"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 29 luglio 2013

Cronachebarbare. 17 Se foste Voi il giudice.



Se foste Voi il giudice. Scrive in “punta di diritto” Bruno Tinti su “il Fatto Quotidiano” del 27 di luglio 2013 – “Fisco, si fa presto a dire «necessità»” -: La legge prevede da millenni le cosiddette “scriminanti”, dette anche “cause di giustificazione”. Tra queste c’è lo “stato di necessità”, art. 54 del codice penale: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. Come sempre, l’interpretazione della legge va fatta con attenzione. Fin qui il fine giurista. Ed il costume di un paese? Anzi il malcostume? Due fatti. Incontro l’amico divenuto nel tempo intraprendente imprenditore. Avrò il fatto già raccontato. Da artigiano è divenuto nel tempo un “rampante”. Gira in Suv nera, come prescritto. Non ha la semplicità di un tempo ma è divenuto sussiegoso. Il nuovo stato ne ha fatto una persona diversa. In quell’occasione ha avuto modo di deplorare uno Stato vampiro a suo dire. Ché, spiega, se lui non avesse evaso gli obblighi fiscali non avrebbe potuto realizzare quel che ha realizzato. Cose da inorridire. Dette con una sfrontatezza che non ha eguali. Alla mia risposta intransigente che non vi era giustificazione alcuna all’evasione degli obblighi fiscali – nel contempo il rampante usufruisce di tutti i servizi di uno stato sociale colabrodo – pur di divenire un nuovo rampante in Suv, non ne è apparso pienamente convinto ed il suo saluto è stato, nell’occasione laconico e senza il calore emotivo di altre occasioni. Il suo “stato di necessità”? Ampliare la sua attività di imprenditore. Ma al contempo, senza vergogna alcuna, godere dei servizi e dei sussidi dello stato sociale pagato dagli altri. Aggiunge Bruno Tinti: Il pericolo deve essere attuale (l’attualità è variabile: ho fame oggi; il bilancio chiuderà in perdita tra un anno); se non è così, c’è tempo di cercare soluzioni alternative. Il danno deve essere grave, per restare all’esempio, abbiamo fame, i bambini sono ammalati, l’azienda chiude sicché io non guadagnerò più una lira e i dipendenti perderanno il posto di lavoro. Il fatto (illecito) deve essere proporzionato al danno: se il problema è che non posso cambiare l’automobile o andare in vacanza; o che devo abbandonare la casa per andare ad abitare in una più piccola; in questi casi non potrò invocare la scriminante: non ho un diritto insopprimibile a vivere agiatamente. Ma soprattutto il pericolo non deve essere volontariamente causato. Questo è il punto fondamentale. Se ho vissuto come un nababbo negli anni grassi senza accantonare riserve o se ho fatto investimenti imprudenti; allora non posso scaricare sulla collettività le conseguenze delle mie scelte sbagliate, appropriandomi dei soldi dello Stato o facendo mancare il mio contributo, obbligatorio ex art. 53 della Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. (…). Cosa succederebbe se si potesse impunemente rubare un sandwich, giustificandosi poi con la Polizia dicendo: “Avevo fame”? Magari è anche vero. Ma se hai in tasca un pacchetto di sigarette che ti è costato 4 euro, la risposta sarà: “E perché non hai comprato pane invece di sigarette?”. Naturalmente questo è solo un esempio; ma bisogna rendersi conto che lo “stato di necessità” è una cosa seria: proprio non si può fare altrimenti; e non deve essere colpa tua se non si può. Fassina forse non lo sapeva. (…). Se Voi foste il giudice. Dall’imprenditore rampante, senza doveri sociali, ad una storia minima condominiale. La solita noiosissima, interminabile “riunione condominiale”. Bla, bla, bla… Ed il solito caso del condomino moroso. Che espone il suo “stato di necessità”. In questi termini precisi: che sia preferibile comprare il ciclo al figlioletto che pagare le mensilità al condominio. Ma intanto usufruisce dei servizi che il condominio provvede ad elargire. Fatto avvenuto nel nostro condominio. Se Voi foste il giudice. In “punta di diritto” Bruno Tinti scrive: Avrebbe senso dire: “Rubare un pezzo di formaggio quando si ha fame è una questione di sopravvivenza”? La risposta giusta è: “Dipende”. L’analogia ha due meriti. Consente di ragionare senza ostacoli ideologici: tutti (o quasi) sono convinti che rubare non sta bene. E poi permette di riflettere sul fatto che una gran parte dell’evasione (quella che riguarda l’Iva o le ritenute d’acconto) consiste nell’appropriarsi di soldi non propri: non si tratta dei ricavi dell’imprenditore o del lavoratore autonomo ma di quattrini che egli riceve perché li consegni al Fisco (Iva) o che egli dovrebbe consegnare al dipendente affinché questi li consegni al Fisco e che invece deve versare direttamente (ritenute). Insomma, molto simile al furto. Allora, perché “dipende”? (…). Il Tribunale di Trento ha ravvisato la scriminante dello stato di necessità nel caso di un imprenditore i cui creditori non avevano pagato, privando l’azienda di ogni liquidità e cagionandole una crisi gravissima. Il Gip di Milano ha sostenuto la stessa tesi nel caso di altro imprenditore, vittima dell’inadempimento della Pubblica Amministrazione. Il Tribunale di Milano ha valorizzato la storia economica dell’azienda e le difficoltà, non a questa imputabili, che le avevano impedito l’assolvimento degli obblighi fiscali. Qual è la differenza tra queste sentenze e l’improvvida affermazione di Fassina? I giudici hanno dichiarato non punibile l’inadempimento fiscale dopo un’indagine approfondita sulla condotta del contribuente, accertando che la situazione di illiquidità non era attribuibile a lui e valutando le conseguenze che ne sarebbero derivate sull’azienda. Il che vuol dire: non versare Iva e ritenute non si può fare, è reato; se non si è versato è perché condotte di terzi, non prevedibili (esiste debitore più affidabile della Pa? E, evidentemente, i debitori dell’imprenditore di Trento meritavano fiducia) lo hanno reso impossibile; una condotta diversa avrebbe cagionato danni gravi, proporzionati a quello cagionato al Fisco. Fassina ha spiegato ai cittadini che B aveva ragione: oltre un certo livello (soggettivo naturalmente: ma come, volete che mi venda la Porsche?) evadere è legittimo. Meglio se se ne stava zitto. Se Voi foste il giudice. Anni addietro Marco Pannella avviò una iniziativa politica affinché venisse abolita la ritenuta fiscale alla fonte a carico dei lavoratori dipendenti – del pubblico e del privato - da riversare all’erario. Si ritenne, dai più della mia parte politico-sindacale, me compreso, improvvida l’iniziativa e non meritevole di sostegno alcuno. A distanza di tantissimi anni, da quel tempo andato, quella iniziativa non mi appare più tanto peregrina. A pensarci bene la fascia sociale del lavoro dipendente non ha mai potuto godere di una “stato di necessità”. Ad ogni inasprimento fiscale, ad ogni torchiatura delle buste paga, ad ogni manovra o manovrina quel parco buoi non ha avuto altro scampo che stringere ancor più la cinghia. Mentre tutto il resto dei rampanti ha provveduto di per sé a creare e fare proprio uno “stato di necessità”. Evadendo. Mollando lo stato sociale ma continuando a godere dei servizi da esso elargiti. Se Voi foste il giudice. Ha scritto Tito Boeri, in “La sopravvivenza dei furbi”, sul quotidiano la Repubblica del 26 di luglio 2013: L’economia sommersa, l’insieme di attività svolte senza pagare tasse e contributi sociali, conta tra un sesto e un quarto del nostro prodotto interno lordo, a seconda della stime. (…). È una piaga nazionale, un fardello che pesa sulla parte più avanzata del nostro tessuto produttivo, localizzata soprattutto nel Nord del paese, costringendola a pagare anche le tasse degli altri (…). Allontana la soluzione dei problemi del Mezzogiorno. Perché l’illegalità alimenta altra illegalità ben più grave: è proprio sullo smercio delle produzioni del sommerso economico che spesso vive e vegeta la criminalità organizzata, come ci ha spiegato con rara efficacia Roberto Saviano. Il sommerso viene storicamente tollerato in Italia. (…). È comprensibile che non si voglia forzare alla chiusura imprese in un momento come questo. Ma perché dobbiamo farne pagare lo scotto alle aziende, anche queste piccole per lo più, che sono in regola? Non sarebbe meglio ridurre la pressione fiscale sul lavoro per tutte le imprese e, al tempo stesso, rafforzare i controlli? La verità non detta da Fassina e da chi ieri lo ha applaudito è che chi oggi vuole abolire le tasse sulla casa, anziché quelle sul lavoro, e vuole tollerare maggiormente l’evasione, ha scelto di far pagare di più le tasse a chi le ha sempre pagate. È una scelta di politica economica conseguente, che ha accomunato i governi di centro-destra, che hanno in gran parte gestito la politica economica in Italia negli ultimi 15 anni. Ieri abbiamo avuto da parte di un sottosegretario aspirante segretario del Pd, un sorprendente segnale di continuità con quelle politiche. (…).

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