"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 2 luglio 2013

Lamemoriadeigiornipassati. 10 “I burattini del Cavaliere”.



Fossimo rimasti ad una cultura orale, così come avviene ancor oggi in tantissime comunità di umani, ci saremmo perso questo straordinario “pezzo” di Curzio Maltese che ha per titolo “I burattini del cavaliere”. Perso, per l’appunto. Senza lasciare traccia alcuna. Siamo per fortuna – ma non so se sia stata una fortuna per tutti - approdati ad una cultura dello scrivere e del tramandare che ci permette, ogni qualvolta lo si voglia, di ripercorrere un tratto delle nostre esistenze andando semplicissimamente a rileggere quanto vergato. È il trionfo della memoria. Della memoria “certa”, per la qual cosa tutti si arrogano il diritto, se non il privilegio, di sentirsi latinisti sino in fondo. Ed allora tutti a sentenziare “verba volant, scripta manent”, per l’appunto. Ma valle a pescare la volontà, o solamente la misera voglia, di ripercorrere i tratti della nostra esistenza attraverso la scrittura. Scriveva il 15 di settembre dell’anno 1998 – quant’è remoto quel tempo! - Furio Colombo su la Repubblica – “Perché in Italia non si leggono libri?” -: In Italia non si legge perché la nostra è una cultura orale. Tutto è tramandato a orecchio. Leggere obbligherebbe alla precisione. In Italia non si legge perché la nostra è una cultura di mediazione. La mediazione non ama la pagina scritta. La mediazione si fa meglio a voce. In Italia non si legge per non esporsi a rischi. La frase “qui lo dico, qui lo nego” è il più potente slogan contro il libro. Ti induce a diffidare della irrevocabile pagina scritta. Ne ha ben ragione. È come se la memoria ci facesse paura. Una paura da matti. È che non si vuol fare i conti con essa. E con le nostre irresponsabilità. Personali e di cittadinanza. Punto e basta. Sembra che quell’antico proverbio abbia tratto le sue origini da un discorso tenuto da un certo Caio Tito al senato di Roma; è che, con esso, il proverbio intendo dire, si voleva consigliare prudenza nello scrivere poiché, mentre le parole si dimenticano con facilità, la memoria scritta rimane per l’appunto e può sempre divenire documento incontrovertibile. La memoria per l’appunto. E più oltre scriveva Furio Colombo: In Italia non si legge perché c’è la televisione da guardare parlando. E quasi in chiusura: In Italia non si legge perché abbiamo capito che non leggono quelli che intervengono, che propongono, che precisano, che rettificano, che dichiarano, che affermano, che negano, che ribadiscono. Eppure ritornano sui giornali e in televisione ogni mattina. Straordinarie intuizioni! Ha scritto Giovanni Valentini sul quotidiano la Repubblica del 29 di giugno 2013 (l’altro ieri) – “L'ultimo atto del berlusconismo” -: Una cultura o sottocultura inoculata, tramite il messaggio della tv commerciale, dall'individualismo, dall'edonismo e dal consumismo esasperato. Una mentalità collettiva, diventata senso comune e codice di comportamento. (…). …le responsabilità di Berlusconi nel degrado civile del nostro Paese sono (…) palesi ed evidenti. Innanzitutto, il fallimento di una "rivoluzione liberale" più volte promessa e annunciata, ma mai realizzata. E in secondo luogo, una progressiva disgregazione di principi e valori per definire la quale non basta neppure la sfera morale. (…). …la tv commerciale è stata prima lo strumento principale per plasmare e forgiare una nuova "coscienza comune" e poi per aggregare e raccogliere il consenso politico. Il nostro è diventato così un popolo di teledipendenti, narcotizzati dall'imbonimento pubblicitario e ipnotizzati dalle suggestioni propagandistiche del berlusconismo d'assalto e di governo. Lo stesso Cavaliere, (…), ha incarnato il prototipo dell'italiano medio: l'arci-italiano che tende a non rispettare le regole, a evadere o eludere le tasse, a cercare favori o privilegi, a truffare o frodare l'apparato statale. È stata – (…) - un'opera di corruzione generalizzata, dissimulata dietro un programma di "liberazione nazionale" che in realtà ha provocato un'involuzione e un regresso. Con la complicità più o meno inconsapevole delle forze che non sono state capaci di proporre un'alternativa valida e convincente, la retorica berlusconiana ha potuto perciò dilagare contagiando perfino una parte dello schieramento opposto. Oggi il Paese esce stremato e disfatto da questo ventennio, non meno infausto di quello del regime fascista. Privo di un'etica pubblica, indebolito nel suo senso di appartenenza, fiaccato nelle ragioni della convivenza civile. Un Paese più povero e insicuro, allo sbando, senza un orizzonte e un futuro da offrire alle giovani generazioni. (…). L’impresa è compiuta. Vorremmo proprio che l’auspicio contenuto nella nota di Giovanni Valentini si realizzasse, ovvero che i sussulti di questi giorni rappresentassero “l'ultimo atto del berlusconismo”. Ne dubito assai. L’uomo è pericolosamente attivo. E le sue “marionette”, per dirla con Curzio Maltese, sono lì a dargli man forte poiché dalla sopravvivenza dell’egoarca di Arcore dipende la loro. Andiamo a rileggerci il “pezzo” di Curzio Maltese che è del 2 di luglio – per l’appunto - dell’anno 2011: Nell´attesa, nella noia del tempo libero, Berlusconi s´è messo dunque a fabbricare marionette. Alcune gli si sono rotte fra le mani, come Capitan Terremoto, al secolo Guido Bertolaso, e il ministro della polemica inutile, Renato Brunetta. Altre gli sono venute malissimo fin dal principio, per esempio quel Frattini del quale si vedono troppo i fili. Altre ancora reggono, come il fantoccio di Umberto Bossi, ridotto ormai a maschera regionale della commedia dell´arte, al governo da un decennio, ma sempre bravissimo a fingere ogni mese di farlo cadere. Un piccolo capolavoro è il burattino di Giulio Tremonti, il Quintino Sella de’ noantri, che ha riscosso successo anche presso le scolaresche di sinistra. Fenomenale l´ultimo show di Giulietto che, manovrato dall´alto dal Mangiafuoco di Arcore, ha presentato la finanziaria del proprio successore, spiegando che il risanamento dei conti pubblici si faranno «nel medio termine». Quando, come diceva il grande John Maynard Keynes, saremo tutti morti. Nel magazzino di Mangiafuoco si contano poi centinaia di altri piccoli pupi a forma di giornalista, dirigente Rai, ministro e ministra, deputato «responsabile», ma non vale nemmeno la pena di parlarne. Angelino Alfano è una via di mezzo fra Tremonti e Frattini, ma con il rischio di finire come Bertolaso. Per quanto siciliano, non appartiene alla grande e coloratissima tradizione dei pupari, ma piuttosto alla più grigia genia delle marionette da ventriloquio. Certi giorni però può sembrare che parli davvero di suo. Ti accorgi che non è vero perché, non appena esprime un giudizio all´apparenza autonomo, subito ci attacca un lungo (auto) elogio di Berlusconi. Talvolta con lieve inflessione milanese. (…). Il suo programma è di fare del Pdl il partito degli onesti, al cui confronto l´utopia di Tommaso Moro era uno scherzo. Berlusconi muove i fili, assistito da qualche Bisignani, e sta alla cassa. Non può più presentare la propria faccia, per quanto ritoccata, deve affidarsi a maschere e burattini e perfino fingere di guidare un partito democratico. Questo è già qualcosa. Lo spettacolo non è gran cosa, ma i biglietti sono omaggio. L´impressione però è che alla lunga ci costerà moltissimo. E come dicevano i latini, “iam”. E già!

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