"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 13 ottobre 2012

Cosecosì. 30 Ove tanto spesso si ha la sfrenata voglia di fuggirne.



A lato. "Tramonto a Filicudi".

Scrive Mila Spicola, insegnante e scrittrice, nella Sua nota “La giornata degli insegnati. Ma c’è poco da festeggiare” pubblicata sul quotidiano l’Unità: (…). Ieri (il 5 di ottobre n.d.r.) è stata la giornata mondiale degli insegnanti però si è mandata alla malora in Italia la tradizione della ricerca educativa avanzata. Oso dissentire poiché di una “ricerca educativa avanzata”, nella scuola pubblica del bel paese, non se ne ha notizia da un cinquantennio almeno. Intendo parlare di “ricerca educativa”, senza aggettivazione alcuna, che non abbia rappresentato solamente episodi sporadici di illuminate iniziative di questa o quella scuola, né tanto meno il tran-tran della cosiddetta formazione in servizio, ma la trama e l’ordito profondo di quel prezioso tessuto educativo del quale la scuola pubblica in quanto tale avrebbe dovuto indossare. Nulla di tutto ciò. Ho riportato nel mio volume “I professori” – AndreaOppureEditore (2006), capitolo VIII “Ove tanto spesso si ha la sfrenata voglia di fuggirne” – alle pagine 38 e 39 una esperienza personale di “formazione in servizio”: (…). …ricordo di un pomeriggio tra i più tediosi della mia vita non solo scolastica, ma personale proprio. Si era all’ascolto di un ispettore del ministero della pubblica istruzione che avrebbe dovuto illuminarci, dall’alto della sua sconfinata abilità nel leggere ed interpretare la miserevole, orrenda, inintellegibile prosa del ministero stesso, sulle questioni più innovative nella nobile arte dell’educare. Ovvero, nell’arte dell’intrattenere, ché questo in fondo è lo spirito che ha pervaso le ultime innovazioni in campo scolastico. Divenire intrattenitori, così come alla Tv.  Ma quel buon diavolo di ispettore risultava essere, quel tedioso pomeriggio, il peggiore di tutti gli intrattenitori di questo pianeta chiamato Terra. E non mi soccorreva la vista del dorso coperto di una collega molto allegramente abbigliata, avendo incautamente occupato un banco nella primissima fila, come si conviene ad un diligente ascoltatore. Tant’è che la pennichella piano piano riusciva ad impossessarsi delle mie falcoltà attentive, con grande mio scorno al timore di essere scoperto del tutto su di un ospitale pianeta dei sogni. Fu necessario allora allertare l’attentività con un banale espediente; mi soccorreva il possedimento di un blocchetto di appunti e di una penna, diligentemente portati appresso. Ma per segnarci cosa? Semplicissimo. Tutte le citazioni del magnifico e sapiente ispettore ministeriale, all’uopo cinicamente richiamate alla nostra non-memoria in quell’assurdo silenzio di quel tedioso pomeriggio scolastico; leggi, circolari, ordinanze, testo unico, e via discorrendo. Sorpresa! All’indomani, verificate sui sacri testi quelle dottissime citazioni che tanta soggezione e meraviglia avevano suscitato nell’uditorio semiaddormentato, scoprimmo, con altri volenterosi e caparbi colleghi, che non una, ma dico una sola, di quelle citazioni avesse una pur lontana attinenza con gli argomenti che l’illustre ispettore avrebbe dovuti renderci chiari, al di là di ogni nostro possibile futuro dubbio. Così sono sempre andate, e mi sorregge in tale affermazione la mia diretta esperienza, e vanno le cose nel mondo della scuola; ed oggi ci si interroga sui suoi imprevedibili e calamitosi futuri scenari. Gli scenari futuri allora vagamente immaginati sono sotto gli occhi di tutti. Continua Mila Spicola nella Sua interessante nota: È giunta l’ora dell’improvvisazione. La fregatura, per noi docenti, è che siamo così masochisti da amarlo questo lavoro e da andare avanti comunque. Col capo maledettamente chino sui nostri registri e gli occhi puntati sui nostri ragazzi. Eppure sarebbe l’ora di occuparci anche del nostro mestiere. Sarebbe il momento di guardarli in faccia questi ragazzi e interrogarci sul serio: «Che cosa vi stiamo facendo? Che cosa vi stiamo togliendo?». E poi, ci basta davvero sentire dire ogni tre mesi «siete degli eroi» e avere, comunque e sempre, calci e pugni metaforici in bocca, chiunque sia a darli? A me no. Non so a voi. Vorrei che la scuola tornasse al suo pilastro fondamentale, occuparsi del progetto educativo in modo professionale e aggiornato. Con i mezzi migliori forniti dalla ricerca e dallo studio, non dal governo che passa. Ieri è stata la giornata mondiale degli insegnanti. E oggi? L’oggi vede, come da sempre, una scuola che non ha un “progetto educativo” che sia, poiché su di esso non si è mai provato a discutere ed a riflettere. Ha imperato l’improvvisazione. Responsabilmente, da educatori, si dovrebbe cogliere il momento per guardare “in faccia questi ragazzi e interrogarci sul serio: «Che cosa vi stiamo facendo? Che cosa vi stiamo togliendo?»”. Non lo si fa, da sempre. Ne ha scritto Francesca Giusti in “Lettera di una professoressa” (1998): (…). Come è possibile parlare di un lavoro amato, che ha dato vita, allegria, un ritorno culturale e affettivo e, al tempo stesso, accostarlo di continuo ad angoscia, schizofrenia, panico, desiderio di fuga? È colpa solo dei cattivi ministri e della politica scolastica del nostro paese? Nulla volendo togliere ad anni di incuria, danni e malgoverno e nulla volendo togliere neanche ai ministri, non è così. Non è solo da questo che nasce il nostro malessere più profondo. La sofferenza insostenibile (che questo sia chiaro o rimosso) è continuare a far scuola come quando questa assicurava un futuro, un lavoro a generazioni che non hanno più davanti a sé né l'uno né l'altro. È questa angoscia del non-progetto, del non-futuro che si riversa su di noi, impreparati, impotenti a gestirla. Quasi tutti, forse persino i più giovani che lavorano nella scuola, siamo cresciuti all'interno di una dimensione del mondo proiettata al futuro. Educazione e scuola servivano a preparare e garantire questo futuro. Non a tutti. È in questa mancanza di un progetto, anzi del “progetto”, che continua ad essere la disperante condizione propria della scuola, la sua inidoneità a lanciare messaggi di speranza per il futuro delle giovani generazioni. Sta in questa condizione di irrilevanza il dramma di sempre che la scuola non riesce a scrollarsi di dosso non avendo coscienza di un “progetto educativo” che sia al contempo “professionale e aggiornato”. Ha scritto ancora Francesca Giusti nella Sua “lettera”: “Se lo studio non serve a costruirsi una vita e non è nemmeno servito a cambiare il mondo, a che cosa potrebbe servire? È qui il vero peso. Da qui deriva la tentazione di fuggire, di fare lo struzzo. Gli eserciti che vogliono andare in pensione. L'assenza di futuro in tutte le sue manifestazioni”. Di un progetto mancato – istruzione/educazione -  nella scuola pubblica del bel paese ne ha scritto di recente sul settimanale “D” il professor Umberto Galimberti – “Professori parlate al cuore” -: Bisogna evitare che i giovani a scuola si sentano stranieri nella propria vita. In cattedra si sale per impartire un'istruzione, (…) ai "miei ragazzi". E in questo aggettivo possessivo c'è già quel riferimento affettivo, (…) alla condizione essenziale perché l'istruzione possa essere efficace. L'elemento affettivo fa la differenza tra "istruzione" ed "educazione" perché, a differenza dell'istruzione, l'educazione prevede anche la cura dell'emotività dello studente, in quella stagione adolescenziale dove i fattori emotivi sono non solo più potenti di quelli intellettuali, ma soprattutto perché la mente non si dischiude se non si apre quello che (si) chiama il "cuore". (…). Attraverso questo coinvolgimento, i ragazzi costruiscono la loro identità, che è poi il sentimento che uno ha di sé, base della propria autostima, senza la quale non c'è impegno, non c'è interesse, non c'è motivazione. E di conseguenza non c'è apprendimento. Ma quanti sono i professori che si preoccupano del coinvolgimento emotivo dei loro studenti? E sappiano condurli dall'impulso (che ci è dato per natura, e che si esprime con azioni e reazioni irriflesse e talvolta violente come nel caso del bullismo), all'emozione spesso spenta nei nostri ragazzi, che non di rado appaiono indifferenti ad ogni evento? Senza una partecipazione emotiva non si accede al sentimento che, come l'umanità ha sempre saputo, non è un dato di "natura" ma di "cultura". Per questo in ogni tempo e in ogni luogo si è provveduto, con racconti mitici e oggi letterari, a segnalare cos'è l'amore, il dolore, la noia, la disperazione, l'entusiasmo, la gioia. Infatti solo quando si conoscono i nomi e i percorsi di quanto si agita nel nostro cuore, è possibile evitare l'angoscia che sempre accompagna i turbamenti emotivi, così frequenti e intensi nell'adolescenza, soprattutto quando restano sconosciuti e, in quanto sconosciuti, ingestibili. Senza questa cura per la formazione del sentimento, che è la via d'accesso all'apertura della mente, l'istruzione non arriva al cuore e perciò non diventa processo formativo, così importante in quell'età incerta e faticosa che è l'adolescenza, dove la comparsa della sessualità chiede, come ci insegna Freud, il duro lavoro di una riformulazione della propria visione del mondo, e dove la formazione della persona non solo è più importante delle competenze che si possono acquisire, ma è anche la condizione per cui si possono acquisire.

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