"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 28 agosto 2013

Doveravatetutti. 10 “L'abuso di potere”.



“L'abuso di potere” lo scriveva il 6 di novembre dell’anno 2010 Andrea Manzella, fine costituzionalista, sul quotidiano la Repubblica: Basta leggere la Costituzione al semplicissimo art. 54: "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con onore". Quando, in epoche non sospette, i giuristi l'hanno interpretato, hanno scritto che "onore" è parola che riassume le regole di buon costume politico e sociale, le tradizioni di comune rispetto per le religioni, gli orientamenti sessuali, il colore della pelle degli "altri". Sono valori che ritroviamo oggi nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Violarli significa perciò fare atto non solo anti-italiano ma anche anti-europeo. Oggigiorno improvvisati turiferari salmodiano affinché sia garantita “agibilità politica” non più ad un reo – mai confesso – ma ad un condannato in via definitiva. E l’onore prescritto dalla Carta? Un appendicolo non richiesto, non necessario. Chi è oggigiorno disposto a sostenere che l’”onore” richiesto dalla Carta non si sia sciolto come neve al sole nella tregenda politica del bel paese durante la quale streghe e stregoni si sono agitati per irridere quasi a quell’”onore” richiesto per svolgere le “funzioni pubbliche”? Scriveva il fine studioso: La mancanza del "senso dell'onore" - si scrisse ben prima del 1994 - significa la rottura di "norme di etica politica che non sono disponibili: nel senso che non possono essere lasciate al libero apprezzamento dei soggetti politici". Perché appartengono alla dignità non del singolo, che vi rinuncia, ma della Repubblica che ne è, temporaneamente, rappresentata. E si scrisse ancora che l'offesa all'"onore" repubblicano si verifica anche per "ipotesi che riguardano la sfera privata" di chi svolge in "affidamento" (come dice la Costituzione: cioè non in "proprietà") funzioni pubbliche. Siamo a rievocare la storia disdicevole e che ha disatteso l’”onore” richiesto dalla Carta, la storia di un tempo non ancora remoto ma che sta tutta in quel “doveravatetutti” che è esercizio di memoria, di responsabilità e di autocoscienza. Andrea Manzella: (…). …le responsabilità del premier possono essere sanzionate in altro modo. Dalle viscere della nostra esperienza costituzionale può venir fuori un altro rimedio per ristabilire il decoro nazionale. Un rimedio che, senza ricorrere a sentenze di giudici, inibisca, per censura personale all'attuale premier, la prosecuzione delle sue pubbliche funzioni. È la conventio ad excludendum, una "convenzione" politica di esclusione. (…). …sarebbe il riadattamento di quello strumento che per decenni impedì ai comunisti di partecipare al governo, pur prendendo una marea di voti. Il suo fondamento costituzionale era nella concezione di democrazia delle libertà che è propria della nostra Legge fondamentale. Il legame ideologico e organizzativo con l'impero sovietico negava, di per sé, che questa concezione potesse essere la stessa. Così il Pci - nonostante il suo decisivo contributo alla approvazione e alla attuazione della Costituzione repubblicana e alla tenuta degli equilibri profondi del Paese - era escluso dai governi. Un rifiuto che non si affidò, come altrove, a clausole di sbarramento elettorale né a decisioni di tribunali costituzionali. Ma fu un accordo di natura politica, di fatto. Anche l'attuale premier ha avuto (e probabilmente conserva) una marea di voti. Anche lui vanta qualche merito politico nel suo passato. Ma oggi la incompatibilità alla presidenza del consiglio deriva semplicemente dalla abituale trasgressione del dovere costituzionale d'"onore" nei suoi compiti pubblici. Trasgressioni che provocano, a catena, sperpero di tempi politici, arresto di efficacia e di credibilità nell'azione di governo. Un discorso del fine costituzionalista di tre anni appena addietro, ma dal quale appare evidente come le lancette della politica del bel paese non si siano mosse da allora di un tocco che sia. Immobili, in un mondo in vorticoso cambiamento. E che vadano al diavolo i problemi sociali ed economici del paese! C’è dell’altro su cui battagliare! La confusione tra libertà e libertinaggio; la contemporanea rivendicazione di una propria privacy e l'offesa alla "privacy" degli altri (specie dei minori) con deteriori "stili di vita" propagandati come esemplari per l'intera Nazione; la palese ansia di complicità e di connivenze populiste nel banalizzare e normalizzare strappi comportamentali che nella stragrande parte di mondo non sono né banali né normali. Tutto questo non è in contrasto con una morale tipizzata o religiosa: è in contrasto con il laico modo di intendere le pubbliche funzioni nella Costituzione e nell'intera Unione europea. Non è una condanna moralistica o di costume. Ma una constatazione oggettiva. Come un macchinista ubriaco non può condurre un treno, così un premier sregolato non può guidare una Nazione. Nell'un caso e nell'altro non sono le condizioni personali che preoccupano, ma le loro ricadute sul diritto della collettività al buon governo della cosa pubblica. Per questo, un accordo politico di tutti, o della maggior parte di tutti, troverebbe il suo fondamento costituzionale nella regola che impone un "onorevole" esercizio delle funzioni della Repubblica. Sarebbe una sfiducia "personale": ricostruttiva della soglia di decenza della politica, prima ancora che un accordo su comuni principi di azione pubblica nell'emergenza. Sarebbe, per singolare contrappasso, una intesa ad personam, per la prima volta conclusa contro di lui. Ma nel pubblico e non nel privato interesse. Quali furono le reazioni a cotanto ragionare? E la politica, ha avuto l’interesse a dibattere argomentazioni di così grande spessore? “Doveravatetutti” al tempo in cui Andrea Manzella chiamava all’attenzione, alla responsabilità al rispetto delle norme di etica pubblica non barattabili neppure in nome di una governabilità scolorita – oggigiorno - e per la quale si invocherebbe la fine più prossima? Quella mancanza d’”onore”, nella sfera privata come nella conduzione della vita pubblica, è “cosa” vecchia, ha connotato l’esistenza e l’azione politica di una parte che, seppur supportata da un copioso suffragio di voti, non detiene però il potere di scardinare l’assetto fondamentale del vivere collettivo. È da impedire un’azione così scellerata oggi, come sarebbe stato necessario fare allora. “Doveravatetutti”? Scriveva, quasi come in sintonia con Andrea Manzella, il professor Maurizio Viroli – “Repubblicani alle vongole” – su “il Fatto Quotidiano” del primo di settembre dell’anno 2012: Sostengo ormai da molti anni che la causa principale dei mali politici e sociali dell’Italia è la carenza di spirito repubblicano. (…). Spirito repubblicano vuol dire in primo luogo devozione intransigente al governo della legge, vale a dire al principio che tutti, governanti e rappresentanti inclusi, devono essere sottoposti alle medesime leggi (…). Lo spirito repubblicano si distingue poi per il modo di giudicare le azioni dei politici secondo il criterio che Machiavelli, il più influente scrittore politico repubblicano moderno, ha sintetizzato con queste parole: “Le repubbliche bene ordinate costituiscono premii e pene a’ loro cittadini, né compensono mai l’uno con l’altro” (Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I. 24). Voleva dire che quando un cittadino opera bene (ovvero serve il bene comune) merita plauso e onori, ma se poi il medesimo cittadino agisce male merita biasimo e sanzioni, e che le buone opere non cancellano la responsabilità per quelle cattive. (…). Mescolare meriti e demeriti al fine di attenuare la riprovazione per i secondi è tipico della peggior mentalità italiana, non certo dello spirito repubblicano. Proprio dello spirito repubblicano, infine (…) è il netto rifiuto dei privilegi e dei favori che i potenti dispensano ai loro amici e ai loro clienti. Li considera, a ragione, aperte ingiustizie e causa di corruzione. (…). Chi conosce lo spirito e il pensiero politico repubblicani sa che l’istituzione non si identifica con l’individuo che, per un periodo limitato, la rappresenta e chi critica un determinato atto del Capo dello Stato non è per questo un nemico della Presidenza della Repubblica che io considero istituzione benefica e fondamentale per la salvaguardia della libertà e dell’unità nazionale. Chi vuole il bene della Repubblica deve fare uno sforzo per recuperare il significato vero dello spirito repubblicano, non le versioni edulcorate o sbagliate che circolano presso la pubblica opinione, e pretenderne sempre il rispetto e soprattutto dalle più alte cariche dello Stato. A chi affidare l’”onore” della Repubblica sancito nella Carta? Il delirante dibattito di questi giorni, con stuoli agguerriti di salmodianti e di infaticabili turiferari, è la annunciata morte dello spirito della Carta e la affermazione sottaciuta che le “funzioni pubbliche”, nel bel paese, possano essere svolte, d’ora innanzi e per sempre, anche senza l’“onore” richiesto. A chi l’onere di un rinnovato “abuso di potere”?

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