"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 27 giugno 2013

Cronachebarbare. 15 “La Politica in ostaggio”.



Ha scritto Ilvo Diamanti su la Repubblica del 24 di giugno – “Perché abbiamo bisogno di politica” -: (…). …viviamo tempi provvisori. Di passaggio. Verso non si sa dove né cosa. Sicuramente, senza più futuro. Perché il futuro è stato abolito, dal nostro linguaggio e dalla nostra visione. Finite le ideologie, che sono narrazioni di lunga durata. Oggi tutto è marketing. Storie e slogan. Da rinnovare di continuo. Il futuro: se ne sta fuggendo insieme ai giovani. D`altronde, siamo tutti giovani. Adulti e anziani: non invecchiano mai. Nessuno accetta lo scorrere del tempo. Così i giovani, quelli veri, se ne stanno sospesi. Sono una generazione né-né. Né studenti né lavoratori. (…). È questo senso di “provvisorietà”, di precarietà personale ma anche sociale, che mi crea da giorni il cosiddetto blocco dello scrivere. A cosa serve continuare a scrivere su questo blog se la “provvisorietà”, la precarietà ci hanno come inghiottiti tutti lasciandoci senza futuro, senza speranza? È da giorni che, come un insetto molesto, questo pensiero mi “ronza” nella mente. Capisco però che cedere, lasciarsi andare, è come darla vinta a quella strategia della “distrazione di massa” che ha portato anche a quello stadio, forse irreversibile, che definisco da tempo di “scarnificazione” del pensiero collettivo. È quel che è avvenuto. È quello che si voleva che avvenisse. È contro questa strategia che bisognerebbe mobilitarsi. Lottare. Poiché la “scarnificazione” del pensiero, seppur non dichiarata come strategia dell’”antipolitica” al potere, è da tempo nell’aria, impregna i nostri pensieri ed i nostri difficili giorni. Ed il primo degli obiettivi di quella strategia è stata la “Politica”, quelle buona, ovvero l’altra politica invocata. “Scarnificandone” il pensiero complesso che, nella “Politica”, è sempre complesso. Non ha semplificazione alcuna. Non ammette scorciatoie. Definendo, per dirla con Diamanti, come “finite le ideologie, che sono narrazioni di lunga durata” e riducendo la complessità del pensiero della politica ad un disgustoso “marketing”. E dopo aver dichiarate morte le ideologie ne veniva di conseguenza che si potessero dichiarare superate, anacronistiche, morte quelle organizzazioni che nel tempo hanno dato sostanza al pensiero complesso della politica, i partiti. Ha scritto Furio Colombo su “il Fatto Quotidiano” del 16 di giugno – “Storie di uno. La politica ostaggio dei singoli” -: Il capitolo della storia politica italiana su cui sto riflettendo oggi comincia con Bossi e – al momento – arriva fino a Grillo. (…). Diciamo che questa breve storia si apre con Berlusconi che “scende” in un campo che inventa lui, e nella sua saga one man si trascina dietro vari modelli di partito e pattuglie intercambiabili di personale dipendente, attraverso decenni. E arriva a Grillo che si annuncia da solo, arriva da solo, e resta solo dopo la vittoria, pur avendo portato al seguito, dal nulla, nove milioni di elettori. Di Berlusconi sappiamo tutto, arriva munito di una ricchezza oscura, usa il privilegio, poco capito (o volutamente ignorato) di un immenso conflitto di interessi che ne genera continuamente altri (e potere, e profitto), vive la vita politica come uno sceneggiato che si gira in tempo reale con piena libertà di aggiungere o togliere battute, o di smentirle liberamente. Di lui resterà memorabile non la vastità e il peso del dominio esercitato, ma la straordinaria e inspiegabile sottomissione dell’intera classe politica e di una vasta parte della corporazione giornalistica. Ed è la prima figura - o maschera - nella breve storia di Furio Colombo, maschera che, come nella migliore tradizione della commedia dell’arte, ha calcato le tavole di quell’avanspettacolo che ha condotto inesorabilmente alla “scarnificazione” del pensiero collettivo sottostante alla buona “Politica”. Ed ecco avanzarsi la seconda delle maschere – secondo Furio Colombo - dell’”antipolitica” al potere: Il gioco di Bossi non è stato molto diverso: mettere insieme ed esibire in modo esasperato ed esagerato i peggiori sentimenti di rivalsa e vendetta di un gruppo di persone senza reputazione, e vedere l’effetto che fa. Nel vuoto culturale ha fatto effetto. Ma era troppo grossolano e misero per poter continuare, fino a che ha fatto il patto di Arcore nelle cene del lunedì e ha acquisito una vita in simbiosi, libera da preoccupazioni economiche e in grado di beneficiare dello stesso clima di intimidazione e sottomissione giornalistica imposto e goduto da Berlusconi. Ma Bossi non è un partito, è una vita di espedienti che si è agganciata in tempo a un livello molto più alto e più grande di imbroglio. (…). Ed infine la terza tragicomica maschera presentata da Furio Colombo, di quella che è oggigiorno la politica “scarnificata” e contro la quale, a parole almeno, il movimentista si mobilitava con inusitata violenza: Grillo è arrivato a mani piene (persone e promesse) ma mai nessuno nonostante i seguaci, ha realizzato programmi o promesse senza dare ruolo e valore e senso al lavoro di chi si è offerto di partecipare ed è stato eletto. Governare attraverso ordini indiscutibili uccide, e si può solo aspettare. E dunque ci resta solo un’interessante “storia di Grillo” ma niente da scrivere, per ora, sul Movimento Cinque stelle. Forse in questo schema (storie di persone, ma non di movimenti e partiti) sta il nocciolo pericoloso della crisi. Molti personaggi si aggirano, con buone e con cattive intenzioni, per le strade deserte di un Paese spaventato che non può più mettere niente in comune, neppure la paura. Un paese impaurito. Un paese disorientato. Ascoltavo giorni addietro, nelle mie rare scorribande tra le onde della radio sempre più infide e “scarnificate”, Flavia Perina – già direttore del “Secolo d’Italia” e transfuga con Gianfranco Fini - lamentare la “pochezza” della sua parte politica che così facilmente si era lasciata come fagocitare da una politica d’assalto, contravvenendo e contrabbandando i propri dettami della “legge” e dell’”ordine” per associarsi spensieratamente e spudoratamente ad una politica di “rapina” dei novelli predoni. Un tardivo, colpevole ripensamento. Chiude Ilvo Diamanti il Suo “pezzo” sul quotidiano la Repubblica: È questo il nostro problema più grande, oggi: l`abitudine alla "precarietà". La rimozione del futuro. Perché il futuro è passato. Emigrato. All`estero. E ci ha lasciati qui. Sempre più vecchi, ma incapaci di ammetterlo. Noi, passeggeri di passaggio in questo Paese spaesato: abbiamo bisogno di Politica. Perché senza Politica è impossibile prevedere. Progettare il nostro futuro. E senza prevedere, senza progettare o, almeno, immaginare il futuro, senza un briciolo di utopia: non c`è Politica. Ma solo "politica". Arte di arrangiarsi. Giorno per giorno. Ma come “prevedere”, come “progettare” un futuro che sia a questo disastrato paese senza un pensiero compiuto, anche complesso, ché solo i partiti di quella che è divenuta oramai sterile “memoria”, prima d’essere anch’essi “scarnificati”, amorevolmente coltivavano? Di quella “memoria” forse perduta se ne fa interprete e testimone Furio Colombo quando scrive: Qual è il vecchio senso? È il muoversi relativamente compatto e omogeneo di tante persone, cittadini, famiglie, padri e figli, insegnanti e allievi, persone del mondo creativo (le canzoni) e di quello organizzativo (i sindacati) che più o meno hanno un punto in comune all’origine, vedono o immaginano un punto comune da raggiungere e si muovono cercando, anche con un po’ di aiuto reciproco, di percorrere la stessa strada. Non per disciplina (non tanto, non sempre). Ma per adesione e persuasione, reclamata anche in pubblico. Sto parlando, naturalmente, di qualcosa che ha a che fare con la costellazione comunista e la costellazione cattolica. Entrambe hanno salvato il legame con la Resistenza e la Costituzione. Entrambe hanno impedito a questo solo Paese europeo di essere laico e di esplorare senza pregiudizi, né distruttivi né infatuati, i territori del liberalismo. Tutto quello che è accaduto dopo, fino ai giorni che stiamo vivendo e patendo senza sapere e senza capire, è l’avventura individuale di alcuni personaggi. Si può scrivere e illustrare la loro storia, sapendo che è quella storia che conta. Ma non “il partito” o “il movimento” che proclamano di avere creato, che nasce e che scompare (o finisce di contare) con loro. È forse anche la fine della Storia, che muore con la “memoria” non più condivisa.

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