"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 6 luglio 2013

Lamemoriadeigiornipassati. 11 “Quando manca la coscienza”.



“Quando manca la coscienza” Barbara Spinelli lo ha scritto il 6 di luglio dell’anno 2011 sul quotidiano la Repubblica. Di questa rubrichetta senza pretese, allora, non mi sfiorava neanche l’idea. E se è pur vero che tutto in questo mondo sta scritto da qualche parte essa, quell’idea intendo dire, era sicuramente scritta nella mente di un dio dei nostri cieli. È così per noi mortali, arrivare per ultimi anche alle cose che ci riguardano da vicino. Ritrovo quindi quel “pezzo” tra i tantissimi ritagli alla data giusta per infoltire la rubrichetta senza pretese. È che in esso, nel “pezzo” intendo dire, la grande opinionista – e vi sarete certamente accorti che Barbara Spinelli rappresenta per me quasi una Musa ispiratrice – scrive di quella “morale pubblica” che è insufficiente nel bel paese a tutti i livelli, così come parla di un  pre-requisito senza il quale la “morale pubblica” rappresenta un vuoto parlare, un puro esercizio di banalità e di quant’altro ha a che fare con la negazione della cittadinanza matura e responsabile. Scrive infatti: Di che c’è bisogno dunque, per metter fine alla leggerezza del vizio che riproduce sempre nuovi boiardi e nuovi disastri trasversali (…)? Gli ingredienti mancanti sono sostanzialmente due: una memoria lunga della storia italiana, e un’idea chiara di quelle che devono essere le virtù politiche a prescindere dalle norme scritte nel codice penale. La memoria, in primo luogo. Ecco la Memoria che rispunta come necessario pre-requisito perché si crei una democrazia matura. “La memoria dei giorni passati” per l’appunto. È che i nemici della democrazia compiuta hanno da sempre avversato ed avversano la Memoria. È essa a dare sostanza e forme  alla democrazia. Svuotata la Memoria, “scarnificato” a bella posta il pensiero, i nemici della democrazia possono vantare di aver vinto la partita. Scrive Barbara Spinelli che da questa sconfitta della Memoria, ed aggiungo io dalla “scarnificazione” mirata del pensiero, ne diviene qualcosa di veramente terribile per una democrazia: Il fatto è che ci stiamo abituando a restringere la nozione di morale pubblica. L’assimiliamo a una condotta certamente cruciale - l’osservanza delle leggi, sorvegliata dai tribunali - ma del tutto insufficiente. Perché esistano partiti onesti, altri ingredienti sono indispensabili: più personali, meno palpabili, non sempre scritti. Attinenti alle virtù politiche, più che a un dover-essere codificato in norme scritte. Precedenti le stesse Costituzioni. (…). E ritornando alla Memoria specifica: Non si parla qui di un semplice rammemorare. Le celebrazioni ci inondano e forse anche ci svuotano; esistono date che evochi continuamente proprio perché sono stelle morte. Per memoria intendo la correlazione stretta, e vincolante, tra ieri e oggi: ogni atto passato (come ogni omissione) ha effetti sul presente e come tale andrebbe analizzato. Diveniamo responsabili verso il futuro perché lo siamo del passato, di come abbiamo o non abbiamo agito. La coscienza del passato. È l’ingrediente senza il quale il presente si svuota, non ha valore alcuno, e quella mancata coscienza ancor di più priva le società di quella visione del futuro che dovrebbe essere tra le preoccupazioni maggiori per una cittadinanza matura e responsabile. Riprende Barbara Spinelli nel Suo straordinario “pezzo”: Il ragionamento di Tocqueville sull’individuo democratico vale anche per le sue azioni, specialmente politiche: la catena aristocratica delle generazioni viene spezzata, e lascia ogni anello per conto suo. Così come avviene per l’individuo, l’atto -  sconnesso dalla vasta trama dei tempi - “non deve più nulla a nessuno, si abitua a considerarsi sempre isolatamente (…) Ciascuno smarrisce le tracce delle idee dei suoi antenati o non se ne preoccupa affatto. Ogni nuova generazione è un nuovo popolo (…). La democrazia non solo fa dimenticare a ogni uomo (a ogni azione) i suoi avi, ma gli nasconde i suoi discendenti e lo separa dai suoi contemporanei: lo riconduce incessantemente a sé stesso e minaccia di rinchiuderlo per intero nella solitudine del suo cuore” (…). Il secondo ingrediente, essenziale, è la virtù personale del politico. Indipendentemente dal codice penale, essa dovrebbe escludere frequentazioni di mafiosi, (…), assuefazione infine alla droga che è il conflitto d’interessi. (…). Lo scandalo esiste solo quando la magistratura interviene: qui è il male italiano (…), e per questo è urgente pensare la morale pubblica. Il mondo si rimette nei cardini così: individuando il punto dove la legge non arriva, e però cominciano le indecenze, le cattive frequentazioni, la triviale leggerezza del politico. Non tutte le condotte sono perseguibili penalmente (…) ma politicamente non denotano né probità né prudenza: due virtù fra loro legate. Si parla di giustizialismo, del potere dei giudici sulla politica. Se questo accade, è perché la morale pubblica ha come unico recinto la magistratura, e non anche la coscienza. Borsellino ha detto, in proposito, cose che restano una bussola: “La magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire: ci sono sospetti, anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica (…). Però siccome dalle indagini sono emersi fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi”. Se le conseguenze non sono state tratte, “è perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza”. (La presenza di grossi sospetti) “dovrebbe quantomeno indurre, soprattutto i partiti politici, non soltanto a essere onesti ma a apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti anche non costituenti reati”. Era questo il fresco profumo di libertà che augurava all’Italia, prima d’esser ammazzato. Non era flatus vocis, il suo, anche se è stato preso per tale da un’intera classe politica. (…). E su questi temi sembra sia disceso il più gelido degli “inverni”. È l’”inverno” della democrazia. Gelido.

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