"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 5 dicembre 2012

Sfogliature. 15 Un pasticciaccio brutto assai.

Ove vuol dimostrarsi la ripetitività delle cose “storte” nelle vicende degli umani. Laddove mi soccorre l’e-book di quello che è stato questo blog che alle pagine 971 e seguenti, di quella che fu la rubrichetta “Memorie del tempo”, annota il post del 26 di luglio dell’anno 2007 che ha per titolo “Un pasticciaccio brutto assai”. Brutto prima ma ancor più brutto dopo la sentenza della Consulta suprema. Registra “il Fatto Quotidiano” la sentenza con un editoriale – senza firma - che ha per titolo “Una Corte cortigiana”: Dalle motivazioni della sentenza si capirà come abbia potuto la Consulta accogliere un conflitto di attribuzioni cervellotico, protervo e infondato come quello sollevato dal capo dello Stato contro la Procura di Palermo. Dal comunicato emesso ieri dopo 4 ore di Camera di Consiglio (…), si desume solo che si è deciso di piegare una norma pensata per tutt’altre evenienze al caso che tanto angustia Napolitano: la captazione casuale, anzi inimmaginabile di 4 sue telefonate sulle utenze intercettate di Nicola Mancino, un privato cittadino coinvolto nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia. L’art. 271 del Codice di procedura non c’entra nulla col capo dello Stato: riguarda le intercettazioni fuorilegge o quelle di conversazioni che svelino “fatti conosciuti per ragione del ministero, ufficio o professione” della persona ascoltata (il difensore che parla col cliente, il confessore col penitente). (…). Non resta, purtroppo, che ricordare l’oracolo del presidente emerito Gustavo Zagrebelsky su Repubblica: “L’esito è scontato”. (…). Ecco: da ieri abbiamo una Corte cortigiana.

Trascrivo da “Quel pasticcio del codice” di  Franco Cordero pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del  25 di luglio dell’anno domini 2007. È il Franco Cordero celeberrimo autore de “L’armatura”, più volte riportata. Elucubra da par suo, come il suo Fert  dottore in filosofia. Ma su di un fatto reale, dell’oggigiorno. Soccorre con il suo elucubrare il popolo elettore minuto in fatto di giuridiche elucubrazioni; cose da dotti, da azzeccagarbugli di manzoniana memoria. Ci si affida semplicemente e consapevolmente ad un Maestro di tale portata. È che un certo popolo elettore minuto ignaro delle cose del potere non avrebbe pensato mai e poi mai di doversi rivoltolare in simili pasticci, come ai tempi di un egoarca che fu. A quel popolo minuto era stato fatto credere che passati i tempi di un egoarca che fu non si sarebbero alzati lai, e voci irate e lamentevoli, ed assurde recriminazioni degli addetti sempiterni del potere all’indirizzo di un altro potere. Passano i tempi, si perdono i peli superflui ma non i vizi. Antico detto piegato al caso pietoso. Vizi. Ovvero il vizio per eccellenza; la difesa strenua del proprio potere, come ricevuto da investimento divino. Unti per sempre. Cose d’altri tempi, e non tanto dei tempi di un egoarca che fu, quanto di un medioevo scuro scuro. Da “inquisizione” di un potere contro un altro potere. Assurdo. Trascrivo a favore del popolo elettore minuto che si rivoltola inquieto assai per il pasticciaccio brutto.

 “(…). La storia risale all´art. 68 Cost., riscritto dalla l. 29 ottobre 1993 n. 3: il parlamento godeva d´un diritto d´asilo; i suoi componenti non erano giudicabili senza il voto affermativo della Camera competente. Adesso lo sono ma, siccome gli unti dal popolo hanno sangue blu, la nuova norma subordina le intercettazioni al voto camerale. Tanto vale impedirle: l´espediente investigativo riesce utile finché chi parla non sappia d´essere ascoltato; qui era clamorosamente avvertito. Insomma, fin quando l´assemblea non lo conceda, nessuno controlla i loro apparecchi: se però, in vena garrula, entrano nello spazio acustico altrui, legittimamente sorvegliato, imputent sibi (incredibile quanto ciarlino); un´altra volta siano più cauti. Così ragionano gli assuefatti al discorso serio: l´assemblea accorda licenze d´ascolto, permettendo atti da compiere, mentre qui risultano compiuti; sarebbe un permesso d´usare materiali bene raccolti; in tal senso Montecitorio s´arroga anomali poteri autorizzativi nei tardi anni Novanta, perché la XIII legislatura, dominata dal centro-sinistra, incuba già filosofemi berlusconiani. Il fiore velenoso sboccia sub divo Berluscone: l. 20 giugno 2003 n. 140, dichiarata invalida dalla Consulta nella parte in cui contemplava un´assurda immunità processuale dei cinque presidenti; l´interessato era lui. L´art. 6 regola l´uso del materiale ritualmente intercettato dove risuonino ugole parlamentari: l´ipotesi auspicabile è che il gip, anche su istanza delle parti (possibile quindi l´intervento ex officio), lo ritenga irrilevante; allora ordina che sia distrutto (comma 1); se però una parte vuol usarlo e udite le altre, lui reputa adoperabili i discorsi de quibus, chiede il permesso alla Camera competente (commi 2-3); negato il quale, l´intero reperto (dischi, nastri, verbali, tabulati) va distrutto al più tardi nei 10 giorni (c. 5). Siamo in piena teratologia, la scienza dei mostri: norma indecorosa, scritta con i piedi, grossolanamente invalida; è facile previsione che tale sia dichiarata dalla Corte costituzionale. I lettori inesperti possono rendersene conto da un esempio. N e P, boss mafiosi, conversano sul filo o nell´etere con Q, eletto dal popolo (è ingenuo presupporre che le cosche non abbiano chi le tutela dai banchi): rievocano delitti su cui l´inquirente s´era affaticato invano; salta fuori l´organigramma dei mandanti, consiglieri, gestori, manovali. Sia lodato Iddio, caso risolto, purché l´assemblea accordi il permesso d´usare le sante parole: se lo nega con l´argomento insindacabile del fumus persecutionis, va tutto al diavolo; siccome una norma matta estende l´immunità processuale ai collocutori, N e P vengono assolti. Cose da burla macabra. L´ignaro domanda perché gli autori dello scempio abbiano chiamato alla ribalta il gip: figura innaturale; è il pubblico ministero che raccoglie le prove d´accusa. Risposta ovvia: nella cultura berlusconiana, condivisa da settori nel centrosinistra, i requirenti sono belve in cerca d´una preda, finché non abbiano carriera separata agli ordini del governo, e quale castigamatti, riappare il giudice istruttore. Ma il contrappasso batte colpi anche fuori dell´inferno dantesco: i soi-disant garantisti evocavano un gip spegnitore; stavolta dà fuoco lui alle polveri. L´anomalia allignava già nel codice, in barba alla logica accusatoria: non s´erano mai visti termini oltre i quali l´organo requirente debba astenersi dall´indagare, sotto pena d´inefficacia dell´atto compiuto; il legislatore 1989 li impone; e affida al giudice l´eventuale riapertura; scelta insindacabile (artt. 405-7 e 414 c.p.p.). Il caso del quale sono piene le cronache, dunque, è attribuibile al legislatore calamitosamente pasticheur. Definiamolo in chiave tecnica, fuori dall´alluvione retorica. La Camera bassa ha ricevuto l´ordinanza: erano e sinora restano estranei al procedimento gli onorevoli le cui parole il giudice ritiene utili; l´organo requirente non li ha iscritti né indaga nei loro confronti; qui appare due volte assurdo che l´uso delle prova dipenda dall´assenso assembleare; infatti, stiamo parlando d´una norma invalida. Senonché quel giudice afferma l´ipotetica responsabilità dei predetti. In quale conto tenere i relativi argomenti? Nell´attuale contesto, nessun conto: sono dei flatus vocis, come scrivevano filosofi medievali nelle dispute sui nomi; opinioni irrituali; non era affare suo disquisirle lì. Ma ha scritto quel che pensa. L´atto configura una denuncia obbligatoria (art. 331, illo tempore chiamata rapporto): il pubblico ministero, suo destinatario, la iscrive nel registro (art. 335) e indaga; indi chiede il processo o l´archiviazione (art. 408); se il gip gliela nega, malgré lui formula l´imputazione, essendovi obbligato (art. 409, c. 5). La parola passa a Montecitorio. Il partito blu s´è schierato: B. offre largo e micidiale compatimento agli esponenti Ds condolendosi dell´attacco sferrato in spregio alle regole; vittime come lo era lui; nel nome d´una buona giustizia e buona politica, i profondi pensatori d´Arcore invocano il ripristino dell´immunità parlamentare, abolita 14 anni fa, affinché le Camere ridiventino asilo d´impuniti (i napoletani dell´età barocca lo chiamavano confugio, nome pittoresco). Come voteranno i partiti del centrosinistra? L´unica risposta pulita è sì, senza clausole: se il pubblico ministero ritiene sostenibile l´ipotesi d´una corresponsabilità e l´udienza preliminare porta al dibattimento, tribunale e corti diranno quanto fondamento abbia; frapporre ostacoli sarebbe ignobile e politicamente stupido. Gl´italiani sensibili al bisogno d´un minimo etico nella cosa pubblica non hanno combattuto la pirateria berlusconiana per installarne una solidale, pseudoliberal-bolscevica. Ma povera procedura penale, contraffatta da ignoranti chierici del garantismo bicamerale. “

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