"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 1 maggio 2012

Lavitadeglialtri. 5 Quadri dal pianeta Cina.


A fianco. L'arte figurativa di Giovanni Torres La Torre.
 
Quadro primo. Da “Shopping di partito a Pechino” di Giampaolo Visetti, pubblicato sul settimanale (787) “D” del quotidiano la Repubblica.

Una modella cinese si è sfogata sul web. "Oggi volevo fare qualche regalo al mio fidanzato - ha scritto - ma le boutique di Pechino non avevano più nulla da vendere". Cercava orologi d'oro e cinture decorate con diamanti, roba tra i 30 e i 90mila euro a pezzo. Un reporter indipendente ha voluto verificare. (…). L'indagine ha confermato che gli oggetti cult della stagione, nel cuore finanziario della capitale, erano scomparsi. I pezzi più richiesti erano finiti, o riservati a clienti che avevano versato una caparra. Prenotati per mesi i nuovi arrivi. Tra i beni introvabili, gli occhiali. Non quelli comuni: montature in oro e brillanti, a partire da 20mila euro. È emerso che anche hotel e ristoranti a cinque stelle erano in over-booking. Come se a Pechino si fossero improvvisamente dati appuntamento sceicchi arabi, oligarchi russi, costruttori giapponesi, banchieri svizzeri e padroni americani dell'e-economy, senza dirlo a nessuno. Da qualche anno succede che la capitale della seconda potenza mondiale, la sola con un solido segno più, vada in crisi da astinenza da spese folli. Capita due volte all'anno: attorno a Natale, che i nuovi snob dell'Oriente amano festeggiare per esibire confidenza con l'Occidente, e durante il capodanno lunare. Questa volta però si era in marzo, qui mese di botteghe piene e di tasche vuote. Ottenuta la garanzia dell'anonimato, commessi e hostess dei centri commerciali hanno accettato di svelare il mistero. La merce di lusso era stata spazzolata, con settimane di anticipo, dai delegati alle due riunioni plenarie annuali del partito comunista. A spianare assegni e carte di credito senza limite di spesa, sono stati gli ex compagni che in pubblico amano intonare gli inni rivoluzionari di Mao Zedong: 2900 deputati all'Assemblea nazionale del popolo e 2200 funzionari del partito in regioni e province. (…). I commessi hanno spiegato come avvengono gli acquisti dei dirigenti comunisti, che per l'anno della grande transizione nella leadership hanno lanciato lo slogan "Prima il popolo". Pagano una quota e si iscrivono negli account speciali delle boutique di lusso. Fermano per telefono interi stock delle merci più costose. Raggiungono il negozio con collaboratori e berline nere. Estraggono la lista dei regali, per imprenditori e altri funzionari che meritano di essere conosciuti. In base a rango, interesse e affare, selezionano gli acquisti. Svuotano gli scaffali, lasciano gli indirizzi a cui recapitare i doni, saldano conti da centinaia di migliaia di euro e se ne vanno.

Quadro secondo. Da “Modello Hong Kong” di Giampaolo Visetti, pubblicato sul settimanale (789) “D” del quotidiano la Repubblica.

Per vedere come sarà il mondo tra qualche anno, un viaggio ad Hong Kong può essere istruttivo. La cassaforte dell'Oriente è la realizzazione perfetta di una comunità trasformata in un'azienda. Non viene governata da un sindaco, ma da un amministratore delegato. Lo chief executive non viene eletto dai cittadini ma da un comitato di 1200 azionisti, che rappresentano le categorie economiche. La popolazione di Hong Kong supera i 7 milioni di abitanti: a eleggere il leader è lo 0,02% dei residenti. Durante la campagna elettorale, i candidati non promettono di migliorare la vita della gente. Giurano che tuteleranno gli interessi economici e promuoveranno il business. La metropoli non è amministrata sul posto. I due terzi dei grandi elettori dello chief executive sono scelti da Pechino. È la Cina a controllare Hong Kong, sebbene esista il diritto di voto, la stampa sia libera e la magistratura indipendente. È così da quando la Gran Bretagna, quindici anni fa, ha restituito l'arcipelago conquistato con le guerre dell'oppio. L'ex colonia inglese resterà una "regione amministrativa speciale" cinese fino al 2047, ma è chiaro che il limbo è solo apparente. La metropoli è già uno straordinario laboratorio del comunismo trasformato in capitalismo e dell'autoritarismo presentato come democrazia. A sostenere il sistema è l'obbiettivo comune: fare soldi. Tutto a Hong Kong è concepito con il fine unico di produrre ricchezza e i risultati sono strabilianti. (…). Un meccanismo semplice: i più ricchi vanno al potere e comandano, gli altri fanno politica e si occupano di cultura e questioni sociali. Accettando la messinscena di elezioni sottratte alla volontà della maggioranza popolare, il mondo "hongkonghizzato" non può essere accusato di essersi ridotto a una dittatura e i leader-amministratori delegati non possono trasformarsi in despoti. Le comunità vengono semplicemente dirette come una banca, o una compagnia assicurativa: e a risultare decisivo è il bilancio che presentano, i dividendi che a fine anno distribuiscono. (…). Per gli occidentali, in fuga dalla crisi e dalle tasse, questo è un mondo ideale. Si fanno soldi, nessuno parla di regole e giustizia e non ci si deve vergognare di eccessi e sprechi. Anche per la Cina è un paradiso: ci manda il nuovo ceto medio nel week-end e promette che se nessuno disturba Pechino presto tutta la nazione sarà il trionfo del consumo. La tentazione è forte: difficile che democrazie spente sappiano resistere. Ma le persone, sono felici? No. Ma questi sono dettagli di cui a Hong Kong non c'è tempo di occuparsi.

Siamo proprio sicuri che queste “vite degli altri”, colte nelle straordinarie corrispondenze di Giampaolo Visetti, non possano divenire, o essere imposte dalla globalizzazione finanziaria, la vita nostra prossima ventura? Cosa sapremo opporre ad una visione della vita che ci riduce al rango di infaticabili, insoddisfatti consumatori? Dal “pianeta” Cina, da quell’inquietante laboratorio sociale che è la Cina, si distende minacciosa un’ombra plumbea sull’intero pianeta Terra; un oscurantismo nuovo, che realizza nella acquisizione sfrenata e senza misura della ricchezza per i pochi il suo comandamento primo. Ha scritto Joseph Roth al capitolo XXVIII del già citato Suo straordinario lavoro “Fuga senza fine”: (…). Aveva combattuto un anno e mezzo per una grande rivoluzione, ma solo ora comprese chiaramente che non si fanno rivoluzioni contro una “borghesia” ma contro fornai, contro camerieri, contro piccoli erbivendoli, infimi macellai e inermi facchini d’albergo. Non aveva mai temuto la povertà, a malapena l’aveva sentita. Ma nella capitale del mondo europeo, da cui partono le idee di libertà e i suoi canti, egli vide che non una sola crosta di pane secco si riceve per niente. I mendicanti hanno i loro benefattori fissi e a qualunque cuore pietoso si bussi la risposta è: già occupato!(…). Così girava la storia per il protagonista Franz Tunda. Che aveva vissuto e partecipato alla rivoluzione bolscevica. Che poi era arrivato, nella sua “fuga senza fine”, in quella “capitale del mondo europeo, da cui partono le idee di libertà e i suoi canti”, che è Parigi. Ma le rivoluzioni non si fanno per i poveri. O, come ha scritto bene Tahar Ben Jelloun nel Suo “La scuola o la scarpa”: “il cielo non ama i poveri”. Oggi che è di nuovo il primo di maggio e si continua a festeggiare il lavoro.

Nessun commento:

Posta un commento