"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 2 gennaio 2012

Capitalismoedemocrazia. 3 A chi interessa cambiare l'articolo 18?

Scrive il professor Giorgio Ruffolo in Sono dolori se la ricchezza è un fantasma, pubblicato sul quotidiano l’Unità e tantissime volte già citato in questo b-log: - Contrariamente a quanto sostengono i suoi oppositori, la globalizzazione è un processo fondamentale per il progresso umano. Tale era considerato da Marx. Ma non può essere lasciato a sé stesso, perché totalmente privo di autoregolamentazione. È l’assenza di regolazione che lo rende distruttivo e caotico. Questi due temi dovrebbero costituire questioni centrali per gli economisti: una moneta che sia ricondotta alla funzione di arbitro e non di giocatore. Un governo mondiale che ricostituisca il necessario interlocutore del capitalismo dopo il venir meno della funzione svolta dagli Stati nazionali -. Il solito Marx, che vedeva lontano assai. L’opportunità grande e straordinaria affinché la crisi diventi strumento fondamentale per il progresso umano. Poiché la crisi pone in discussione equilibri consolidati, permettendo a nuove masse di ex-poveri di accedere, seppur in grave ritardo, al benessere materiale. Poiché la crisi pone in difficoltà una visione nazionalistica dei paesi del globo intero. Poiché solo un’apertura verso un governo mondiale consentirà di controllarla, dominarla ed indirizzarla verso sbocchi nuovi di progresso. Sono le opportunità che la crisi ci offre. Le cronache recenti ci spiattellano le insuperabili difficoltà che i singoli Stati, nel chiuso dei loro egoistici tornaconti nazionali, incontrano ad affrontare la crisi che diviene sempre più una crisi planetaria. Ora, anche quelli del Bric annaspano; è la controprova che solo una visione globale consentirà un controllo più efficace dei meccanismi che regolano il dissesto finanziario. Della natura della globalizzazione come processo totalmente privo di autoregolamentazione ne ha scritto, sul settimanale il Venerdì di Repubblica, Curzio Maltese in un pezzo che ha per titolo Nel Paese sul lastrico a chi interessa cambiare l'articolo 18? Di seguito lo trascrivo in parte.

“(…). Negli ultimi due decenni, i salari sono crollati in quasi tutto l'Occidente e le condizioni di vita e di lavoro sono peggiorate ovunque, soprattutto per le giovani generazioni. Le nuove multinazionali, anche quelle che puntano molto su un'immagine moderna, civile e progressista, trattano i propri lavoratori peggio di quanto non facessero gli odiati padroni d'una volta. Amazon è finita nel mirino dei media americani per le disumane condizioni di lavoro cui costringe i dipendenti, Apple è sotto inchiesta per l'ondata di suicidi fra gli operai cinesi chiamati a produrre gli iPad, altri colossi come Monsanto, Nike e Nestlè devono difendersi da accuse di sfruttamento selvaggio della manodopera, in qualche caso perfino di bambini. Da vent'anni i super manager più celebrati e citati come modello di genio aziendale non sono più i creativi ma quelli bravi ad aumentare il proprio stipendio e a tagliare quelli dei lavoratori, insieme ai diritti acquisiti. Il caso più noto è Sergio Marchionne. Si capisce che tagliare la pausa mensa è più semplice che progettare un modello diverso dalla ventesima versione della Panda. Marchionne spiega che la produttività italiana è troppo bassa ed è vero. Ma sfugge, almeno ai non addetti, il meccanismo psicologico per il quale un lavoratore dovrebbe produrre di più in cambio di un salario sempre più misero. In Italia, lo stipendio medio netto è crollato negli ultimi dieci anni agli ultimi posti dell'Eurozona, sotto i ventimila euro all'anno. In termini di potere d'acquisto reale, i lavoratori italiani guadagnano cinquemila euro in meno rispetto al 2001. La ragione principale è che sono aumentate le tasse sul lavoro dipendente, fino a superare di gran lunga la media europea, quella dell'Ocse e perfino la leggendaria Scandinavia. L'aumento delle tasse sul lavoro dipendente, ricompensato con un netto peggioramento dei servizi sociali, è servito in buona sostanza a finanziare l'evasione fiscale, nel frattempo triplicata. Si sono insomma tartassati i poveri per arricchire i ricchi disonesti. L'effetto sull'economia è stato devastante. L'Italia è un Paese dove si vendono sempre più pellicce, champagne di marca, fuoribordo ed elicotteri, ma dove si spende sempre di meno al supermercato. Com'è noto, lo spreco dei super ricchi non compensa la mancata spesa dei poveri. E ora, vogliamo davvero credere che il problema sia l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori?”

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