"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 4 luglio 2013

Capitalismoedemocrazia. 36 Dal barbiere.



F. V. – oppure V. F. come meglio vi garba - è paziente. F. V. è meglio conosciuto come “Enzo”. Con pazienza infinita stamane lavora con pettine e forbici per riportare la mia chioma in uno stato di passabile accettazione. È che F. V. ha esercitato la virtù della pazienza per anni ed anni, affinché non avesse a scontentare la sua clientela. Ed ha affinato la sua pazienza sino ad un punto tale che alla mia domanda, – sempre la stessa, di quando rientrato a *********  immancabilmente vado a fargli visita per ottenerne la prestazione sua professionale –, “come vanno le cose” la sua risposta è immancabilmente da sempre “si lotta”. F. V. è una vita che lotta. Salvando il poco che sia riuscito a costruire o, come suol dirsi, a mettere da parte qualcosa. Ma stamane mi va di parlargli di un qualcosa di cui non abbiamo mai parlato. E gli parlo di quella lotta di classe all’incontrario che qualcuno, o i tanti che vivono di ben altre risorse, hanno condotto, subdolamente, contro tutti i F. V. di questo pianeta chiamato Terra. È che prima di andare ad accomodarmi sulla poltrona del suo esercizio avevo finito di leggere l’ultima corrispondenza di Vittorio Zucconi dagli Stati Uniti d’America – “Ai figli dei ricchi non far sapere”, sul settimanale “D” del 29 di giugno 2013 -: Se per il tuo sedicesimo compleanno, per esempio, anziché un disperato clown che fa i palloncini a forma di cane o lo zio che si atteggia a mago, ti arriva a casa Elton John per cantarti Happy Birthday come alla figlia di Bernie Ecclestone, magari il dubbio di essere molto ricca può venire. Se a nove anni di età la mamma Indiana ti regala una Ferrari 430, non quelle in pressofusione scala 1:18, ma una vera e te la lascia guidare e sfasciare, anche se non sei un genio precoce, magari lo intuisci. E quando babbino affitta per te l'intera Disneyland per tre giorni al costo di 20 milioni di dollari per il compleanno, come il principe Saudita Fahd al Saud, il sospetto che la famiglia non viva di assistenza sociale deve venire. Ai più tonti, il banchiere Keith Banks (a volte, i nomi...), presidente della finanziaria principale che si occupa di gestire ricchezze, la U.S. Trust Bank, raccomanda il compimento del ventesimo anno, come la data giusta per rivelare non che siano ricchi, cosa che a quel punto i rampolli dovrebbero avere capito, ma quanto lo siano. La metà dei multi milionari o miliardari indicano invece i 25 anni, come età giusta per rivelare quanto enorme sia il tesoro di famiglia e come amministrarlo, per evitare la nota maledizione in base alla quale "la prima generazione fa i soldi, la seconda li mantiene e la terza li perde". È che tutti gli altri rampolli di questo pianeta chiamato Terra che non facciano parte di quell’1% e che rappresentano quindi quel 99% in nome del quale si è combattuto in Zuccotti Park, quei figli del 99% non hanno di questi problemi, ché la miserevole condizione nella quale la “crisi” li ha cacciati è presente da sempre ai loro occhi. Non abbisognano di consulenti per scoprire una condizione che è andata a peggiorare nel corso di questo inizio di ventunesimo secolo. Dicevo ad Enzo di come la forbice economico-sociale si sia spaventosamente divaricata all’interno dei corpi sociali. E gli riportavo quei dati per i quali il rapporto tra i manager e le maestranze si fosse attestato, nel bel mezzo del secolo ventesimo, in un 40 a 1 che risultava al tempo socialmente accettabile. È che a quel tempo l’ascensore sociale funzionava, la promozione dalle classi sociali inferiori si realizzava con una certa speditezza nel mentre che il capitalismo manifatturiero avviava la ricostruzione post-bellica e lo stato sociale faceva i suoi primi incerti passi. Poi la lotta di classe all’incontrario condotta dall’1%, della quale pedagogicamente mi propongo di parlarne stamane ad Enzo nel suo salone di “acconciature maschili”, per come recita la targa luminosa all’esterno. Quel rapporto di ricchezza manager-maestranze intanto, senza darlo a vedere, è volato ad un 400 a 1. E non si ha motivo di sperare che si arresti e che auspicabilmente tenda a ridursi. Non avverrà! Poiché la lotta di classe all’incontrario si conduce oggigiorno da posizioni insostenibili per la parte più debole dei corpi sociali. Sostiene Goffredo Fofi in “La vocazione minoritaria”, - Laterza editore (2009); pagg. 165; € 12,00 -: “Una delle astuzie della società attuale – almeno in Italia – è di aver convinto i poveri ad amare i ricchi, a idolatrare la ricchezza e la volgarità. In passato i poveri solitamente non amavano i ricchi: li si convinceva, anche con la forza, a sopportare la loro condizione, si tollerava anche che peccassero di invidia, al più li si spaventava con la prospettiva delle pene dell’inferno. Negli anni Ottanta, negli anni di Craxi, è esplosa invece una cosa del tutto nuova: la tendenza a negare le differenze tra i ricchi e i non ricchi, a far sì che i non ricchi si pensino ricchi, che amino i ricchi come maestri di vita, come modelli assoluti di cui seguire ogni esempio. (…)”. Il grande abbaglio degli anni Ottanta del secolo ventesimo, gli anni “da bere”. Iniziava a consumarsi tutto lo slancio di promozione sociale che ha condotto le società dell’Occidente industrializzato e cristianizzato al “default” di oggi, “default” che vuole che a pagarne il prezzo più alto siano i “cristi” del 99%. Messo in riga il capitalismo manifatturiero varchi sempre più ampi si sono aperti a quel capitalismo finanziario che ha condotto la “crisi” a divenire planetaria. Nell’imperativo dell’oggi – l’insano “mordi e fuggi” -,  senza responsabilità sociali e senza un progetto che guardi lontano alle generazioni future si concretizza tutto il pensiero – o il sotto-pensiero - di quel liberismo che dalla dama di ferro agli ultimi rampanti della finanza ha voluto caparbiamente intraprendere quella lotta di classe all’incontrario della quale in pochi hanno tutt’oggi contezza. Ha scritto Luciano Gallino sul quotidiano la Repubblica del 26 di giugno dell’anno 2013 – “La macchina cieca dei mercati finanziari” -: Nel mondo circolano oltre 700 trilioni di dollari (in valore nominale) di derivati, di cui soltanto il dieci per cento, e forse meno, passa attraverso le borse. Il resto è scambiato tra privati, come si dice “al banco”, per cui nessun indice può rilevarne il valore. Ma anche per i titoli quotati in borsa le cose non vanno meglio. Infatti si stima che le transazioni che vanno a comporre gli indici resi pubblici riguardino appena il 40 per cento dei titoli scambiati; gli altri si negoziano su piattaforme private (soprannominate dark pools, ossia “bacini opachi” o “stagni scuri”) cui hanno accesso soltanto grandi investitori. Di quel 40 per cento, almeno quattro quinti hanno finalità puramente speculative a breve termine – niente a che vedere con investimenti “pazienti” a lungo termine nell’economia reale. Non basta. Di tali transazioni a breve, circa il 35-40 per cento nell’eurozona, e il 75-80 per cento nel Regno Unito e in Usa, si svolgono mediante computer governati da algoritmi che esplorano su quale piazza del mondo il tale titolo (o divisa, o tasso di interesse o altro) vale meno e su quale vale di più, per avviare istantaneamente una transazione. L’ultimo primato noto di velocità dei computer finanziari è di 22.000 (ventiduemila) operazioni al secondo, ma è probabile sia già stato battuto. Ne segue che chi parla di “giudizio dei mercati” dovrebbe piuttosto parlare di “giudizio dei computer”. Con il relativo corredo di ingorghi informatici, processi imprevisti di retroazione, episodi d’imitazione coatta, idonei a produrre in pochi minuti aumenti o cadute eccessive dei titoli, del tutto disconnessi da fattori reali. In sostanza, i mercati finanziari presentati al pubblico come fossero divinità scese in terra, alla cui volontà e giudizio bisogna obbedire se no arrivano i guai, sono in realtà macchine cieche e irresponsabili, in gran parte opachi agli stessi operatori e ancor più ai regolatori. E, per di più, pateticamente inefficienti. Soltanto dal 2007 in poi la loro inefficienza è costata a Usa e Ue tra i 15 e i 30 trilioni di dollari. (…). …se in effetti sono i mercati ad essere dissennatamente indisciplinati, perché mai continuate a raccontarci che se noi cittadini non ci assoggettiamo a una severa disciplina in tema di pensioni, condizioni di lavoro, sanità, istruzione, i mercati ci puniranno? Scenari inquietanti. Scenari che non possono entrare nella sfera del sensibile dell’uomo della strada. “700 trilioni di dollari”. Di purissima attività finanziaria. È tutto fuori misura. Quel rapporto di 400 a 1 è solamente una tappa. Dove dovrà arrivare affinché tutti gli F. V. di questo pianeta smettano di dire “si lotta”? Senza lottare. Forse perché ridotti a non avere speranza alcuna? È così che si incrina il rapporto tra capitalismo e democrazia.

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