"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 29 febbraio 2012

Cosecosì. 10 Per una storia universale dei rimpianti.

Traggo da una straordinaria riflessione di Giacomo Papi che ha per titolo L'identità fissa, riflessione pubblicata sull’ultimo numero del settimanale “D” del quotidiano la Repubblica, riflessione che di seguito trascrivo in parte:

Molti studiosi si sono sforzati di spiegare l'ultimo misterioso haiku del poeta Junichiro Kawasaki: "Senza rimpianti è la mela, non sa di non essere pesca". Fu scritto la mattina del 3 novembre 1996, poco prima che il vecchio poeta e sua moglie assumessero la dose di arsenico che li avrebbe ammazzati. Kawasaki parlava di sé, parlava di loro, parlava di noi con la voce di chi guarda la vita dal ciglio. (…). La verità è che i rimpianti sono sempre originati dalla vita e non viceversa. Sono la metà mancante di quello che siamo. (…). Ma la storia personale di ognuno si incrocia sempre alla storia profonda degli uomini. Un contadino lucano del 1700, un gladiatore romano, una cortigiana assira difficilmente si sarebbero dispiaciuti di non avere avuto la vita che volevano. Una Storia universale dei rimpianti racconterebbe, forse, che in punto di morte gli antichi provavano rimorsi più pratici, legati a episodi specifici, per comportamenti sbagliati o occasioni perdute. Non rimpiangevano altre vite per la semplice ragione che non potevano neppure immaginarle. Il nodo da cui scaturisce la nostra idea di felicità si annida qui. Oggi, è doloroso il peso delle strade non imboccate, delle scelte non fatte, delle vite che non abbiamo vissuto perché il Novecento è fondato sulla vastità della scelta. È questa la sua invenzione più immensa. Ogni uomo è libero di diventare quello che è davvero. E allora perché gli scaffali delle nostre vite non sono stipati come quelli del supermarket? La teoria del Multiverso - gli infiniti universi paralleli della meccanica quantistica - è la traduzione scientifica di questa fantasmagoria culturale ed economica. Per millenni, poi, si avevano poche esistenze-modello, oggi ognuno è sottoposto a un bombardamento di vite possibili. Di eroi e vite imitabili. Avere un'unica vita appare una limitazione. L'armonia di una vita e la sua eleganza risiedono, invece, nell'adesione perfetta a se stessi, nell'accettare quell'irripetibile agglomerato carico di memoria e confinato nello spazio e nel tempo in cui consiste la nostra identità. In fondo, è la storia narrata da Martin Buber di rabbi Sussja che in punto di morte, esclamò: "Dio non mi chiederà perché non sono stato Mosè, ma perché non sono stato Sussja". Ed è la storia della mela d'autunno di Junichiro Kawasaki. Che cade senza rimpianti perché il desiderio di un'esistenza da pesca non l'ha mai neppure sfiorata. La difficoltà, a volte, è sapere che frutto si è.

La lettura che è “delizia” dello spirito, “avventura” intellettuale delle più straordinarie, “conforto e rifugio” alle pene del vivere quotidiano, “scoperta” delle cose che stanno al di fuori di noi stessi, “rivelazione” delle straordinarie forme nelle quali la lingua possa essere cesellata nella sua forma scritta, la lettura dicevo, che sempre scava nell’intimo di ciascuno e ne carpisce i palpiti più intimi, è quanto di più liberatorio possa esistere nella esperienza della vita nostra che non si sia ridotta ad espressione unica della corporalità e della materialità che è propria di tutti gli altri esseri viventi. E la lettura degli scritti di Giacomo Papi hanno la magia di ricreare tutte quelle condizioni prima sommariamente elencate del potere proprio della lettura. Come in questa occasione. Poiché essa ha in sé il potere di rendere quei flash-back della nostra esistenza che il difficile, a volte penoso percorso della vita, seppellisce per sempre, se non ci fosse il potere salvifico della lettura per l’appunto. La lettura ultima mi ha restituito una immagine viva che il trascorrere del tempo aveva seppellito. Forse per sempre, senza la magia intervenuta di quella lettura. Di una giornata assolata, di un bagliore proprio del luogo, di una grande calura, con un frinire incessante che assordava quasi, con la vista di un mare piatto e di uno straordinario color turchese proprio del mare a certe latitudini in quella stagione. Si ascoltava, in verità distrattamente, un notiziario che dava conto di una straordinaria impresa, ovvero della circumnavigazione del globo terracqueo da parte di un nativo del luogo, in solitaria navigazione su di una barca a vela. Un’impresa straordinaria, senza dubbio alcuno. Ai pochi commenti distratti dei presenti alla tavola doviziosamente imbandita con i “frutti” della pesca del mattino in quel mare turchese e rallegrata con il rutilante colore dei frutti della stagione, si aggiunse l’esultare di una giovanissima fanciulla, allora, che candidamente ebbe a dire - riporto a memoria le sue parole essendo trascorso sì tanto tempo oramai – “ora sì che anche noi saremo famosi”, alludendo all’origine del solitario navigatore. Un essere, un esistere, un divenire, per mezzo della vita di un’altra persona, poiché, come scrive il Nostro “oggi, è doloroso il peso delle strade non imboccate, delle scelte non fatte, delle vite che non abbiamo vissuto perché il Novecento è fondato sulla vastità della scelta”. La fanciulla di allora ha poi cercato una sua via per approdare a quell’essere famosi a tutti i costi che la mediatizzazione delle vite, tramite l’effimero e l’apparire, ha definito e consacrato essere traguardo irrinunciabile a rischio delle pene dell’anima.  

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