"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 11 luglio 2012

Capitalismoedemocrazia. 27 Un Parlamento reso inutile.


Sei stato convocato ‘con urgenza e tassativo ordine di partecipazione e puntualità’. Ma l’aula è vuota. Non c’è alcuna presenza e alcun dibattito. Sono i commessi a dirti sottovoce: annunceranno il voto di fiducia a mezzogiorno o all’una, e si vota qualche ora dopo. Vuol dire che passi di fronte al banco della Presidenza della Camera e puoi solo di dire un “sì” o un “no”. Segue una breve discussione finale sugli ordini del giorno, più che altro un po’ di conversazione e una gentilezza verso i pochi parlamentari che prenderanno la parola, ciascuno per pochi minuti, su questioni che sono per forza marginali. Subito dopo siamo pronti per un altro voto di fiducia. Perché è necessario? Perché il tempo è stretto, perché “il governo non può rischiare cambiamenti”. Ogni dettaglio è già stato concordato con amici e meno amici in Europa. Tecnicamente è una democrazia strana. Costituzionalmente è un Parlamento inutile. (…). Ci muoviamo lungo un percorso necessario e impossibile. Come se ne esce, a parte indignazione e protesta (che, come abbiamo imparato, è mal tollerata)? Bisogna accettare una verità amara e banale. Il male che sta rendendo assurda non solo la funzione del Parlamento ma anche, e soprattutto, la vita dei cittadini, non è, come tutti diciamo, la cattiveria aggressiva dell’economia e delle sue feroci speculazioni. È qui, è tra noi, è politica. Partiti corrotti ci hanno portati al terminal e consegnato ai guardiani. Partiti esangui si accodano senza volere o sapere cos’altro fare. Guardali dentro. Non c’è vita. Osservali nelle piccole cose, tipo la Rai. Ricominciano da capo, al livello della continua ricerca di un minimo garantito. Niente coraggio, nessuna idea, neppure l’ombra di una visione del che fare. Se la scorciatoia è illegale (come la sostituzione arbitraria e improvvisa di un membro della Commissione di Vigilanza) la prendiamo per buona in cambio di una cosina. A piccoli passi strascicati che non lasciano traccia, usciamo dalla politica, dando la colpa all’economia, ed entriamo nel sottomondo del baratto: ti do, mi dai. È una fine che non assomiglia all’inizio. La Resistenza, ricordate? Così, sempre più caustico, Furio Colombo nell’editoriale su “il Fatto Quotidiano” che ha per titolo “Il Parlamento inutile”. Tante volte si è detto che la “crisi” ci avrebbe cambiati. In meglio? In peggio? Non è certo che ci abbia resi diversi dal come eravamo. Ed il nostro “eravamo” era e rimane essenzialmente quella condizione disperante di “consumatori” incalliti e per nulla disposti a rivedere le proprie abitudini. La “crisi” incide però da quel lato che la sprovvedutezza, per non dire l’indifferenza dei tanti, hanno poco curato presi com’erano dalla salvaguardia di un benessere raggiunto. La “crisi” cambia – se non uccide – la democrazia, per come essa è stata costruita e per come essa è stata da noi conosciuta dopo i disastri di due guerre continentali. E la cambia nelle forme che Furio Colombo ha magistralmente raccontato. Una democrazia svuotata, succube delle scelte e degli imperativi che “il mercato” impone senza indulgenza alcuna, nel rispetto della sua idea di benessere per i pochi a scapito delle moltitudini di quel ceto medio convenientemente “proletarizzato”. Una democrazia senza nerbo, che subisce e non detta le condizioni per un vivere associato di accettabile qualità. Si chiede Ronny Mazzocchi sul quotidiano l’Unità: (…). È davvero possibile che sia bastata sempre l’esternazione di un singolo - giusta o sbagliata che fosse - a vanificare gli sforzi di tutta la popolazione? Davvero una frase di Giorgio Squinzi può annullare gli effetti di una riforma delle pensioni lacrime-e-sangue o di quattro manovre restrittive? E perché in tutti questi mesi la grancassa mediatica e la lunga serie di autorevoli sostenitori dell’esecutivo non sono mai riusciti ad abbassare il differenziale di rendimento dei nostri titoli pubblici anche solo di qualche decimale di punto? E prosegue nella Sua interessante analisi che ha per titolo “Monti, Squinzi e l’imbroglio degli ultra-liberisti”: È chiaro che il giochino dello spread - abilmente maneggiato da novembre in poi dai mass-media e dal governo - è sempre più difficile da utilizzare. Il modo con cui il premier e la grande stampa hanno attaccato il capo di Confindustria, oltre a stupire in negativo per i modi utilizzati, lascia intendere un certo nervosismo. Tutti sanno benissimo che lo spread dipende ormai molto poco da noi e moltissimo dalla difficile partita che si sta giocando da mesi sui tavoli di Bruxelles e Francoforte. Due anni di austerità non solo non hanno rimesso in sicurezza l’Europa, come ci avevano garantito i tecnocrati della Commissione europea e della Bce ancora a settembre dell’anno scorso, ma hanno addirittura aggravato la situazione, estendendo il contagio dalla Grecia agli altri Paesi mediterranei, fino a lambire pure Spagna e Italia. Il risanamento dei conti pubblici, che doveva restituire fiducia agli investitori e rilanciare così crescita e posti di lavoro, sembra aver funzionato al contrario, esattamente come prevedevano i vecchi testi di economia: meno spesa pubblica e più tasse hanno ridotto le prospettive di sviluppo future, con ricadute immediate su produzione e occupazione. È quindi diventato chiaro pure al più ostinato dei fondamentalisti liberisti che l’idea che fosse sufficiente fare «i compiti a casa» per uscire dalla crisi si è rivelata del tutto inutile, e che per rompere il circolo vizioso fosse necessario mettere mano ai due grandi problemi continentali: lo stretto legame fra finanza bancaria e finanza pubblica e il crescente differenziale di competitività fra i Paesi dell’area euro. (…). È tutto qui “l’imbroglio” di cui parla l’autorevole opinionista: far pagare ai “soliti noti” il costo più pesante della “crisi” attingendo alle risorse degli Stati per ripianare gli errori che il capitalismo finanziario ha creato nella sua ossessionata volontà depredatrice di risorse umane e naturali. Ha dichiarato Amartya, Sen Premio Nobel per l’Economia: - La crisi non è il sintomo di un fallimento degli Stati ma l’effetto di un fallimento del mercato che a sua volta è stato salvato dagli Stati -. Più chiari di così. Ma la politica non ha più forza alcuna. Per non parlare poi delle idee e dei progetti. Vive alla giornata, cercando di assicurarsi quel “minimo garantito” che ne giustifichi una stentata esistenza. Il grande capolavoro è compiuto: rendere inutile il Parlamento.

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