"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 12 gennaio 2012

Capitalismoedemocrazia. 4 La chiamavano invidia sociale.

 La chiamavano invidia sociale al tempo dell’egoarca di Arcore. Si sproloquiava a non fomentare l’invidia sociale. Tutti in fila ed in silenzio in attesa che il re Mida di turno trasformasse in oro le cose proprie e degli accoliti. Si diceva: non sollevate l’invidia sociale. Un modo come un altro per sfuggire al problema. Ovvero, per occultarlo meglio. Per fuorviare l’attenzione. Intanto i furbetti soliti si arricchivano alle spalle della comunità. Dichiara al settimanale L’Espresso il professor Domenico Secondulfo, direttore dell'Osservatorio dei consumi delle famiglie presso l'Università di Verona: - Il circuito dei ricchi e quello dei nuovi poveri si differenziano: nei momenti di espansione la ricchezza genera invidia, in quelli di crisi aggressività, così i ricchi si ritirano tra di loro -. Forse si scopre come non sia bastevole l’invidia sociale per sollevare e risolvere i problemi delle moderne società, ma si scopre con gran ritardo come sia urgente rispolverare quel qualcosa in più che in un tempo, definito oramai passato e dato per morto, veniva chiamato lotta di classe. Con annessa una coscienza di classe. Affronta il problema spinoso Gad Lerner in un editoriale che ha per titolo La destra di classe che difende gli evasori, pubblicato di recente sul quotidiano la Repubblica e che trascrivo in parte: (…). … Karl Marx scriveva già nel 1859 nella sua celeberrima prefazione a «Per la critica dell´economia politica»: la coscienza dell´uomo è determinata dal suo essere sociale. Non c´è populismo che tenga, al dunque la nostra sensibilità è condizionata dal censo. (…). Siamo al dunque, perché l´incattivirsi di una crisi che impoverisce i ceti popolari e brucia posti di lavoro, ripropone con brutalità le differenze di classe. La prolungata, falsa rappresentazione di uno stile di vita omologato nel consumo di massa – l´illusione della fine delle classi sociali – non regge più quando lo Stato, per non fallire, è costretto a mettersi in caccia della ricchezza nascosta. Certo, chi ha protetto finora la ricchezza nascosta, addirittura esaltandola come risorsa, fatica a riconoscerla per quello che è: una vera e propria piaga nazionale. Per questo la destra italiana – antiborghese piuttosto che liberale – agita le acque. Incapace com´è di distinguere la ricchezza generata col talento imprenditoriale dalla ricchezza accumulata con l´illegalità e le rendite di posizione, addebita ai funzionari dello Stato un profilo ideologico esistente solo nella sua propaganda: la demonizzazione del benessere, l´incitazione all´odio di classe. Ma dove vivono? (…). Il vittimismo dei furbi abbindolava i poveracci quando s´illudevano di poterli emulare, e quindi li ammiravano. Ma ora che le ricette anticrisi incidono profondamente sul reddito e sul risparmio dei cittadini, torna a contare in politica quella nozione di giustizia sociale fino a ieri oltraggiata – talvolta perfino a sinistra – con l´ambigua raccomandazione a non lasciarsi tentare dalla cosiddetta invidia sociale. E mentre si agitava per le ubertose contrade del bel paese lo spettro nefasto dell’invidia sociale, i furbetti soliti rimpinguavano abbondantemente i loro forzieri lasciando alla comunità tutta l’incombenza ingrata e socialmente ingiusta di risanare le sconquassate finanze statali. Ne dà contezza sul quotidiano la Repubblica un recente dossier curato da Maurizio Ricci e che ha per titolo La ricchezza in mano al 10% delle famiglie. Lo propongo di seguito in  parte.

(…). Secondo le indagini della Banca d'Italia, la ricchezza netta degli italiani (tolti, cioè, mutui e prestiti) era pari, nel 2010, a 8.640 miliardi di euro. Una cifra imponente, pari ad oltre quattro volte la montagna del debito pubblico. In media, significa una ricchezza di poco inferiore a 400 mila euro, per ognuna dei 24 milioni di famiglie italiane. Ma, naturalmente, quei 400 mila euro sono il consueto miraggio statistico. Il 50 per cento delle famiglie italiane possiede, infatti, dice sempre Via Nazionale, meno del 10 per cento di tutta quella ricchezza. Ovvero, 12 milioni di famiglie si spartiscono, in realtà, un patrimonio di non più di 860 miliardi di euro. Questi 12 milioni di famiglie più povere costituiscono quelli che i sociologi di una volta avrebbero definito ceti popolari. Un termine che, con il progressivo svanire di operai e contadini, è diventato sempre più sfuggente e che, oggi, probabilmente, comprende soprattutto impiegati, insegnanti e la massa dei precari. In media, la ricchezza di ognuna di queste famiglie è di 72 mila euro in tutto, al netto di mutui e prestiti, ma casa e risparmi compresi. L'altra metà degli italiani ha, invece, le mani su quasi 8 mila miliardi di euro. (…). Al di sopra dei ceti popolari e dei ceti medi in via di affondamento ci sono, elaborando i dati della Banca d'Italia, quelli che possiamo chiamare ceti medi benestanti. Circa 9 milioni 600 mila famiglie, il 40 per cento del totale, che controlla il 45 per cento della ricchezza italiana: 3 miliardi 880 milioni di euro. In media, ognuna di queste famiglie benestanti ha un patrimonio, fra case e investimenti finanziari, pari a 405 mila euro. (…). Da qui in su, si entra nel mondo dei ricchi. Il 10 per cento delle famiglie italiane, cioè circa 2 milioni 400 mila famiglie, controlla il 45 per cento dell'intera ricchezza nazionale. Quanto 10 milioni di famiglie benestanti e oltre quattro volte quello di cui dispone la metà meno fortunata del paese. Sono gli altri 3 miliardi 880 milioni di euro di ricchezza che ancora mancavano al totale. In media, ognuna di queste famiglie ricche ha un patrimonio di 1 milione 620 mila euro, oltre 22 volte la ricchezza di quella metà d'Italia che sono le famiglie dei ceti popolari. (…). …gli straricchi ci sono, sono pochi, ma hanno abbastanza soldi da modificare profondamente la mappa sociale del paese. Proviamo, infatti, a togliere l'1 per cento di famiglie più ricche - gli straricchi - dal plotone del 10 per cento di ricchi. Il 9 per cento di ricchi che è quasi in cima, ma non ci arriva, corrisponde a 2 milioni 160 mila famiglie. Il loro patrimonio complessivo è pari a 2.765 miliardi di euro, un terzo della ricchezza nazionale. In media, ognuna di loro dispone di un solido patrimonio, pari a 1 milione 280 mila euro. Infine, l'1 per cento di straricchi: meno di 240 mila famiglie. Fa capo a loro il 13 per cento dell'intera ricchezza italiana, ovvero oltre 1.120 miliardi di euro, almeno quelli rintracciabili nel catasto e nelle banche nazionali. In media, ognuna di queste famiglie straricche dispone di un patrimonio di poco inferiore a 4 milioni 700 mila euro. Non basta, insomma, essere un paese in cui l'80 per cento delle famiglie è proprietaria della casa in cui vive per riequilibrare la piramide rovesciata della ricchezza nazionale. (…). Ci sono, (…), quasi mille miliardi di euro depositati nei conti presso le poste o le banche italiane. Non si tratta solo di soldi parcheggiati per le piccole necessità quotidiane. Il 30 per cento di quei mille miliardi - esattamente 276 miliardi di euro - è depositato in conti fra i 50 mila e i 250 mila euro. Un altro 13 per cento, circa 120 miliardi di euro, si trova in conti che superano i 250 mila euro. Chi tiene tutti questi soldi in banca? Non lo sappiamo. Al massimo, dice l'aritmetica, mezzo milione di persone ha un conto in banca almeno di 250 mila euro. Probabilmente, sono assai di meno. Se, per pura ipotesi, supponessimo che ne sono titolari le 240 mila famiglie straricche, ne ricaveremmo che ognuna di loro ha, in media, mezzo milione di euro sul conto in banca. Poi ci sono i titoli. Fra azioni, obbligazioni e fondi comuni, ci sono oltre 1.500 miliardi di euro depositati nei conti titoli delle banche italiane. Un terzo è piccolo risparmio, cioè conti titoli inferiori a 50 mila euro. Un altro terzo, è risparmio, per così dire, benestante: titoli fra i 50 mila e i 250 mila euro. Poi ci sono 150 miliardi di euro, investiti in titoli per 250-500 mila euro. Il risparmio, probabilmente, si ferma qui. Il resto è investimento ed è un salto: 300 miliardi di euro in conti titoli superiori a 500 mila euro. Roba da straricchi.

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