"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 8 maggio 2013

Strettamentepersonale. 10 Perché le maestre hanno sempre ragione?



Ha scritto Claudia De Lillo, in arte Elasti, sull’ultimo numero del settimanale “D” del quotidiano la Repubblica: La mia maestra si chiamava Irene. "Io sono Irene che in greco vuole dire pace. Voi, però, mi chiamerete "signora", perché è quello che sono. E dovrete darmi del lei, perché il rispetto si impara da piccoli", disse il primo giorno della prima elementare, di fronte a una ventina di sguardi rotondi e atterriti. Io tirai su con il naso e pensai che non avrei mai avuto spalle abbastanza larghe per affrontare quel posto e la signora Irene. Era il 1976. Ogni mattina, per cinque anni, ci fece cantare una preghiera a gola spiegata, impermeabile alle proteste di alcuni genitori senza dio, tra cui i miei. A lei devo una transitoria ma folgorante fase di fervente religiosità, una passione viscerale per la grammatica italiana, una simpatia balzana ma imperitura per la tabellina del 9, la fuga dei fantasmi acquattati nella cartella o nell'astuccio, la convinzione che, a guardare bene, un talento lo abbiamo tutti e si tratta solo di scovarlo e tirarlo fuori. Senza di lei non saprei leggere, scrivere e nemmeno fare le divisioni con il resto. Senza di lei ieri, non sarei quella che sono oggi. Perché loro, gli insegnanti, o almeno alcuni di essi, tracciano solchi che segnano il nostro cammino, imprimono direzioni al nostro movimento, aggiungono ingredienti decisivi alla pasta di cui siamo fatti. Lo ha scritto per un “pezzo” di quel settimanale veramente speciale che, chi per Lei, ha titolato “Perché le maestre hanno sempre ragione”. Non mi sento di convenirne. Con il titolo, s’intende. Del mio maestro ho un ricordo vivissimo che ho riportato nel mio libro “I professori” pubblicato nell’anno 2006 per i tipi di AndreaOppureEditore, pagg. 194 € 8,00 – che trascrivo: È tornare con i ricordi ad un fanciullo goloso, al riparo del ripiano di un nero banco scolastico di legno, come lo erano ai tempi della mia fanciullezza. Una leccornia amorevolmente infilata nella cartelletta dalla mamma premurosa, il suo gustarne l’infinita prelibatezza, al riparo dagli occhi vigili di un canuto maestro. Un ricevere, inattesa, una pesante campana di ottone, strumento di richiamo solenne ed imperioso al silenzio per noi scolaretti, sulla parte del capo non protetta dal ribaltabile ripiano nero del banco. Un improvviso riemergere del fanciullo di allora con le gote rigonfie, un palpitare del cuore come non mai, un sentirsi colpevole ed inerme per un atto compiuto con l’infinita semplicità di tutti i fanciulli di questo pianeta chiamato Terra. Un ricordo che ritorna ancora chiaro dopo tanti e tanti lustri, a fissare in una perenne e folgorante immagine una oramai lontana giornata di scuola, che il trascorrere veloce del tempo non cancellerà mai più. Il mio maestro è stato per i cinque anni delle mie scuole elementari P.C. Oggi mi osserva dalla foto a forma di ellisse che, di certo, un caritatevole familiare ha fatto apporre sul freddo marmo che custodisce ciò che è rimasto del mio antico maestro. Lo ricordo già canuto, alto nella sua figura, possente, occhiuto abbastanza da scoprire quell’atto innocente compiuto al riparo del ripiano di quel banco nero. Avrei ugualmente imparato a scrivere ed a far di conto? Certamente sì. Con qualsiasi altro maestro. A quel tempo la sensibilità della scuola e dei suoi operatori verso gli aspetti “emotivi” e “relazionali” dell’insegnamento erano al grado zero. Zero assoluto. Ben diverso mi pare di capire sia stato per Claudia De Lillo. Di quel maestro, in verità, mi vien poco altro da aggiungere. Guardando la sua foto - che sembra quasi seguirmi nel mentre transito per le visite ai miei cari - in quel posto di pace mi sovviene del sacro terrore che il suo ingresso in aula suscitava a quegli innocenti bimbetti di allora, quali noi si era. E venne così il mio ingresso nella scuola media, al tempo non unica, ché esisteva il cosiddetto “avviamento”, una “scuola di classe” destinata ai meno fortunati di quel tempo andato. Ne ho un ricordo così nebbioso e sfumato che le figure di quasi tutti quegli insegnanti sfilano come spettri indistinti, senza caratterizzazione alcuna, tra le volùte di nebbia che si innalzano a rendere quasi irreale quel tempo andato. Ne riservo un solo ricordo, quello del mio professore di lettere E.V., che nella sua complessione fisica si avvicinava – anch’egli non è più di questo mondo - moltissimo al ricordo del mio maestro P.C. È che il professor E.V. me lo sono ritrovato, tantissimi anni dopo, io già adulto, quale preside di scuola media all’inizio della mia attività d’insegnamento. Anche al tempo della scuola media nessuna attenzione che sia alla sfera “emotiva” e “relazionale” di quell’arte sublime che è l’”educare”. Scrive Claudia De Lillo dei Suoi ricordi di scuola Media: In terza media c'era Paola, un'altra signora, capace di destreggiarsi tra i grovigli dell'adolescenza e di aprire crediti anche là dove nessuno li avrebbe concessi. E qui colgo il “buco nero”, che ha risucchiato gli anni della mia scuola media al pari, mi pare di capire, di quella di Elasti. Solo alla terza media, infatti, Elasti scrive di una nuova disponibilità dell’istituzione scuola per concedere “crediti anche là dove nessuno li avrebbe concessi”. Così ricorda Elasti le scuole cosiddette superiori: Alle superiori c'era Salvatore, un latinista iracondo e di grande fascino, che stilò un index verborum proibitorum che appese accanto alla lavagna, diffidandoci dall'uso di evitabili inglesismi, di verbi con troppe zeta, che lui chiamava sprezzante "verbi zanzara", e di aberrazioni linguistiche che avrebbero svilito la nostra lingua oltre che, a suo dire, la nostra integrità intellettuale e morale. Mi ricordo poi di Antonia, che amava la storia e la filosofia, ci parlava delle idee platoniche e sussurrava, materna: "Bòn, dai, su!", al cospetto delle nostre reticenze durante le interrogazioni. Serbo memoria nitida di una Carla che insegnava chimica e, durante la guerra, aveva fatto la Resistenza. La incontrai qualche anno fa, alla manifestazione del 25 aprile: quasi novant'anni e, tra le braccia, un gonfalone dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. Ognuno di noi, nella sua formazione, ha incontrato un'Irene, una Paola, un Salvatore, un'Antonia e una Carla che hanno lasciato tracce profonde del loro passaggio, che danno un senso più alto alla scuola, al verbo insegnare, all'impegno e all'esempio. E qui convengo con Elasti. Alle scuole superiori da me frequentate ho avuto la fortuna – ché di fortuna bisogna parlare, nello zero assoluto che la scuola superiore accordava agli aspetti che non fossero il mero trasmettere le nozioni disciplinari - ho avuto la fortuna, dicevo, d’incontrare F.M., mio insegnante di lettere. Solamente di F.M. ho conservato un ricordo carico di un’umanità che ancor oggi mi scalda il cuore. Anche degli insegnanti di quella fascia le sagome sono ombre che sembrano sfilare nei miei ricordi come avvolte dalle volùte più spesse di una nebbia a momenti impenetrabile. Con F.M. ho continuato a coltivare un rapporto che ha arricchito di umanità il mio vivere e che mi ha spinto a privilegiare, nella mia attività d’insegnante, quegli aspetti – delle “relazioni” e della “emotività” - che mi sono stati negati nella mia vita di scolaro e di alunno. Al compimento dei Suoi “primi ottant’anni” F.M. ha voluto incontrare, nella Biblioteca Comunale della mia città, in un pomeriggio indimenticabile, amici ed ex Suoi alunni per donare – Lui a noi, ancora una volta - un inatteso Suo volume - editato in proprio - che ha per titolo “I miei primi ottant’anni”. Per l’appunto. Nella occasione, nella generale, grande emozione, ho pensato di rendergli omaggio dedicandogli una citazione – che ho letto nel corso del pubblico incontro – tratta da una indimenticabile lettura - “Essere insegnanti, divenire maestri” del professor Raniero Regni –, lettura fatta sulla rivista di problematiche scolastiche “School in Europe”, probabilmente oggigiorno scomparsa: Un maestro ti aiuta a conquistare uno stile, ovvero il contrassegno di quello che sei in quello che fai. Possedendo e mostrando il suo ti aiuta a conquistare il tuo. I grandi maestri (…) arano a fondo nel terreno dell’umano, sono primitivi e inattuali, non si gingillano con le cose senza peso, escono e fanno uscire dal quotidiano, non fermano quando li si incontra, né inducono a fare la loro strada, ma invogliano a cercare liberamente ognuno la sua e percorrerla. F.M. è stato un “Maestro”. Il mio “Maestro”. Un grande. Gli altri, ombre che vagano indistinte ed irrilevanti sullo scenario della mia memoria.

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