"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 24 settembre 2013

Cronachebarbare. 22 Il miraggio della ripresa.



Si spinge a dire, per invocare la stabilità politica da garantire alle “larghe intese” l’inquilino dell’irto colle, di “non sprecare i segnali di ripresa”. Ho già detto, a seguito di un’altra simile boutade, quanto necessario sia l’intervento di un buon oculista. Oggi mi vien solo da dire, a mo’ di Hans Fallada, “ed adesso pover’uomo?”, ove quel grande narrava le vicende di un giovine uomo, un commesso, e della sua famiglia – una moglie ed un bambino -, una delle tante di quella piccola borghesia tedesca che nel secolo ventesimo si trovò alle prese con le grosse difficoltà economiche e con la paura della disoccupazione su quel palcoscenico tragico che era la Germania all’indomani della “grande guerra” e che da lì a poco sarebbe naufragata nel nazismo. Dov’è la ripresa? La Merkel ha vinto, anzi ha stravinto. Ed è riuscita ad allontanare dal suo parlamento i partiti antieuropei. Un colpo da maestro. Ecco perché viene da dire “ed adesso pover’uomo?”. Ha dichiarato Alberto Bombassei, presidente della Brembo, un’azienda all’avanguardia nella specializzazione dei prodotti, in un’intervista al settimanale Affari&Finanza del 16 di settembre - “La crisi non si supera senza vincere la sfida dell’innovazione” di Giorgio Lonardi -:  Presidente Bombassei, dunque per lei non ci sono dubbi: nessuno spiraglio in vista per la nostra economia? «(…). …ora la Confindustria dice che la crisi è finita. Ma questo annuncio ha solo un effetto psicologico: la realtà è ben diversa. Guardi, io siedo nella commissione attività produttive e quasi ad ogni riunione vedo passare sotto i miei occhi una quantità incredibile di crisi aziendali. E non si tratta solo di imprese sconosciute ma anche di tanti nomi le cui tradizioni affondano nella storia industriale di questo Paese. Detto questo sarei felicissimo di essere smentito e dunque di sbagliarmi. Ma per ora, purtroppo, non credo sia possibile».
Secondo Gianfelice Rocca, presidente di Assolombarda, ci sarebbero “ piccoli segnali” di ripresa. Lei che ne dice? «Piccoli segnali? Forse è così, certamente è un termine più corretto. Per quanto mi riguarda sono molto preoccupato: il Pil continua a scendere e i giovani non trovano lavoro. E purtroppo siamo di fronte ad un fenomeno nuovo e poco studiato, quello dei ragazzi che si sono formati nelle nostre università e vanno a cercare lavoro all’estero e spesso lo trovano. Torneranno? Non lo so, io temo di no. E questo dovrebbe angustiare tutti coloro che vogliono bene al loro Paese».
L’export è uno dei pochi elementi che tiene a galla tante imprese italiane. L’attuale situazione di incertezza politica può essere un problema per chi vende all’estero? «Partiamo da un principio base: la credibilità ha un valore economico. Se la fiducia nel tuo Paese vacilla tutto diventa più difficile. Chi se la sente di affidare una commessa importante ad un’impresa di un Paese in difficoltà? (…).». Afferma quindi Alberto Bombassei che “se la fiducia nel tuo Paese vacilla tutto diventa più difficile.”. Ed il paese lo è. E non tanto per un destino cinico e baro quanto per quella straordinaria sua storia di intrallazzi e di ruberie oltre ogni misura. È quel che non si è voluto capire. Che non si vuole capire. È la responsabilità primaria dell’”antipolitica” al potere. Le catene che legano mani e piedi di questo strano paese sono quelle catene, che nessun altro ha posto a quelle mani ed a quei piedi, forgiate dalla impresentabile vita politica e sociale di quello che è stato definito il bel paese. Il paese delle ruberie sfrontate e dei privilegi irrinunciabili per i pochi. Ha scritto di recente Aldo Grasso - “Troviamo una paratia mobile alla corruzione” - sul settimanale “Sette” del Corriere della Sera del 2 di agosto: (…). …in Italia, alle consuete voci di spesa per realizzare le infrastrutture, bisogna aggiungere una “stecca” del 40% in più, che è esattamente il costo della corruzione. L’ufficio studi della Cgia di Mestre (…) ha calcolato che le grandi opere pianificate per i prossimi anni costeranno agli italiani 93,6 miliardi di euro in più rispetto a quanto avrebbero pagato al posto loro i contribuenti inglesi, francesi, tedeschi o spagnoli. Una cifra che corrisponde quasi a sei punti di Pil. Questi sei punti di Pil hanno un solo nome: corruzione. Ogni volta che decidiamo di fare una cosa in grande (…), spunta sempre un sistema corruttivo. Come scriveva Indro Montanelli nel poscritto all’ultimo volume della Storia d’Italia: «Sono giunto alla conclusione che la corruzione non ci deriva da questo o quel regime o da queste o quelle “regole”, di cui battiamo, inutilmente, ogni primato di produzione. Ci deriva da qualche virus annidato nel nostro sangue e di cui non abbiamo mai trovato il vaccino. Tutto in Italia ne viene regolarmente contaminato». Possibile che non si trovi una paratia mobile per fermare la corruzione? Ecco il perché di quel “ed adesso pover’uomo?”. Questo paese non avrà sconti da nessuno poiché non ha la forza in sé o la volontà di redimersi dalle cattive abitudini che ne hanno caratterizzato e segnato profondamente la vita politica innanzi tutto, ma anche quella economica e sociale. Scrive Massimo Giannini sullo stesso numero del settimanale Affari&Finanza – “Da Siena a Genova avevano una banca” -: Ecco i numeri del disastro. A luglio i prestiti al settore privato sono diminuiti di un altro 3,3%. I finanziamenti alle famiglie si sono ridotti dell’1,1%, mentre quelli alle imprese sono crollati addirittura del 4,1%. Non ho gli occhiali del ministro Saccomanni, e quindi non riesco a vedere la ripresa in queste cifre. Ma con i miei occhi vedo benissimo l’altra faccia del credit crunch tricolore. Famiglie e aziende non scuciono un euro dalle banche, per coprire consumi e investimenti. Politici e amici degli amici spillano milioni, grazie al bancomat perpetuo garantito dai Signori del Credito. Dalle inchieste parallele su Mps e Carige continua a venir fuori un verminaio putrido, dove il malaffare economico e il malcostume politico si intrecciano irrimediabilmente. Un consociativismo bipartisan così miserabile, e un capitalismo di relazione così impresentabile, forse esistono solo in Italia. Montepaschi è il paradigma. Una gigantesca mangiatoia, nella quale si sono nutriti tutti grazie ai buoni uffici del generoso Mussari. La sinistra del «socialismo bancario e municipale», certo. Da Piero Fassino che con il custode dei tesori di Rocca Salimbeni sente il bisogno di fare «un po’ il punto totale», a Franco Ceccuzzi che con il supporto «dell’onorevole Massimo D’Alema» deve discutere di una non meglio specificata «iniziativa». Da Giuliano Amato che chiede finanziamenti per il Tennis Club di Orbetello, ai capi della nomenklatura passata e futura (…). Ma anche la destra del populismo reale. Da Berlusconi che da grande intestatario dei depositi miliardari in Mps invita Mussari a cena a Palazzo Grazioli, a Verdini che a Siena tratta le nomine. Dal pio Gianni Letta che elemosina soldi per il teatro Biondo di Palermo o alla pitonessa Santanchè che chiede aiuto per il boss delle cliniche Angelucci. La Cassa di risparmio di Genova è un caso Siena in minore. Qui sono diversi la dimensione e il contesto, ma la morale non cambia. L’elemosiniere è Giovanni Berneschi, i beneficiati sono i ricchi manutengoli dell’inner circle scajoliano. Dal patron del Genoa Enrico Preziosi, all’europarlamentare Vito Bonsignore, fino ad arrivare agli armatori Alcide Rosina e Giuseppe Rasero. Gente che prende fidi e non li rimborsa, in una banca che accumula una montagna insostenibile di crediti incagliati o inesigibili. Così vanno le banche, in questa sciagurata parte di mondo. Una vergogna nazionale, che chiama in causa veramente tutti. Non solo le persone, ma anche le istituzioni. A partire dalla Vigilanza di Via Nazionale. Non possiamo scoprire sempre a babbo morto che, mentre i clienti normali tiravano la cinghia e le imprese tiravano le cuoia, lor signori «avevano una banca». Come può il “pover’uomo” alla Hans Fallada intravvedere la “ripresa”? Ché, se anche ci fosse, non renderebbe questo disastrato paese concorrenziale sulla scena economica della globalizzazione, tanto sono le furberie, i misfatti, in basso ed in alto, a destra ed a manca, con interi territori in mano alla delinquenza più smaccata ove si taglieggiano imprenditori ed istituzioni. In queste condizioni una “ripresa” che sia vera e duratura è solamente uno specchietto per le allodole, ovvero per i gonzi ed i creduloni corresponsabili d’un simile disastro. Ha scritto Tito Boeri – la Repubblica del 16 di settembre -: Ed è bene non farsi illusioni sul cambiamento di rotta dopo le elezioni tedesche. La campagna elettorale in Germania ha mostrato un'opinione pubblica che ritiene che si sia fatto fin troppo per aiutare i paesi del Sud Europa. E Angela Merkel non sembra affatto avere un'agenda da leader dell'Unione. “E adesso pover’uomo?”. Amen.

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