"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 7 marzo 2013

Cosecosì. 45 “Vent'anni alla fine del mondo”.



Ha scritto il professor Umberto Galimberti sul settimanale “D” del 16 di febbraio 2013 - “Vent'anni alla fine del mondo” -: Apocalisse non è la fine. È svelare ciò che è stato tenuto ipocritamente nascosto. (…). Apocalisse (dal greco apo-kalypto) vuol dire "togliere il velo" "svelare quel che era nascosto". E quest'opera di verità la stanno facendo i giovani, per farci sapere che mondo abbiamo creato per loro. Un mondo senza sogni, un mondo senza desideri che abbiamo estinto ogni volta che davamo loro una cosa prima ancora che la desiderassero. Piacerebbe anche a me fare mia questa affermazione/intuizione dell’illustre Autore. In verità dubito assai in una meritoria “opera di verità” delle masse giovanili dell’Occidente opulento. Mi sovviene invece un pensiero, a proposito dei giovani, dell’indimenticabile segretario di quello che è stato il più grande e forte partito comunista dell’Occidente, Enrico Berlinguer. Diceva: - Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull'ingiustizia -. Mi pare di cogliere nella grande maggioranza dei giovani d’oggi ben poca spinta ad impadronirsi “di ogni ramo del sapere” e di lottare “con i lavoratori e gli oppressi”. “Privilegio e ingiustizia” sono tornati ad essere la caratteristica proprio di questo tempo che ci è dato di vivere. Continua nella Sua riflessione il professor Galimberti: I giovani non ci succedono come sempre è avvenuto nel ritmo delle generazioni, i giovani di oggi divaricano da noi, se ne vanno da un'altra parte, cercano un'altra terra, perché questa è per loro inospitale. E in questa ricerca sentono su di loro il destino dei Maya, estinti con l'avvento degli occidentali. Perché è l'Occidente, che si crede la punta più avanzata di civiltà, ad aver creato questo mondo senza speranza, con la terribile sensazione della sua fine, che per il momento chiamiamo semplicemente "crisi". Ma non è una crisi. Come dice la parola "Occidente", è un tramonto. Ecco, mi pare che l’illustre Autore operi una generalizzazione che in verità non mi sento di accettare. I giovani, o meglio una grossissima parte di essi, al pari dei loro genitori, di quello che è stato il ceto medio del benessere, hanno spento qualsivoglia desiderio di contrastare lo stile di vita propugnato nell’Occidente opulento, non avvertendo la strapotenza di una civiltà edonisticamente malata che, forse col senno del poi, sarà individuata in futuro come la società che ha “creato questo mondo senza speranza”, società della finanza e delle banche che hanno spinto di recente un premier-tecnico dell’Occidente a riconoscere ed a dichiarare “perduta” tutta una generazione. Ben pochi sono stati, negli anni recenti, i “maestri” che abbiano orientato il cammino sociale ed economico in una ben diversa direzione. Oggigiorno i giovani, soprattutto essi, vivono “con la terribile sensazione della fine” di una società malata e divenuta arrogantemente ingiusta ed in perenne “crisi", crisi" che è anticamera di “un tramonto” di un distorto modello di sviluppo. La lettura della riflessione citata mi ha spinto a ricercare tra i miei ritagli una riflessione del professor Galimberti che ha per titolo “L'egemonia del mercato e i giovani”, riflessione pubblicata sempre sul settimanale “D” del 12 di giugno dell’anno 2010. La ripropongo in parte. Scrive Franco Totaro: “I fini dell'economia sono anche i nostri fini?”. Sull'atmosfera nichilista che caratterizza il clima in cui vivono i giovani d'oggi mi sono espresso più volte… (…). La loro sfiducia, la loro vita più notturna che diurna, l'alcol e la droga, assunti più per anestetizzarsi che per divertirsi, sono sintomi di una crisi non tanto esistenziale quanto culturale, da riferirsi al fatto che la nostra cultura conosce come unico generatore simbolico di tutti i valori esclusivamente il denaro, da conseguire con ogni mezzo, ivi compreso lo sfruttamento del lavoro dei giovani, che non hanno alcun potere contrattuale se non quello del prendere o lasciare. “L'uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo”, diceva Kant nel formulare il principio fondamentale della sua morale. Ma chi non è mezzo di profitto, sia che si tratti dell'immigrato o di uno qualunque di noi che lavora in una fabbrica o in un ufficio a qualsiasi condizione gli venga imposta, non ha diritto di cittadinanza. E tutto questo perché l'economia globalizzata ha reso concorrenziale anche il costo del lavoro sempre più al ribasso. Oggi i giovani vivono erodendo la ricchezza dei padri, ma non avranno ricchezza da far erodere ai loro figli, che saranno la prima generazione veramente senza futuro. Ma siccome lo sguardo dei governanti non si allunga oltre la propria biografia, di questa mancanza di futuro al momento nessuno si occupa. Invocare che l'economia non sia più egemone, ma venga subordinata alla vita delle persone, oggi ha del patetico. Ma a questo si dovrà pervenire, se non si vuole assistere a quella profezia che Spengler, Heidegger, Jaspers, Anders nel secolo scorso, con largo anticipo, andavano annunciando sotto il titolo Tramonto dell'Occidente. A tutto ciò, a questa disastrosa deriva politica, morale e sociale ben poca cosa è stato opposto nelle ubertose contrade del bel paese. In altre contrade di questo pianeta una fuggevole forma di “protesta” e di “azione” di contrasto la si è tentata, regimi e governi sono stati spodestati se non minacciati nella loro sopravvivenza. Nulla di tutto ciò si è potuto registrare nel bel paese. Se non l’ultima “fiammata” dello tsunami elettorale che rappresenta più che altro l’azione ultima possibile di disperati. Quale peso essa potrà avere per la storia futura? Può essere bastevole, per una presa di coscienza delle gravissime malattie proprie di un Occidente pericolosamente al “tramonto” – come preconizzato nell’anno 2010 – la “rabbia” di chi ha visto sfuggirgli la vita presente e con essa il futuro? La “cecità sociale” ha un prezzo altissimo che immancabilmente ricadrà sui più poveri e sugli individui e gruppi socialmente indifesi. Ed allora, la risposta giusta è quella scaturita dalle elezioni politiche recenti? Ha scritto Ezio Mauro all’indomani delle elezioni – su la Repubblica del 27 di febbraio col titolo “La sede vacante” -: (…). In una parola, è come se il governo della fase che viviamo fosse impossibile, per una fetta di pubblica opinione. O peggio, inutile. Dentro questa rinuncia ipnotica, si scavano percorsi a breve, abitati da illusioni politiche, fantasmi culturali. Nazionalizziamo le banche, anzi chiudiamole. Ignoriamo lo spread, che importa se cresce? Non badiamo ai mercati, tanto sono un po’ pazzi. Se la Germania pretende troppo, usciamo dall’euro. Sciocchezze che funzionano come false rassicurazioni, perché non esistono risposte banali a problemi complessi. Ma funzionano, come le false promesse sulle tasse che si possono restituire, i soldi che arrivano dalla Svizzera, il magnate-demiurgo che in ogni caso, se mancano i miliardi, li metterà di tasca sua. (…). …la politica è in sede vacante, e qualcos’altro di confuso, semplice ed elementare, consolatorio e primordiale ne ha preso il posto. Un negazionismo autarchico, insieme orgoglioso e compassionevole, che è un prodotto non secondario della crisi sociale del nostro tempo. I populismi diventano l’espressione compiuta ed organizzata di tutto questo.(…). A questo punto avrei forse trovato la risposta alla mia domanda.

Nessun commento:

Posta un commento