"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 25 agosto 2013

Cronachebarbare. 19 Nel paese della “quasità”.



Si domanda Chiara Saraceno nell’editoriale di oggi sul quotidiano la Repubblica – “La democrazia sotto ricatto” -: Perché in Italia, (…), è possibile che il Paese rimanga appeso ad un ricatto chiaramente irricevibile? Al di là delle questioni giuridiche (…), proprio le ragioni avanzate da Berlusconi e i suoi per chiedere, di fatto, l’impunità – l’importanza della sua figura politica – rendono se possibile più odioso e insopportabile il reato di frode fiscale, più inaccettabile che possa sedere in Parlamento chi se ne è macchiato, ed è stato per questo condannato in via definitiva. Perché? Il perché? È il trionfo della cosiddetta “quasità” – termine tanto caro a Francesco Merlo - del bel paese. I cittadini del quale si trovano ad essere al contempo depositari dei destini della democrazia ma in una condizione di “servitù”. Quasi cittadini, quasi servi. È il paradosso di un paese e di una società del mondo Occidentale. Scrive ancora Chiara Saraceno: Berlusconi ha, certo, enormi responsabilità in questa situazione. Ma non è da solo. Il suo partito e i suoi mezzi di comunicazione gli danno manforte – che si tratti di falchi o di colombe non importa. Sarebbe facile sostenere che sono tutti al soldo di Berlusconi e senza di lui non esisterebbero. In parte, per molti o pochi, è probabilmente vero. È disarmante vedere una intera classe politica e giornalistica occupata a costruire una narrativa pubblica in cui Berlusconi, nonostante il suo denaro, i suoi avvocati/parlamentari, le innumerevoli leggi ad personam, è una vittima della giustizia ed un eroe della libertà, senza la cui presenza in Parlamento il partito non avrebbe futuro. Non sembrano accorgersi che in questa narrativa emerge un partito inesistente, una classe politica che in più di un ventennio non è riuscita davvero ad autonomizzarsi dal proprio leader. Al punto che, alle brutte, non disdegnerebbe una successione dinastica. E qui il timore della “quasità” che ha conquistato e divorato il bel paese affiora nella scrittura della sociologa: Eppure, faccio fatica a pensare che siano tutti semplicemente dei servitori imbelli e impauriti. C’è un irridente cinismo, un’operazione sistematica di delegittimazione dei capisaldi della democrazia – a partire dalla divisione dei poteri – in direzione di qualche cosa che assomigli ad un populismo plebiscitario. (…). “Quasità” dalla quale non esce immune nessuna delle forze politiche che operano nel bel paese. Sostiene quindi Chiara Saraceno: Il ricatto, (…), ha trovato sponda anche nel timore del Pd di andare alle elezioni e nella tenace difesa della stabilità a tutti i costi. Incapace (o forse neppure tanto voglioso) di modificare il Porcellum, timoroso di un nuovo tsunami elettorale dopo le prove di questi mesi, bloccato su un esasperante dibattito interno, indebolito da comportamenti non sempre lineari nei confronti di propri rappresentanti sotto processo, il Pd è direttamente responsabile della propria ricattabilità – da parte del Pdl, ma anche rispetto alla ferma ed esplicita moral suasion di Napolitano in nome della stabilità. (…). Comunque vada a finire, questa vicenda ha consegnato ai cittadini l’immagine non solo di un governo debolissimo, ma di una classe politica disponibile ad ogni compromesso per salvare se stessa. Dove i potenti sono più uguali degli altri. È possibile dare torto a tanto dichiarato sconforto? Sembra fare da controcanto all’illustre studiosa Giovanni di Lorenzo – direttore del settimanale tedesco Die Zeit - nell’intervista concessa a “il Fatto Quotidiano” del 17 di agosto a firma di Mariagrazia Gerina - “Come fa la sinistra a tollerare l’evasore?” -: “In Germania basta niente per far saltare una carriera politica, in Italia sembra che niente, neppure una condanna definitiva, possa rovinarla. (…). Al netto dei nostri moralismi che a volte sono veramente eccessivi, la domanda che tutti ci facciamo è: ma come fanno in Italia a sostenere ancora uno che è appena stato condannato in ultima istanza?” (…). Ecco, per l’appunto, come si fa? Come è possibile impantanare un intero paese su di una questione prettamente personale e da codice penale? Nel paese della “quasità” è possibile. Ce ne rende ragione e ne da contezza il Direttore nel corso della intervista: “Quello che state vivendo è un momento cruciale: sospeso tra la svolta decisiva verso il ritorno della normalità e il disastro finale” (…). 
Che cosa ha scoperto alla fine della sua indagine? “Che i sostenitori di Berlusconi, persone anche molto simpatiche e amabili, semplicemente negano e continuano a negare non solo quello per cui Berlusconi è stato indagato ma anche quello per cui è stato condannato. A Capalbio, ne ho incontrati parecchi. A me veniva da guardarli come fossero dei marziani. Ma, con la libertà del buffone di corte, mi sono messo a fare tutte le domande che volevo. E ho capito. Tutto quello di cui Berlusconi è accusato per loro non esiste. Lo negano e basta. Per loro è tutta una congiura. E una convinzione di questo tipo non c’è modo di smontarla”.
Ha provato? “Sì, ma non c’è verso. La teoria della congiura non prevede argomenti contro. Qualsiasi elemento di ragionamento tu possa utilizzare è incapace di scalfirla. Anzi, diventa la dimostrazione più evidente della congiura in atto”.
Una forma di paranoia collettiva? “Assolutamente sì. Quello che mi sorprende di più è la concezione dello Stato che accomuna Berlusconi ai suoi sostenitori. Per lui è lo Stato che deve adeguarsi alle sue necessità e ai suoi interessi, non l’opposto. Una visione che per noi in Germania è assolutamente inconcepibile”.
Cos’altro l’ha colpita? “La più totale sfiducia in qualunque partito tradizionale. Talmente diffusa che un principio di delusione si percepisce ormai persino nei confronti dei Cinquestelle. La convinzione che affligge gli italiani è: tanto sono tutti uguali. E questo è il contrario della politica. Il pensiero politico coglie le differenze, quello apolitico tende alle generalizzazioni”.
Vent’anni di berlusconismo ci hanno reso un popolo apolitico? “Non lo so, però questo atteggiamento, largamente diffuso, è pericolosissimo. E lo vedo rispecchiato anche nel dibattito televisivo. Per noi difficile da capire tutto questo. Come parecchie altre cose”.
Quali? “L’età media della vostra classe politica, i rituali di certe trasmissioni come Porta a Porta, il parlarsi addosso della stampa italiana, spesso per quanto riguarda la politica incomprensibile, in un momento così drammatico”.
Come immagina che possa finire? “Non lo so. Per noi il ricatto al presidente della Repubblica – o arriva la grazia per Berlusconi o facciamo cadere il governo – sarebbe impensabile. Una cosa però mi sento di prevederla”.
Prego. “Temo che per la sinistra italiana non finirà bene. Il fatto che anche quando è andata al governo non sia riuscita ad arginare Berlusconi è l’altra parte dell’anomalia italiana. I miei vicini d’ombrellone che votano per il Partito democratico non facevano altro che dire: guarda come si sta sputtanando il Pd. Questo governo, già così, sembra che stia in piedi in funzione del Pdl che pure ha perso le elezioni. Per il Pd non può che finire male. E questo lo dico anche in base all’esperienza tedesca: i governi delle larghe intese fanno male alla sinistra”. La realtà corre veloce. Questa intervista è solamente di otto giorni addietro. La crisi è nell’aria, se non dichiarata la si percepisce. L’irricevibile – almeno a parole, chissà nei fatti futuri - richiesta dell’egoarca di Arcore da parte delle sedicenti forze politiche delle “larghe intese” porterà alla fine del governo del presidente? Non era prevedibile un epilogo simile? Ed i grandi strateghi della politica dove sono finiti? Penso che il grande responsabile di questa situazione sia da ricercare nell’abitatore provvisorio dell’irto colle. Ha voluto ed imposto una soluzione che stava fuori da ogni logica democratica, e dai risultati elettorali. Con il ricatto della sua non ricandidatura al colle. Se ne parlerà di tutto ciò nella cosiddetta “sinistra” o anche questo sarà divorato e sommerso dalla “quasità” del bel paese? Come non aver visto che quella esperienza di governo era l’utilitaristica manovra – per il Pdl, il “Partito di lui” - per una salvacondotto da ottenere a condanna preventivata ed avvenuta? “Come fa la sinistra - quella politica dell’”antipolitica” al potere - a tollerare l’evasore?”. Nel paese della “quasità” è possibile essendo anche quelli della cosiddetta “sinistra” – per come scrive Chiara Saraceno – “una classe politica disponibile ad ogni compromesso per salvare se stessa”.

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