"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 15 luglio 2013

Doveravatetutti. 8 “Una generazione di padri puerili”.



Scrive Curzio Maltese sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 12 di luglio – “La lenta caduta del leader che lascia dietro di sé un Paese alla bancarotta” -: Una generazione di padri puerili dovrà spiegare a una generazione di figli resa adulta dalla crisi le strane ragioni per cui un Paese ricco di talenti e di risorse si sia ridotto a un passo dalla bancarotta per inseguire i sogni ignoranti di un imbonitore televisivo, di un peracottaro nemmeno così affascinante e geniale come l’hanno dipinto servi e nemici. Una nazione non soltanto rimbecillita, ma torvamente rimbambita. Attraverso il quotidiano esercizio di un astio derisorio nei confronti di ogni forma di intelligenza, eccellenza, rigore morale. Il peggio non sono state una politica economica inesistente e una politica estera da buffoni, ma la sistematica svalutazione di ogni valore di civiltà e cultura. Per vent’anni si è raccontato ai giovani che non vale la pena di studiare e migliorarsi perché altre erano le strade verso il successo. Lo scandalo vero di Berlusconi non sono Ruby e le altre ragazzine alle cene di Arcore, ma la Gelmini ministro dell’Istruzione (e del tunnel scavato dalla Svizzera al Gran Sasso n.d.r.). Il risultato di questa egemonia anti culturale è devastante. Se proviamo a far di conto la domanda del Nostro è rivolta a tutti quei padri che al tempo della sciagurata “discesa in campo” avevano figli e figlie, oggi trentenni o ancor di più avanti negli anni, che oggigiorno pagano le conseguenze di quell’obnubilamento delle coscienze e delle menti. “Una generazione di padri puerili” li definisce l’illustre opinionista. E non sbaglia. Ma anche prima il Nostro non mancava di segnalare, a chi avesse avuto voglia e prontezza per raccogliere le segnalazioni che da tante parti pur provenivano, la pessima piega che la mala gestione della cosa pubblica aveva assunto nel bel paese. Voce nel deserto. Ecco perché il “doveravatetutti” per quei padri dovrebbe risuonare alto e forte. Le cose nella Storia non accadono per caso. Esse si costruiscono lentamente nel bene o nel male. Non vale poi dolersene come se quelle cose accadute ci siano piovute da un cielo lontano ed ostile. Non è giusto. È la solita operazione di sottrazione alle proprie responsabilità. Una pratica diffusa assai. Oggigiorno si scopre come quelle responsabilità siano state inesistenti a causa di “una generazione di padri puerili” persa, quella sì, dietro l’incantatore di turno. Ho ritrovato tra i miei ritagli un altro pezzo di Curzio Maltese. Esso risale al 28 di gennaio dell’anno 2011, dieci mesi prima che l’egoarca di Arcore venisse sfiduciato e mandato via dai mercati. Dai mercati. A quel tempo Curzio Maltese titolava il Suo pezzo, sempre per il settimanale “il Venerdì di Repubblica”, “Qui finisce l’avventura dell’«AlbertoSordi» made in Brianza”. Ed in quel titolo si formulava, con due anni d’anticipo, l’auspicio che quella avventura giungesse al suo termine. Non è stato così. Oggigiorno ci si ritrova con “l’«AlbertoSordi» made in Brianza” a fare il governassimo della “larghe intese”. Quali “larghe intese”? Su nulla. Se non nel rimandare le decisioni ad un domani che sarà sempre un altro giorno. Forse perso. Ma i figli di quei “padri puerili” ne pagano amaramente le conseguenze. Scriveva allora Curzio Maltese: La parola chiave per capire il quasi ventennio berlusconiano è nostalgia. Il contrario della sbandierata modernità. Era ed è una vecchia Italia quella che si è nascosta per diciassette anni dietro la maschera e la bandiera di Berlusconi. Vecchio, a sua volta, fin dalla prima apparizione. Il messaggio della discesa in campo, lui col doppiopetto e gli slogan degli anni Cinquanta, l’anticomunismo, il «ghe pensi mi», «mi sono fatto da solo», «la trincea del lavoro», il boom economico. Vecchio nel modo di parlare, di essere, di vestire, di vivere e divertirsi, di fare televisione. Con tutti i vizi di una generazione cresciuta negli anni Cinquanta, la misoginia camuffata da dongiovannismo, il chiagni e fotti, il fiero disprezzo per la cultura, l’assenza di autentico umorismo dei barzellettieri, un’autoindulgenza spinta fino ai deliri del narcisismo assoluto. Anche i pregi, certo: la tenacia, l’incredibile capacità di lavoro, la combattività, il vitalismo. Un albertosordi della Brianza, assai poco innovativo come imprenditore, rispetto a tanti colleghi del Nord. Ma tanto più sveglio nel profittare, come avrebbe detto Gadda, del corto circuito politico-professionale. Naturalmente, con la retorica qualunquista dell’antipotere, di quello fuori dai giri. Nel privato, un ometto ricchissimo, con la villona alle spalle e la moglie bella, le battute da capufficio bauscia, il rimpianto per i bei bordelli d’una volta, il gusto per la finta canzone napoletana e la greve imitazione degli chansonnier francesi. Letture zero, libri intonsi da arredamento. In breve, l’incarnazione del sogno di molti connazionali. Fondò il «moderno» impero televisivo portando a Canale 5 Mike Bongiorno, pensionato Rai, sdoganando le maggiorate, serie di telefilm dismesse dagli americani, un catafalco dei mezzibusti come Emilio Fede. Nel momento più critico di Tangentopoli, alla vigilia di una svolta possibile nel Paese e inevitabile nel resto del mondo dopo la caduta del Muro, Berlusconi ha intercettato la nostalgia della maggioranza. Nostalgia di tutto, degli anni Ottanta appena finiti, del boom economico, del comunismo e dell’anticomunismo e sempre del fascismo, di un’Italia da 1948, di un’America e di mondo che non sarebbero mai più stati come una volta. Nella ferma determinazione a ignorare i temi veri della modernità, le nuove competizioni, l’immigrazione di massa, le rivoluzioni tecnologiche, i mutamenti sociali. Per sua fortuna, i capi avversari erano un gruppo di bolsi ex dirigenti del Pci. Ha foderato questa nostalgia con una modernità di facciata e gli hanno perdonato tutto. La bolla di sapone che ora esplode, rivelando il vuoto. Ecco quale è stato il miracolo del Cavaliere di Arcore: fermare il tempo a quella “vecchia Italia” che non esisteva più e che non poteva capire i processi planetari che andavano ad imporsi. Un vecchio dentro e fuori che, grazie all’ignavia di quei “padri puerili” catturati dalle sue fallimentari invenzioni, ha potuto determinare il destino di un intero Paese. Ma la Storia non fa sconti a nessuno, né tanto meno a chi ha voluto crogiolarsi nelle illusioni proprie di una condizione puerile. Il conto è questo oggigiorno, salato ed amarissimo. Il grosso guaio è che in quella “bolla di sapone” della quale parla Curzio Maltese  ci siamo colpevolmente ricacciati. Ed oggi non ci sono più scusanti che tengano. Per la puerile disattenzione. Ed i “padri puerili” stanno sempre lì, invecchiati e imbolsiti a piangere su un destino cinico e baro. “Padri puerili” allora, “padri puerili” oggi. Senza nerbo. Senza idee. La “scarnificazione” del pensiero è avvenuta. E come!

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