"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 15 aprile 2013

Cosecosì. 51 Matite copiative.



“In verità vi dico” – volendo evangelicamente parlare - che era da tempo immemorabile che non leggevo qualcosa di veramente “notevole”, “intelligente” – ché pochissime sono in verità le cose intelligenti da leggere in rete -, “rivoluzionario” – poiché oggigiorno quasi tutto concorre ad una rivoluzione farlocca che non si invera mai, basta che quel tutto o nulla appaia su un qualsivoglia dei media -, “epocale” – come lo sono anche le banalità più becere e grossolane di questi tempi -. L’ho letto, quel qualcosa intendo dire, quando un intrepido internauta ha postato un messaggino, piccolo, piccolo, minuto anzi, indirizzato ai “dioscuri” – spero che non ne abbiano a male quelle divinità per l’incauto accostamento - del “M5S” – orribile acronimo -, ovvero dei “penta-stellati” ma senza luce propria, ché le stelle, in verità, risplendono di luce propria. Messaggino che molto semplicemente invitava quei due guru a ritornare alla “matite copiative”. Fa proprio scandalo quel messaggino? O non disegna una realtà ben precisa e che conosciamo tutti? Solamente le “matite copiative” darebbero un senso compiuto al “mugugno” perenne dell’italico popolo-elettore. Ché quello stupendo messaggino non fissi, come su di una rupe di Lascaux, una arretratezza tecnologica e culturale di questo disastrato paese? Scriveva quel messaggino l’intraprendente e, forse, incauto internauta dopo la tristissima esperienza delle “quirinarie”. Sappiamo come siano andate a finire le “quirinarie”. Riservate ai pochi “intimi” della nuova “casta” asserragliata nella rete, quasi murata in essa, non hanno fatto altro che precisare i confini di un fenomeno nuovo, ma atteso, ed hanno dato lo spessore vero di una “non-partecipazione” attiva e consapevole, e senza ritorni, che oggigiorno fa tornare comodo affidarsi ad una entità nuova, a “quelli della rete” per l’appunto. Un’evoluzione senza consapevolezza, verrebbe da dire. E cosa dire, se ce ne fosse bisogno ancora, delle “parlamentarie”? Se non ricordo male, un paio o tre soltanto di decine di migliaia degli asserragliati in rete hanno deciso per il rimanente di quello che sarebbe stato il popolo-elettore di quegli intrepidi. Per il resto, un popolo-elettore che con le pratiche nuove della rete ha poco da spartire. Del resto, dell’arretratezza tecnologica e culturale del popolo-elettore se ne aveva contezza da tempo, anzi da sempre, senza menare scandalo. Perché non approfittarne? Il “mugugno” esiste, la voglia di partecipazione in prima persona del cittadino-elettore alla vita politica si è ridotta al lumicino, perché non approfittarne? In fondo, il grosso del popolo-elettore oltre il “mugugno” di rito non ha preteso, come sarebbe stato auspicabile, un ben diverso comportamento della “casta” della politica. Un “intrallazzismo” di maniera diffuso ha fatto comodo in alto come in basso; ed il “tengo famiglia” ha orientato l’opera degli addetti ai lavori e delle loro ampie confraternite. E poi, avranno pensato in tantissimi del popolo-elettore, perché non affidarsi ad una “casta” ancora non sperimentata? Affidiamoci ad essa, seppur essa viva asserragliata nella grande rete, e speriamo che il “cielo ce la mandi buona”. Oggi, ad urne oramai chiuse, sembra che non sia così! Il cielo continua ad odiare gli inetti! Ed allora le “matite copiative” dell’internauta hanno un senso compiuto e ben preciso. Segnano l’inadeguatezza tecnologica e culturale di quel popolo-elettore che ha preferito affidarsi, ciecamente, senza una compiuta consapevolezza, al novello “principe”, “mondo”, “intrepido”, “tetragono” alle lusinghe del politichese ma anche alla doverosa responsabilità delle decisioni, “principe” che monderà le lordure del passato. Scriveva Giacomo Papi il 28 di maggio dell’anno 2011 – sul settimanale “D” del quotidiano la Repubblica, col titolo “Le matite copiative” -: Lo confesso: da quando sono diventato maggiorenne a ogni elezione pianifico il furto della matita copiativa. Alla base dev'esserci la credenza superstiziosa secondo cui impossessarmi della sua invisibile incancellabilità significhi disporre di un oggetto magico, capace di trasformare le speranze in accadimenti, le idee più belle in mondi migliori, le volontà più giuste in realtà condivise. Così, anche questa volta, dentro la cabina, prima di votare, me la rigiro tra le mani e la osservo. È giallina e sopra c'è scritto ministero dell'Interno e un nome misterioso: Pierleoni srl Roma. Fuori dal seggio, telefono. Il magazziniere mi passa il responsabile che mi spiega che loro sono i distributori mentre le matite (circa 250mila a ogni elezione) sono importate dal Brasile e prodotte dalla Lyra, una ditta tedesca fondata nel 1806 a Norimberga che nel 2008 è stata assorbita dalla Fila. Furono inventate intorno al 1870, le matite copiative, quando il signor László Bíró non era ancora nato, penne a sfera e pennarelli non c'erano e si scriveva intingendo il pennino nell'inchiostro. Per renderle indelebili si aggiunsero anilina e pigmenti alla normale grafite. Si diffusero in fretta. Durante la prima guerra mondiale l'esercito britannico ne ordinò a decine di migliaia per gli usi militari. Erano pratiche, economiche e incancellabili. E poi il “salto” magico del Suo scrivere, di Giacomo Papi, del quale sono attento ed entusiasta lettore, la magia di un’intuizione e di un esplorare l’infinito mondo delle idee che rende la scrittura un’avventura nell’avventura sempre magica e misteriosa all’interno dei labirinti della mente umana: Erano moderne, ma il bisogno che soddisfacevano era millenario, anzi ancestrale. Era il bisogno di tracciare segni perpetui iniziato con le incisioni rupestri, continuato con gli scalpellini e gli amanuensi che si compiva grazie alla rivoluzione industriale nel segno della praticità e della produzione in serie. Era il bisogno di scrivere per sempre, in eterno, una volta per tutte. Di comunicare non solo ai contemporanei, ma anche eventualmente agli uomini futuri. Per questo, in Italia furono ritenute adatte alla democrazia. Ecco, il sotterraneo legame tra le “matite copiative” e la nostra decadente democrazia. Al tempo dello scritto del Papi la “casta” della rete non si era ancora compiutamente appalesata. Ma certamente Giacomo Papi aveva presente l’inadeguatezza, anzi l’arretratezza tecnologica e culturale del bel paese. E laddove scrive “delle incisioni rupestri”, come di sfuggita, alle quali assimila il tratto indelebile delle “matite copiative”, non si può non scorgere la consapevolezza Sua di avere a che fare, tecnologicamente e culturalmente parlando a proposito del popolo-elettore, a quegli incisori delle rocce delle famosissime grotte di Lascaux nella lontanissima era pre-moderna nella Francia sud-occidentale. E l’internauta, con quel suo innocente messaggino, non ha fatto altro che ricondurre, senza eccessivo giro di parole, le vicende dell’oggi alla loro tragicissima, inattesa complessità. Continua Giacomo Papi in quello stupendo Suo scritto: L'articolo 16 della Legge 29 del 6 febbraio 1948 afferma: "Il voto si esprime tracciando un segno con la matita copiativa sul contrassegno o, comunque, sul rettangolo che lo contiene o sul nominativo del candidato prescelto". (…). Matite copiative, cabine, schede e urne appaiono anacronistiche come i tram a cavalli. Però sono ciò che rimane della democrazia per come l'abbiamo conosciuta, ciò che la difende da un futuro che facciamo fatica a precisare, ma di cui è già possibile intuire i contorni. Un'epoca in cui l'opinione pubblica sarà sondata grazie al marketing e alla statistica, si esprimerà rispondendo a sondaggi e firmando petizioni online, e il re del mondo verrà telenominato via sms come il vincitore di Sanremo o di un reality show. Scrisse l'anarchico gallese Gafyn Llawgoch che però per le elezioni nutriva una vera passione: "Si vota scrivendo una X. La X è la firma delle persone che non sanno scrivere. Forse vuol dire che il voto è il nucleo di ogni firma possibile". Ecco: il bel paese è fermo al tempo della “Legge 29 del 6 febbraio 1948”. E di quell’articolo 16.

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