F. V. – oppure V. F. come meglio
vi garba - è paziente. F. V. è meglio conosciuto come “Enzo”. Con pazienza
infinita stamane lavora con pettine e forbici per riportare la mia chioma in
uno stato di passabile accettazione. È che F. V. ha esercitato la virtù della
pazienza per anni ed anni, affinché non avesse a scontentare la sua clientela.
Ed ha affinato la sua pazienza sino ad un punto tale che alla mia domanda, –
sempre la stessa, di quando rientrato a ********* immancabilmente vado a fargli visita per
ottenerne la prestazione sua professionale –, “come vanno le cose” la sua risposta è immancabilmente da sempre “si lotta”. F. V. è una vita che lotta.
Salvando il poco che sia riuscito a costruire o, come suol dirsi, a mettere da
parte qualcosa. Ma stamane mi va di parlargli di un qualcosa di cui non abbiamo
mai parlato. E gli parlo di quella lotta di classe all’incontrario che qualcuno,
o i tanti che vivono di ben altre risorse, hanno condotto, subdolamente, contro
tutti i F. V. di questo pianeta chiamato Terra. È che prima di andare ad
accomodarmi sulla poltrona del suo esercizio avevo finito di leggere l’ultima
corrispondenza di Vittorio Zucconi dagli Stati Uniti d’America – “Ai figli dei ricchi non far sapere”,
sul settimanale “D” del 29 di giugno 2013 -: Se per il tuo sedicesimo compleanno,
per esempio, anziché un disperato clown che fa i palloncini a forma di cane o
lo zio che si atteggia a mago, ti arriva a casa Elton John per cantarti Happy
Birthday come alla figlia di Bernie Ecclestone, magari il dubbio di essere
molto ricca può venire. Se a nove anni di età la mamma Indiana ti regala una
Ferrari 430, non quelle in pressofusione scala 1:18, ma una vera e te la lascia
guidare e sfasciare, anche se non sei un genio precoce, magari lo intuisci. E
quando babbino affitta per te l'intera Disneyland per tre giorni al costo di 20
milioni di dollari per il compleanno, come il principe Saudita Fahd al Saud, il
sospetto che la famiglia non viva di assistenza sociale deve venire. Ai più
tonti, il banchiere Keith Banks (a volte, i nomi...), presidente della
finanziaria principale che si occupa di gestire ricchezze, la U.S. Trust Bank,
raccomanda il compimento del ventesimo anno, come la data giusta per rivelare
non che siano ricchi, cosa che a quel punto i rampolli dovrebbero avere capito,
ma quanto lo siano. La metà dei multi milionari o miliardari indicano invece i
25 anni, come età giusta per rivelare quanto enorme sia il tesoro di famiglia e
come amministrarlo, per evitare la nota maledizione in base alla quale "la
prima generazione fa i soldi, la seconda li mantiene e la terza li perde".
È che tutti gli altri rampolli di questo pianeta chiamato Terra che non
facciano parte di quell’1% e che rappresentano quindi quel 99% in nome del
quale si è combattuto in Zuccotti Park, quei figli del 99% non hanno di questi
problemi, ché la miserevole condizione nella quale la “crisi” li ha cacciati è
presente da sempre ai loro occhi. Non abbisognano di consulenti per scoprire
una condizione che è andata a peggiorare nel corso di questo inizio di ventunesimo
secolo. Dicevo ad Enzo di come la forbice economico-sociale si sia
spaventosamente divaricata all’interno dei corpi sociali. E gli riportavo quei
dati per i quali il rapporto tra i manager e le maestranze si fosse attestato,
nel bel mezzo del secolo ventesimo, in un 40 a 1 che risultava al tempo socialmente
accettabile. È che a quel tempo l’ascensore sociale funzionava, la promozione
dalle classi sociali inferiori si realizzava con una certa speditezza nel
mentre che il capitalismo manifatturiero avviava la ricostruzione post-bellica
e lo stato sociale faceva i suoi primi incerti passi. Poi la lotta di classe all’incontrario
condotta dall’1%, della quale pedagogicamente mi propongo di parlarne stamane ad
Enzo nel suo salone di “acconciature maschili”,
per come recita la targa luminosa all’esterno. Quel rapporto di ricchezza
manager-maestranze intanto, senza darlo a vedere, è volato ad un 400 a 1. E non si ha motivo
di sperare che si arresti e che auspicabilmente tenda a ridursi. Non avverrà!
Poiché la lotta di classe all’incontrario si conduce oggigiorno da posizioni
insostenibili per la parte più debole dei corpi sociali. Sostiene Goffredo Fofi
in “La vocazione minoritaria”, - Laterza
editore (2009); pagg. 165; € 12,00 -: “Una delle astuzie della società attuale –
almeno in Italia – è di aver convinto i poveri ad amare i ricchi, a idolatrare
la ricchezza e la volgarità. In passato i poveri solitamente non amavano i
ricchi: li si convinceva, anche con la forza, a sopportare la loro condizione,
si tollerava anche che peccassero di invidia, al più li si spaventava con la
prospettiva delle pene dell’inferno. Negli anni Ottanta, negli anni di Craxi, è
esplosa invece una cosa del tutto nuova: la tendenza a negare le differenze tra
i ricchi e i non ricchi, a far sì che i non ricchi si pensino ricchi, che amino
i ricchi come maestri di vita, come modelli assoluti di cui seguire ogni
esempio. (…)”. Il grande abbaglio degli anni Ottanta del secolo
ventesimo, gli anni “da bere”. Iniziava a consumarsi tutto lo slancio di promozione
sociale che ha condotto le società dell’Occidente industrializzato e
cristianizzato al “default” di oggi, “default” che vuole che a pagarne il
prezzo più alto siano i “cristi” del 99%. Messo in riga il capitalismo
manifatturiero varchi sempre più ampi si sono aperti a quel capitalismo
finanziario che ha condotto la “crisi” a divenire planetaria. Nell’imperativo
dell’oggi – l’insano “mordi e fuggi” -, senza responsabilità sociali e senza un
progetto che guardi lontano alle generazioni future si concretizza tutto il
pensiero – o il sotto-pensiero - di quel liberismo che dalla dama di ferro agli
ultimi rampanti della finanza ha voluto caparbiamente intraprendere quella
lotta di classe all’incontrario della quale in pochi hanno tutt’oggi contezza.
Ha scritto Luciano Gallino sul quotidiano la Repubblica del 26 di giugno
dell’anno 2013 – “La macchina cieca dei
mercati finanziari” -: Nel mondo circolano oltre 700 trilioni di
dollari (in valore nominale) di derivati, di cui soltanto il dieci per cento, e
forse meno, passa attraverso le borse. Il resto è scambiato tra privati, come
si dice “al banco”, per cui nessun indice può rilevarne il valore. Ma anche per
i titoli quotati in borsa le cose non vanno meglio. Infatti si stima che le
transazioni che vanno a comporre gli indici resi pubblici riguardino appena il
40 per cento dei titoli scambiati; gli altri si negoziano su piattaforme
private (soprannominate dark pools, ossia “bacini opachi” o “stagni scuri”) cui
hanno accesso soltanto grandi investitori. Di quel 40 per cento, almeno quattro
quinti hanno finalità puramente speculative a breve termine – niente a che
vedere con investimenti “pazienti” a lungo termine nell’economia reale. Non
basta. Di tali transazioni a breve, circa il 35-40 per cento nell’eurozona, e
il 75-80 per cento nel Regno Unito e in Usa, si svolgono mediante computer
governati da algoritmi che esplorano su quale piazza del mondo il tale titolo
(o divisa, o tasso di interesse o altro) vale meno e su quale vale di più, per
avviare istantaneamente una transazione. L’ultimo primato noto di velocità dei
computer finanziari è di 22.000 (ventiduemila) operazioni al secondo, ma è
probabile sia già stato battuto. Ne segue che chi parla di “giudizio dei
mercati” dovrebbe piuttosto parlare di “giudizio dei computer”. Con il relativo
corredo di ingorghi informatici, processi imprevisti di retroazione, episodi
d’imitazione coatta, idonei a produrre in pochi minuti aumenti o cadute
eccessive dei titoli, del tutto disconnessi da fattori reali. In sostanza, i
mercati finanziari presentati al pubblico come fossero divinità scese in terra,
alla cui volontà e giudizio bisogna obbedire se no arrivano i guai, sono in
realtà macchine cieche e irresponsabili, in gran parte opachi agli stessi
operatori e ancor più ai regolatori. E, per di più, pateticamente inefficienti.
Soltanto dal 2007 in
poi la loro inefficienza è costata a Usa e Ue tra i 15 e i 30 trilioni di
dollari. (…). …se in effetti sono i mercati ad essere dissennatamente
indisciplinati, perché mai continuate a raccontarci che se noi cittadini non ci
assoggettiamo a una severa disciplina in tema di pensioni, condizioni di
lavoro, sanità, istruzione, i mercati ci puniranno? Scenari
inquietanti. Scenari che non possono entrare nella sfera del sensibile
dell’uomo della strada. “700 trilioni di dollari”. Di
purissima attività finanziaria. È tutto fuori misura. Quel rapporto di 400 a 1 è solamente una
tappa. Dove dovrà arrivare affinché tutti gli F. V. di questo pianeta smettano
di dire “si lotta”? Senza lottare.
Forse perché ridotti a non avere speranza alcuna? È così che si incrina il
rapporto tra capitalismo e democrazia.
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