"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 5 settembre 2012

Storiedallitalia. 23 Dal marameo al ‘maramao perché sei morto’.


Scrive Carlo Buttaroni - presidente dell'istituto di ricerca Tecné – sul quotidiano l’Unità (“La resistibile ascesa del partito non-partito”): Giovanni Sartori l’ha definito «liquidismo». Rimuovere senza avere nulla da offrire, nessun riscatto, nessun annuncio. Solo risentimento. (…). Quando la società (…) approda al liquidismo, allora è inevitabile che trovino spazio gli imbonitori, i comici, gli intrattenitori. Perché la chiave del successo non è più nelle idee e nella capacità di progettare il futuro, ma soltanto nel sottrarre qualcosa a qualcuno, attraverso l’insulto, la delegittimazione, le insinuazioni, occupando quel territorio grigio al confine fra politica e farsa. È stato facile – e quasi scontato - nei commenti serotini dell’estate – con una fetta di fresco cocomero tra le mani - scoprire il corso delle cose nel bel paese. Alla domanda di un futuro prossimo pronunciamento elettorale a gran voce e copiosa ne è venuta fuori l’idea nuova (?) di un voto massiccio al movimento grillino. Un mantra che ha dominato sotto la calura esagerata di questa estate da delirio. Grillo perché? Ne è seguita un’elencazione sempre uguale dei guasti provocati dall’antipolitica – sì, proprio l’antipolitica - che nel bel paese è la politica – che regge la cosa pubblica - condotta con altri mezzi (non sempre commendevoli). Grillo perché? Vien voglia di ri-citare quanto ebbe a sostenere Ugo Ojetti nel bel volume di Indro Montanelli “Soltanto un giornalista”, ovvero che “il nostro è un Paese di contemporanei senza antenati né posteri. Cioè senza passato e senza futuro”. Senza una memoria. Senza un’idea di futuro. Senza un’anima. Ecco perché  – continua Carlo Buttaroni - (…). Grillo è solo un interprete casuale sulla scena del nostro Paese. (…). Quasi fosse un istinto incastonato nel Dna del nostro paese, che rimane latente fino a quando circostanze particolari lo fanno riemergere, nutrendolo dei problemi irrisolti e degli stati d’animo più deleteri lisciati per ragioni elettorali. (…). Una nuova tappa. Sotto questo punto di vista il grillismo è solo una nuova tappa evolutiva del partito leggero e del partito personale che ha segnato la storia politica degli ultimi vent’anni: la persona che diventa partito. Un partito «non-partito», con un leader che non è possibile mettere in discussione, organi d’informazione che dettano il nuovo verbo liquidatorio e liturgie che di democratico, aperto, inclusivo hanno ben poco. Ove bisognerebbe aggiungere (o specificare) trattarsi non tanto di una “nuova” tappa quanto di una tappa successiva di quel lungo sentiero lastricato convenientemente negli ultimi lustri dall’uomo di Arcore. Essendo i due uomini esperti conoscitori e facitori del mondo della rappresentazione, il più delle volte grottesca. Un duo insuperabile, che le strane circostanze della vita non hanno permesso di trasformare in un formidabile tandem. Se ne sarebbero viste delle belle! Ed il Buttaroni ancora scrive: Il liquidismo-grillismo si afferma e si diffonde perché il problema è in quel sentimento che fa leva su un nichilismo lieve e che porta a preferire il nulla anziché il cambiamento, trasformando il risentimento in una protesta cieca, senza prospettive e direzioni, favorendo una forma di apatia, quando non di vera e propria ostilità, verso le stesse istituzioni democratiche. Se cresce, infatti, la critica nei confronti dei partiti, cresce anche l’antiparlamentarismo, il leaderismo esasperato, l’insofferenza verso il confronto e il dibattito. D’altronde il grillismo non è la cura, ma soltanto il segnale d’allarme che invia il corpo di un sistema che vive gli affanni dell’inadeguatezza. (…). Per vincere la sfida con il «liquidismo» occorre ridare forza e ruolo alla politica dopo anni di degenerazione e delegittimazione che hanno progressivamente eroso la fiducia nei partiti e nelle istituzioni, minando le basi stesse della democrazia. (…). Ben detto. Poiché è l’antipolitica al potere da sempre che ha detronizzato la politica buona – oggi Pier Luigi Bersani sul quotidiano l’Unità sostiene che “La politica buona è possibile” – per il solito tornaconto dei furbi. A ben vedere sol che lo si voglia, scrive Francesco Merlo su la Repubblica (“Il cortocircuito di Grillo”), (…). …raccontano che da giovane attore burlesco già Grillo parodiava i calabresi goffi e sproloquianti immigrati nella sua Genova, di cui rappresentava in teatro il fondo più cattivo. Prendeva in giro per bastonare, per tenere lontani i terroni: attenzione ai calabresi che si sforzano di sembrare genovesi. E tutto era giocato sulle vocali aspirate del catanzarese. Insomma, robaccia da gradasso sbruffone, <vanteria e palanche>, ma sempre con un linguaggio tecnico da palcoscenico comico dove il sangue è sugo di pomodoro e il cadavere respira. Per non dire di quando si faceva carico, negli anni trascorsi, di gabellare le case farmaceutiche tutte accusandole di sfruttamento delle sventure e del dolore altrui e sostenendo, in quella sua visionaria missione, la bontà della cura oncologica del dottor Di Bella. O come quando osò bollare come una grande balla l’allarme internazionale lanciato per l’incontrollata diffusione dell’AIDS. Tutte cose che, per dirla con le parole dell’Ojetti, possono avvenire in un malandato paese “senza passato e senza futuro”, che tutto tollera e che tutto dimentica. Continua Francesco Merlo: Dunque, l’unica novità preoccupante  è che Grillo sembra ormai aver perso la misura della sua dismisura lessicale. È l’unico attore che è ‘diventato’ la sua parte, come se Gassman si fosse convinto di essere davvero Brancaleone. È tutto qui il corto circuito verbale di Grillo che, praticando in politica il codice del suo precedente mestiere, far ridere con gli attrezzi del ridicolo, comincia a credere anche letteralmente a quel che dice, al punto da autoconvincersi di essere estremamente pericoloso e da autoiscriversi alla schiera dei morti ammazzati, dei Matteotti e dei Gramsci (per la qual cosa quei grandi si rivolteranno nelle tombe). Non più Totò, Macario e Nino Taranto ma Dalla Chiesa, Ambrosoli e De Mauro: il vittimismo come comica finale, dal marameo al ‘maramao perché sei morto’. (…). Ma è difficile immaginare che qualcuno voglia uccidere chi rutta e fa pernacchie, o chi insulta e chi denigra con la smorfie del teatro, o chi fa caricature dei nomi e dei cognomi. (…). E  i servizi segreti deviati non mettono bombe nell’avanspettacolo, anche quando esso si fa politica. La farsa non è mai tragedia e alla fine della farsa non c’è il morto, c’è il sipario. (…). Insomma voglio dire che il risultato di Grillo è quello di avere eccitato l’avanspettacolo che prevede altro avanspettacolo, sino al lancio degli ortaggi. Ma non prevede uno sparo nel buio. (…). Le sue parole infatti non sono pietre e nella sua utopia eversiva fa comizi non a militanti che fremono ma a militanti che ridono e irridono. E però come Robespierre che a forza di tagliare teste perse la sua, così a forza di ridicolizzare tutta la politica Grillo ha finito col ridicolizzare anche la propria politica. E adesso, persino se lo trovassimo steso per terra, penseremmo: guarda cosa deve fare per  tirare a campare  un povero professionista del ridicolo. Chi lo sa se i primi più temperati refoli autunnali possano portare a ben diversi consigli gli smemorati italici elettori!

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