”, cioè il sistema “ombra” rappresentato da società che operano come banche senza esserlo, che solo negli Usa vale 23 trilioni di dollari. L’Occidente vive all’ombra di questa bolla immane, che si gonfia libera e irresponsabile, esplode e poi ricomincia a gonfiarsi. (…). I governi, vittime gregarie di una sindrome da “corteggiamento del capitale”, l’assecondano con strategie economiche incentrate sul taglio del Welfare e sui salvataggi bancari a carico dei contribuenti. I media, risucchiati dentro una nuova “fabbrica dell’egemonia”, la cavalcano con un conformismo che finisce per deformare la realtà. (…). E c’è sempre un qualcuno che vede la luce al fondo del tunnel e c’è sempre un “babbo-natale” di turno (Letta-Saccomanni) pronto a regalare la mancetta alle famiglie impoverite affinché si invoglino a riprendere lo scialo di sempre.  

Nessun commento:

Posta un commento